Voegelin, Pio XI e la reale alternativa al liberalismo ottocentesco tra la crisi del 1929 e quella del 2008
di Guido Copes
I totalitarismi del
Novecento sono stati non solo disastrosi esperimenti politici, ma,
secondo il filosofo Eric Voegelin (1901-1985), anche e innanzitutto
espressioni di una malattia spirituale, ovvero forme particolari di
quella “gnosi moderna” che ha cercato a più riprese di costruire
il Paradiso in Terra1.
All'ideale di un paradiso socialista, vagheggiato con dettagli
diversi da comunisti, fascisti e nazisti, è subentrato così dopo la
seconda guerra mondiale il sogno della “società aperta”2,
della globalizzazione liberista vantaggiosa per tutti3
e di un governo mondiale sussidiario e solidale4.
Il crollo dell'URSS prima e la crisi finanziaria ed economica del
2008 poi hanno spinto numerosi intellettuali a ripensare
profondamente i modelli politici, culturali ed economici
novecenteschi ormai superati. C'è chi ha parlato di “fine della
storia”5,
o più semplicemente di “fine della modernità”6,
ma a mio parere le alternative analoghe proposte in anni recenti da
Dugin e (in parte) Putin in Russia, Bannon e (in parte) Trump negli
Stati Uniti, sono come le reazioni di bambini impauriti e incattiviti
rispetto alle soluzioni eleganti e rigorose espresse da Voegelin e
Pio XI di fronte ai totalitarismi della loro epoca. Purtroppo, la
damnatio memoriae di quel periodo ha fatto dimenticare insieme
al male le risposte e le intuizioni dei più illuminati uomini del
tempo, che però negli ultimi anni stanno venendo riscoperte anche
come profetiche soluzioni ai problemi dei nostri giorni7.
Nel corso delle mie ricerche ho approfondito prima il pensiero di
Voegelin, poi la ricchezza della dottrina sociale della Chiesa,
sintetizzata in modo mirabile e originale da Pio XI. Considerati
insieme e in quest'ordine, i contributi dei due autori formano come
la pars destruens e la pars construens di un'unica
riflessione, di cui nelle pagine seguenti descriverò i tratti
principali, evidenziando i punti di contatto e le differenze tra il
filosofo e il pontefice, ma anche l'attualità del loro pensiero per
la costruzione di un diverso ordine sociale e simbolico.
La sfida al
totalitarismo delle “religioni politiche” del primo Novecento
Quando
si pensa ai totalitarismi politici degli anni '20 e '30 del
Novecento, di solito vengono in mente il nazismo tedesco e il
fascismo italiano, a cui si associa con qualche distinguo il più
longevo regime staliniano. Tuttavia, in una prospettiva “cattolica”,
cioè universale, bisogna considerare adeguatamente anche le
esperienze esterne al mondo europeo, che in quegli anni entrarono in
risonanza coi regimi del vecchio continente, rafforzandone le
rivendicazioni e aumentando la pressione e le preoccupazioni che
gravavano su un pontefice accorto ma particolarmente isolato come Pio
XI (1922-1939)8.
Mi riferisco in particolare agli esiti della rivoluzione contro la
dittatura di Diaz in Messico e della rivoluzione bolscevica in
Russia9.
La rivoluzione messicana, iniziata nel 1910, dopo una lunga fase di
lotte interne trovò una sistemazione politica col governo di Calles
(1924-1928) e dal 1929 col predominio del Partido
Nacional Revolucionario,
nazionalista e autoritario, che confermarono il carattere
anticlericale e anticattolico impresso alla nazione dalla
costituzione del 1917. Similmente, la rivoluzione bolscevica contro
il regime zarista ebbe fin da subito forti connotati anticristiani,
anche per la partecipazione di numerosi ebrei desiderosi di rifarsi
dei torti subiti, e dopo un periodo di scontri portò nel 1922
all'instaurazione dell'Unione Sovietica, regime ateo e autoritario
con una sfera di influenza geopolitica che in breve raggiunse
l'Europa.
