E tu di che costituzione sei?


Nikolaj K. Roerich, Visitatori da oltremare
(1901, immagine dalla rete)


“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
(Inf., XXVI)


Dalla conclusione del mio articolo su Voegelin e Pio XI riprendo un tema economico vecchio di settant'anni ma di grande attualità. Non sono concetti originali, nemmeno su questo blog, ma in quel contesto li ho espressi con una chiarezza tale da suscitare altre riflessioni e meritare un approfondimento. Innanzitutto mi sono stupito ancora una volta di non aver colto prima il problema, in particolare negli anni dei miei studi universitari, in cui ero costantemente a contatto con dati storici e di attualità riguardo alle faccende comunitarie. Come quasi tutti ero consapevole che qualcosa non andava, ma mentalmente inserito nel frame dominante costruito dai media ho fatto davvero poco per compiere quei passi che si sarebbero rivelati decisivi per la comprensione di una questione tanto importante per il mio stesso futuro.

Ci sarebbero molte considerazioni da fare a proposito, ad esempio sulla differenza tra “conoscenza” e “saggezza” o “sapienza”, e su come quest'ultima, anche in una prospettiva laica, sia sempre legata a una visione d'insieme, che non escluda cioè gli aspetti più insoliti e disturbanti della realtà così come viene percepita. Ad ogni modo, per venire al punto, cercherò di chiarire in modo più discorsivo rispetto al suddetto articolo e senza l'uso di note quale sia la differenza tra un accordo politico basato sulla dignità del lavoro e uno basato sul contenimento dell'inflazione, ovvero perché la Costituzione Italiana e i trattati europei sono antitetici e inconciliabili.

Innanzitutto bisogna capire come è nata la Costituzione Italiana del 1946. Si è trattato di una mediazione tra le diverse aspettative e visioni del mondo dei vincitori della guerra partigiana, ovvero cattolici, comunisti, liberali e socialisti. Dobbiamo pensare quindi non a tavole della legge scese miracolosamente dal Cielo per il bene di tutto il popolo, né a una fredda media ragionata, in base alla quale ciascuno ha rinunciato a qualcosa per soddisfare un minimo comun denominatore, bensì a un faticoso compromesso, frutto di lunghe trattative, orientato e ispirato dalla componente cattolica maggioritaria. Infatti, la dottrina sociale della Chiesa, nella sua sintesi brillante e originale espressa da Pio XI con la Quadragesimo Anno, dopo aver contribuito a riforme strutturali in Austria (Autoritäre Staat), Portogallo (Estado Novo), Irlanda e negli Stati Uniti (New Deal), ha dato sostanza e anima alla legge fondamentale della giovane Repubblica Italiana.

In particolare, un principio della Quadragesimo Anno era ben chiaro per esperienza diretta a tutti i padri costituenti di qualunque orientamento, ovvero che la «dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi» era stata la causa scatenante della prima guerra mondiale così come della seconda, per cui andava combattuta e contenuta per evitare ulteriori ingenti danni all'umanità. Si trattava ovviamente di opporsi non al denaro in quanto tale, ma a quel tipo di capitale che potremmo definire “parassitario”, perché investito in operazioni speculative, tipicamente finanziarie ma non solo, il cui fine è produrre ricchezza ad esclusivo vantaggio degli speculatori. Ambizione naturale degli speculatori è inserirsi nello Stato o condizionarlo, al fine di ottenere dei monopoli e usarne la forza per espandere all'interno e all'esterno del paese la sfera dei propri interessi, difenderli e accrescerli. Negli anni Trenta il nazionalismo, specialmente in Germania, era così degenerato nell'«imperialismo economico» che aveva infine portato alla guerra.

Ecco perché i padri costituenti hanno fondato la Repubblica sul lavoro (art. 1 della Costituzione Italiana), intendendo ovviamente il lavoro degli operai ma anche quello degli imprenditori consapevoli del ruolo sociale del capitale e dell'impresa. Non solo, tra gli imprenditori hanno indicato chiaramente anche lo Stato (artt. 41-44), che non doveva limitarsi ad essere regolatore dell'economia, ma aveva il compito di intervenire direttamente per compensare gli squilibri macroeconomici o rilanciare le attività produttive in momenti di crisi. Solo col suo enorme potere, infatti, e in primo luogo grazie alla sua possibilità di emettere moneta, sarebbe stato possibile contrastare la tremenda forza di coloro che, «tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare».