Vanno
inquadrate in questo contesto di ateismo montante e diffuso odio
anti-religioso le nascenti “religioni politiche”10
del vecchio continente, ovvero il fascismo italiano (1922-1945) e il
nazismo tedesco (1933-1945). Se il nazionalsocialismo si caratterizza
fin da subito come un regime totalitario, la svolta dittatoriale del
fascismo viene comunemente ricondotta al discorso di Mussolini in
parlamento del 3 gennaio 1925, successivo all'omicidio del deputato
socialista Giacomo Matteotti. Nel giro di pochi mesi numerosi
intellettuali si allinearono alle istanze del regime, in una
situazione di volontario «assoggettamento
a ferrea disciplina»11.
Tuttavia, il fascismo rimase a lungo un “totalitarismo
imperfetto”12,
anche per la presenza della monarchia e soprattutto della Chiesa13,
e per la storia che ci interessa va sottolineata un'altra divergenza
tra i due regimi, ovvero l'iniziale diffidenza di Mussolini nei
confronti di Hitler, che nell'estate del 1934 portò i due dittatori
a un passo dal conflitto armato.
Mi
riferisco ai fatti avvenuti a Vienna, dove allora Voegelin insegnava
sociologia all'università. Il 26 luglio un commando di nazisti
austriaci uccise il cancelliere Dollfuss durante una riunione del
consiglio dei ministri, mentre la sua famiglia si trovava ospite di
Mussolini a Riccione. Dolffuss si era avvicinato al Duce proprio per
tentare di proteggere l'Austria dalla crescente aggressività dei
connazionali nazisti sostenuti dalla Germania, e in effetti la
reazione dell'Italia fu netta e immediata. Mussolini con un volo
diretto fece precipitosamente rientrare a Vienna da Venezia dove si
trovava in vacanza il vice-cancelliere Starhemberg, che insieme al
ministro della giustizia von Schuschnigg e forze fedeli ebbe la
meglio sui rivoltosi, inoltre inviò al Brennero quattro divisioni
per far capire a Hitler che un'eventuale invasione dell'Austria non
sarebbe stata tollerata. Come sappiamo l'Anschluss
fu soltanto rinviato di quattro anni, ma è proprio in questo periodo
che matura la filosofia politica di Voegelin ispirata anche da Pio
XI.
Il cosiddetto “stato autoritario” avviato dal cattolico Dolffuss
in Austria, infatti, fu direttamente influenzato dalla dottrina
sociale della Chiesa espressa nell'enciclica Quadragesimo Anno del
1931. Scrive a tal proposito Voegelin nella sue Riflessioni
Autobiografiche:
La resistenza
austriaca al nazismo portò, dopo il 1933, alla situazione di guerra
civile del 1934 ed alla formazione del cosiddetto stato autoritario.
Poiché la concezione dello stato autoritario era strettamente legata
alle idee della Quadragesimo
anno, oltre che alle
precedenti encicliche papali sulle questioni sociali, mi era
necessario accedere a questi materiali, e non potevo farlo in maniera
veramente profonda senza acquisire una qualche comprensione del loro
fondamento nella filosofia tomista. Negli anni 1935-36 iniziarono a
svilupparsi i miei interessi in direzione del neotomismo. Lessi le
opere di A.D. Sertillanges, Jacques Maritain, Ètienne
Gilson e fui ancora più affascinato dai gesuiti – non tanto
tomisti quanto agostiniani – come Hans Urs von Balthasar ed Henri
de Lubac. A questi studi, durati molti anni, devo la mia conoscenza
della filosofia medievale e dei suoi problemi.14
Al tema dello stato autoritario Voegelin dedicò un libro nel
193615,
la cui vendita fu bloccata dai nazisti due anni dopo16.
L'opera aveva anche uno scopo pratico, dovendo servire all'autore
come titolo per poter insegnare scienze politiche17,
ma alla luce della successiva produzione testimonia il travaglio
interiore di Voegelin, che in quegli anni si predisponeva al distacco
dalla nativa Austria, «dal
punto di vista dei “luoghi” – preparandosi all'emigrazione
negli Stati Uniti – e dal punto di vista più propriamente
teorico-metodologico»18.
Nel libro infatti Voegelin ribadisce la distanza dall'ex maestro
Kelsen riguardo alla “dottrina pura del diritto” (Reine
Rechtslehre)19,
a cui contrappone una Staatslehre
che identifica lo
Stato come qualcosa di più della somma delle leggi, un “di più”
in cui i simboli, il linguaggio e altri elementi dell'analisi
filosofica rivelano gli sviluppi dei suoi studi20.
Quest'opera e la successiva
sulle «religioni
politiche» del 1938
esprimono il tentativo di Voegelin di contrastare gli ideologi e i
corruttori del linguaggio, da lui ritenuti i veri responsabili delle
future atrocità naziste21.
Per Voegelin, «gli
ideologi avevano perduto il contatto con la realtà e sviluppavano
simboli che, non esprimendola, esprimevano piuttosto il proprio stato
di alienazione rispetto ad essa».
Il suo avvicinamento alla filosofia si spiega quindi anche col
tentativo di «restaurare
la realtà per mezzo della restaurazione del linguaggio»22.
A questo proposito, è utile citare ciò che scrive nelle sue memorie
sui fatti del 1934 e le ricerche di quel periodo:
La
situazione a Vienna diventò più tesa con gli eventi della guerra
civile nel 1934. In quell'occasione si manifestò con evidenza la
disastrosa disintegrazione della società centroeuropea operata dagli
ideologi. Vi era un governo austriaco che resisteva fermamente
all'avanzata del nazismo, ma che era messo in pericolo
dall'opposizione per quanto riguarda l'efficacia della sua azione,
perché il partito socialdemocratico, in ossequio alla propria
ideologia marxista, non voleva riconoscere che un piccolo paese come
l'Austria dovesse adattarsi alle pressioni politiche del tempo. La
virata dell'Austria verso Mussolini, per proteggersi dal peggior male
rappresentato da Hitler, stava, a quanto pare, al di là della
capacità di comprensione degli ardenti marxisti che non avrebbero
fatto nient'altro che strillare: «fascismo!».
(…)
Il
risultato di questi anni di tensione successivi al 1933 fu il mio
studio su Der
autoritäre
Staat,
pubblicato nel 1936. Era il mio primo serio tentativo di penetrare il
ruolo delle ideologie, di destra e di sinistra, nella situazione
contemporanea, e di comprendere che uno stato autoritario che tenesse
in scacco gli ideologi radicali sarebbe stato la miglior difesa
possibile per la democrazia.23
Negli anni '30 dunque Voegelin
incluse la filosofia tra i suoi interessi scientifici, stimolato
dalla situazione contingente del suo paese24
e dal tentativo politico di opposizione al nazismo ispirato
dall'enciclica sociale di Pio XI. Già in preparazione del suo primo
libro sulla razza del 193325
aveva scoperto che «una
teoria politica, specie nel caso dovesse essere applicata all'analisi
delle ideologie, doveva fondarsi sulla filosofia classica e su quella
cristiana»26,
mentre l'anno successivo presso il Warburg Institute di Londra ebbe
il suo primo contatto coi simboli dello gnosticismo27.
Il precoce interesse per la storia delle idee trovò quindi, come
abbiamo visto, un duraturo oggetto di studio nella
filosofia medievale cristiana su cui si basava la Quadragesimo
Anno. Da lì in poi,
specialmente dopo il trasferimento negli Stati Uniti nel 1938, questa
ricerca sulle idee politiche e un possibile ordine nella storia
occupò tutta la vita di Vogelin. In particolare, per comprendere a
fondo il cristianesimo ne studiò le origini ebraiche, imbattendosi
nella cultura mediterranea dei secoli precristiani;
dall'approfondimento della filosofia greca si spinse fino a studiare
la cultura cinese e altre forme di organizzazione sociale non
ispirate dal pensiero occidentale, cercando ogni volta di leggere i
testi delle varie culture nelle lingue originali28.