I passi successivi sono tristemente noti (ancora a una minoranza di Italiani, purtroppo), ma storicamente coincisero con l'affievolirsi della memoria storica o la scomparsa (anche per cause non naturali, penso in particolare a Enrico Mattei) della generazione che aveva fatto la guerra e scritto la Costituzione. Nel 1981 il “divorzio” tra Tesoro e Banca d'Italia, ovvero la perdita della piena sovranità monetaria; undici anni più tardi il trattato di Maastricht che istituiva l'Unione Europea. Nel 2004 la presentazione di una Costituzione Europea, rigettata l'anno dopo da referendum popolari ma ripresentata quasi uguale nel 2007 a Lisbona, sotto forma di modifiche ai due trattati fondamentali (TUE e TFUE). E qual è stato il punto d'arrivo di tutto questo processo? Che cosa sanciscono i trattati nella loro versione consolidata?

L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. 
(Articolo 3 comma 3 del Trattato sull'Unione Europea)


Se non avete capito niente non preoccupatevi, perché molto probabilmente è scritto così apposta. Di fatto si tratta di una mostruosità logica prima che legislativa, un'accozzaglia di termini contraddittori e concetti inconciliabili. Il punto centrale e reale è la «stabilità dei prezzi». A che cosa serve la stabilità dei prezzi? A evitare l'aumento dell'inflazione, c'è stato detto, ovvero una tassa occulta particolarmente odiosa perché colpisce tutti allo stesso modo. In realtà la stabilità dei prezzi serve a proteggere il valore del capitale (ogni tipo di capitale, in questo caso non distinguerò tra capitale “sociale” e “parassitario”, lasciando stabilire a voi lettori per quale dei due e da chi sia stato eventualmente concepito tutto ciò) e ad avvantaggiarlo in ben due modi diversi. Infatti, affinché ci sia stabilità dei prezzi (nei limiti dell'inflazione fisiologica” legata alla crescita economica, che serve a pagare gli interessi sul debito) è necessario che non aumenti la domanda. Perché non aumenti la domanda è necessario che non aumentino i salari e che un certo numero di cittadini europei resti senza lavoro, in base alla relazione inversa tra inflazione e disoccupazione espressa dalla “curva di Phillips”. Questa massa variabile ma sempre presente di disoccupati (recentemente aumentata artificialmente coi “migranti”) costituisce quello che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”. Si tratta di un “esercito” di lavoratori potenziali perché la pressione che genera sui lavoratori effettivi è un'arma nelle mani dei capitalisti per tenere bassi i salari o ridurli ulteriormente e limitare la conflittualità coi lavoratori, che diventano quindi più competitivi e spesso anche più produttivi, permettendo ulteriori tagli. Di conseguenza è possibile realizzare l'altro obiettivo reale, cioè un'economia «fortemente competitiva» all'interno dell'eurozona, e pertanto nel suo complesso competitiva anche nei confronti della Cina e dei paesi in crescita dell'ormai ex-Terzo Mondo.

Così, mentre la Cina investe in infrastrutture globali come la nuova Via della Seta, tecnologie aerospaziali e ricerche all'avanguardia in ogni settore, l'Europa cerca di farle concorrenza su produttività e basso costo del lavoro. In questo senso, si capisce che gli obiettivi della «piena occupazione» e del «progresso sociale» sono appunto qualcosa a cui si «mira», un miraggio, un ideale che si sa irrealizzabile. A pensar male, sembrerebbe quasi una presa in giro.

Sta di fatto che noi Italiani eravamo gli artigiani della bellezza, ovvero ciò che tutto il mondo ambiva ad essere, e ci siamo messi a rincorrere gli standard dei lavoratori cinesi. All'Olivetti abbiamo inventato i personal computer e siamo stati all'avanguardia nella robotica con decine di migliaia di fabbriche basate su macchine utensili già orientate all'industria 4.0. Dovevamo scommettere su ciò che ci rendeva unici, invece abbiamo svilito la nostra creatività e creduto alla propaganda contro i nostri governi, lasciando sostituire una Costituzione da uomini liberi, o che provavano ad esserlo, con dei trattati e dei regolamenti di tipo zootecnico, che stabiliscono la varietà e la quantità dei cibi che possiamo consumare, la dignità della nostra vita in relazione alle capacità produttive (per cui i bambini malati vanno uccisi anche contro il parere dei genitori), persino il limite di sangue (denaro) che i nostri paesi possono attingere indebitandosi per continuare a sopravvivere.

Prenderne coscienza non ci farà tornare indietro né superare questa penosa situazione, ma è un primo importante passo. Il futuro può fare paura, perché sempre inquieta l'ignoto, ma non siamo giunti fin qui, attraverso tanti pericoli e sacrifici, per fermarci proprio ora. Non si tratta certo di chiedere “più Europa”, né di domandarci, come dei sommozzatori con le bombole quasi vuote, se sia possibile respirare all'aria aperta, ovvero se ci sia vita fuori dall'euro e dall'Unione Europea. Tutto ciò che dobbiamo fare è rimboccarci le maniche, spiegare le vele e continuare ad avanzare giorno per giorno, seguendo “virtute e canoscenza”, finché la verità ci farà liberi.




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