I risultati di questa ricerca sono raccolti nella sua opera maggiore,
Ordine e Storia,
a cui accennerò più avanti.
Il confronto di Pio XI coi
regimi totalitari degli anni '30 avvenne invece su due fronti. Se da
un lato il Papa cercò e stipulò accordi diplomatici (nel '29 il
concordato con l'Italia, nel '33 quello con la Germania) per limitare
le persecuzioni e le discriminazioni nei confronti dei cattolici29,
dall'altro vigilò costantemente sulle derive eterodosse o
apertamente neopagane delle due «religioni
politiche», fino a
condannarne gli eccessi con encicliche significativamente scritte
nelle lingue nazionali (Non Abbiamo Bisogno del '31 e Mit
Brennender Sorge del '38).
Nonostante l'iniziale
ammirazione per le doti personali di Mussolini e il sincero impegno a
trovare una conciliazione col nuovo regime per il bene della Chiesa,
dei cattolici italiani e dell'Italia30,
l'opposizione alle crescenti pretese totalitarie del fascismo fu
ferma e puntuale, anche dando nuovi slanci e significati a istituti
precedenti. Al mito del Duce, Pio XI rispose col culto del Sacro
Cuore31,
contro l'organizzazione fascista della gioventù difese e rilanciò
l'Azione Cattolica32,
alle celebrazioni del regime e delle sue vittorie contrappose gli
appelli per la pace di Cristo nel regno di Cristo e la festa
della sua regalità sociale33.
Non mi soffermo su questi temi
che riprenderò a proposito del confronto culturale con la modernità,
ma vorrei sottolineare che, per Papa Ratti, nell'accesa disputa col
regime per il controllo delle anime (e dei corpi)34
degli Italiani, l'oggettiva debolezza politica della Chiesa era
compensata dalla sua autorità morale, per cui tutti i capi delle
nazioni avrebbero dovuto «prestare
pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di
Cristo insieme coi loro popoli, […]
richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi
ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire
le leggi, sia nell'amministrare la giustizia, sia finalmente
nell'informare l'animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità
dei costumi»35.
Si capisce quindi perché, già all'indomani della firma dei Patti
Lateranensi, «il
Sant'Uffizio non si lasciò scappare ogni occasione per sottolineare
l'eterodossia di certe pubblicazioni vicine al fascismo, ribadendo
così la distanza della Chiesa da un regime che mirava, nei mesi
seguenti al Concordato, ad affermare una liturgia alternativa a
quella cattolica»36.
Va in questo senso ad esempio la netta bocciatura della “Preghiera
del Balilla”, per cui nell'autunno del 1929 fu richiesta
l'approvazione all'arcivescovo di Gorizia da parte del fascio locale,
in «rispettosa
osservanza» del nuovo
clima di collaborazione tra Stato e Chiesa37.
La politica del Sant'Uffizio, modellata sulla linea di Pio XI, si
esplicò quindi in una «chiusura
totale alle contaminazioni tra due liturgie, quella cattolica e
quella fascista, che non potevano – e non dovevano – coesistere
nemmeno dopo la firma dei Patti del Laterano»38.
La sfida al
totalitarismo immanentista della cultura moderna
Il motivo principale per
cui Eric Voegelin è ancora oggi studiato e ricordato nei manuali di
filosofia e storia del pensiero politico è il risultato della sua
ricerca, stimolata come abbiamo visto dal confronto con le “religioni
politiche” degli anni '30, sulle varie forme di immanentizzazione
della verità e dei significati esistenziali dell'uomo. Queste
esperienze, raggruppate sotto il nome collettivo di gnosi o
gnosticismo39,
dal XIII secolo40
diventano per l'autore sempre più frequenti nel mondo occidentale
fino a caratterizzare la modernità, in cui «si
assiste a una serie di movimenti e dottrine che ricercano la salvezza
non nella trascendenza ma nella politica»41.
Tuttavia, come ha fatto notare ironicamente Voegelin, «l'idea
di interpretare i fenomeni contemporanei come gnostici non è
originale come può sembrare agli ignorantoni che mi hanno per essa
criticato»42.
Infatti, ebbe l'intuizione di applicare lo gnosticismo alle ideologie
moderne leggendo l'introduzione di Hans Urs von Balthasar al
Prometeo,
pubblicata nel 193743,
ma «a partire dagli anni '30 era venuta crescendo una considerevole
letteratura sullo gnosticismo ed osservazioni incidentali sui suoi
paralleli nella modernità potevano essere ritrovati qui o là»44.
Nella
sua fondamentale opera del 1952, La
nuova scienza politica,
Voegelin sostiene che la percezione della trascendenza si sviluppa
nel mondo greco e viene indagata dalla filosofia classica. Prima
infatti, ad esempio nell'impero cinese, esisteva una concezione
estremamente “compatta” della società, presentata «ai
cittadini-sudditi come l'espressione politica di un ordine cosmico di
origine divina»45.
A partire dalla polis
greca invece l'individuo scopre di essere in rapporto dialettico con
la divinità, per cui anche i regimi politici si pensano e
legittimano in modo “articolato” in relazione alla trascendenza46.
Secondo Voegelin, la filosofia classica di Platone e Aristotele è
“noetica”, in quanto «ragione, nous,
è il nome che i filosofi classici danno alla coscienza che l'uomo ha
della tensione verso il fondamento divino dell'esistenza». Al
contrario, «nella cosiddetta Età della Ragione, i philosophes,
quegli stessi che Platone definiva “amanti dell'opinione”,
concepiscono una ragione che abbia come unico scopo l'eclissamento
della non ancora deformata ragione esistenziale dell'uomo»47.
La successiva storia occidentale «assume dunque agli occhi di Voegelin l'aspetto di un conflitto sempre aperto fra noesi e gnosi, fra la consapevolezza che la politica deve aprirsi alla trascendenza attraverso la soggettività e i tentativi delle nuove religioni politiche di costringere la trascendenza all'interno della politica, rappresentandola in simboli compatti»48. La sua proposta per resistere alle ideologie e ai totalitarismi è quindi tornare a fare filosofia in senso classico, ovvero recuperare la realtà depurando il linguaggio dai costrutti sociali ideologici e non escludendo sistematicamente dall'analisi la tensione dell'uomo verso il divino49. Inoltre, per Voegelin è necessario costruire una nuova scienza politica basata su questi presupposti. La scienza politica moderna, infatti, deriva dal pensiero di Hobbes, che per opporsi ai disordini suscitati dagli gnostici della sua epoca, i rivoluzionari puritani inglesi, nel Leviatano propose di ridurre il cristianesimo a una teologia civile, negando «l'esistenza di una tensione tra la verità dell'anima e la verità della società»50. Benché in ogni epoca sia necessaria anche una theologia civilis, «l'idea di risolvere le difficoltà della storia con l'invenzione di una costituzione destinata a durare per l'eternità» è un'operazione gnostica che non può funzionare finché la verità dell'anima continuerà ad agitare l'uomo51.
La successiva storia occidentale «assume dunque agli occhi di Voegelin l'aspetto di un conflitto sempre aperto fra noesi e gnosi, fra la consapevolezza che la politica deve aprirsi alla trascendenza attraverso la soggettività e i tentativi delle nuove religioni politiche di costringere la trascendenza all'interno della politica, rappresentandola in simboli compatti»48. La sua proposta per resistere alle ideologie e ai totalitarismi è quindi tornare a fare filosofia in senso classico, ovvero recuperare la realtà depurando il linguaggio dai costrutti sociali ideologici e non escludendo sistematicamente dall'analisi la tensione dell'uomo verso il divino49. Inoltre, per Voegelin è necessario costruire una nuova scienza politica basata su questi presupposti. La scienza politica moderna, infatti, deriva dal pensiero di Hobbes, che per opporsi ai disordini suscitati dagli gnostici della sua epoca, i rivoluzionari puritani inglesi, nel Leviatano propose di ridurre il cristianesimo a una teologia civile, negando «l'esistenza di una tensione tra la verità dell'anima e la verità della società»50. Benché in ogni epoca sia necessaria anche una theologia civilis, «l'idea di risolvere le difficoltà della storia con l'invenzione di una costituzione destinata a durare per l'eternità» è un'operazione gnostica che non può funzionare finché la verità dell'anima continuerà ad agitare l'uomo51.
Per la Chiesa cattolica,
la sfida della gnosi moderna venne espressa soprattutto dal
modernismo teologico. In senso stretto, le idee moderniste si
svilupparono «in
mezzo allo scetticismo filosofico universale nato da Descartes, da
Hume e da Kant»52,
furono influenzate da ideologie gnostiche come il marxismo, il
positivismo e lo scientismo53,
ma soprattutto risentirono delle novità introdotte
dall'esegesi biblica protestante54.
Il più importante traduttore di queste istanze in ambito cattolico
fu il biblista Alfred Loisy (1857-1940), sostenitore della
distinzione tra storia e teologia, ovvero dell'indipendenza
dell'esegesi biblica dall'autorità della Chiesa55.
Grande rilevanza ebbero anche il teologo gesuita irlandese George
Tyrrell (1861-1909), critico dei dogmi e delle istituzioni in base
alle nuove scoperte storiche e scientifiche56,
e il teologo Lucien Laberthonnière (1860-1932), secondo cui la
ricerca spirituale personale è superiore ai dogmi e alla teologia
ufficiale cattolica, pesantemente condizionata dal pensiero greco57.
Vanno ricordati infine almeno i filosofi Murice Blondel (1861-1949),
teorico dell'azione e dell'interiore ricerca spirituale58,
ed Édouard Le Roy (1870-1954), discepolo del filosofo ebreo Henri
Bergson, da cui riprese la critica al positivismo e l'interesse per
la trascendenza59,
intesa però come percezione di Dio da parte dell'anima umana,
svalutando quindi l'importanza della Chiesa e dei dogmi, ritenuti
formule utili a evitare errori (come certe schematiche proposizioni
della scienza) ma lontane dell'esperienza e impossibili da analizzare
razionalmente60.
Il modernismo italiano
derivò da queste ricerche e si sviluppò nell'ambito degli studi
religiosi, in particolare a partire dal 1901 con la pubblicazione del
periodico Studi biblici fondato dal presbitero Salvatore
Minocchi (1869-1943)61.
Collaboratore di Minocchi e a sua volta sacerdote e fondatore di
riviste fu lo storico del cristianesimo Ernesto Buonaiuti
(1881-1946)62,
forse il più noto tra gli esponenti italiani del modernismo assieme
allo scrittore Antonio Fogazzaro (1842-1911), autore nel 1905 del
romanzo Il Santo, e al sacerdote impegnato in politica Romolo
Murri (1870-1944). Il particolare interesse dei modernisti italiani
per la politica e il rinnovamento sociale fu testimoniato anche da
Giovanni Semeria (1867-1931), sacerdote e oratore, la cui formazione
venne segnata dalle lezioni sul marxismo tenute all'università La
Sapienza da Antonio Labriola63.
La reazione della Chiesa
all'avanzata di questa corrente di pensiero fu netta e relativamente
pronta, in particolare durante il pontificato di Papa Sarto
(1903-1914), che seppe coniugare critica, militanza e proposta, a
cominciare dal catechismo del 190564.
Nel luglio 1907 il Sant'Uffizio emanò un decreto di condanna65
di 65 affermazioni moderniste, «da
riprovarsi e condannarsi»,
riprese in forma ampliata due mesi dopo nell'enciclica Pascendi
Dominici Gregis66.
Il documento pontificio stupisce per l'approccio didascalico e
insieme il frequente ricorso al «barbaro
linguaggio»
dei modernisti, ma Pio X intendeva chiarire che il modernismo non era
un insieme di «vaghe
dottrine non unite da alcun nesso»,
bensì «un
corpo unico e ben compatto»
in cui era possibile riconoscere «la
sintesi di tutte le eresie»67.
Facendo abbondante uso di documenti conciliari e magisteriali
precedenti, come quelli del Vaticano I e il Sillabo
di Pio IX68,
per mostrare che il modernismo in fondo «non
ha filo di novità»,
se non l'uso di «arti
affatto nuove e piene di astuzia»
e una sorta di «frenesia»,
Pio X analizza sistematicamente gli errori di ciascuno dei sette tipi
o aspetti del modernista, «quelli cioè di filosofo, di credente, di
teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore».
In
sintesi, la filosofia modernista, che illumina e dirige gli altri
aspetti, per Pio X è composta da una parte negativa, l'agnosticismo
che elimina Dio come oggetto diretto della scienza, e da una parte
positiva, l'immanenza vitale che spiega ogni fenomeno come risposta a
un determinato stimolo o bisogno. Il fenomeno della fede opererebbe
inoltre una trasfigurazione e uno sfiguramento della realtà, per cui
ad esempio dal Cristo della fede per il modernista bisognerebbe
togliere, oltre a tutto ciò che attiene alla divinità, quello che
la fede gli ha attribuito ma supera o non è coerente alle condizioni
storiche studiate dalla scienza positiva. Come il filosofo, anche il
teologo modernista applica i principi dell'immanenza e del
simbolismo, concludendo che “Dio è immanente nell'uomo” e che
“le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche”, per
cui i dogmi vanno adattati al sentimento religioso dei credenti e
tutte le religioni sono vere in quanto sussistono e sono state
originate da una reale esperienza. Dopo aver smontato il gioco
modernista rivelandone gli inganni, Pio X passa al contrattacco
stabilendo di rafforzare i tre principali ostacoli incontrati dai
modernisti, ovvero «il metodo scolastico di ragionare, l'autorità
dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico», ed
eliminare ove possibile le idee moderniste, allontanando o isolandone
i propagatori e proibendone o limitandone la divulgazione attraverso
convegni, libri e giornali.
Negli
anni seguenti, le disposizioni dell'enciclica vennero applicate
rigidamente, con scomuniche69,
sospensioni a divinis e
allontanamenti, ma anche con l'istituzione di una rete di
informatori, il cosiddetto Sodalitium Pianum70,
e l'obbligo per i membri del clero di un giuramento antimodernista71.
Inoltre, la Chiesa sostenne l'impegno civile e politico dei laici non
modernisti, in particolare attraverso l'Azione Cattolica, istituita
nel 1905 con l'enciclica Il fermo proposito72
(dopo lo scioglimento l'anno prima dell'Opera dei Congressi di
Murri), e l'Unione Elettorale Cattolica Italiana di Gentiloni, che
portò i cattolici a schierarsi a fianco del liberali giolittiani
nelle elezioni del 1909 e del 191273.
Va sottolineata anche la “sponsorizzazione” papale del neotomismo
in funzione antimodernista, iniziata da Leone XIII con l'enciclica
Aeterni Patris del 1879. Per Pio X, infatti, la filosofia
scolastica, con cui si doveva «precipuamente intendere quella di San
Tommaso di Aquino”, doveva essere il fondamento degli studi
teologici nei seminari, perché «il discostarsi dall'Aquinate,
specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno»74.
Ebbero quindi nel mondo cattolico un'ottima accoglienza gli studi che
ne riproponevano e attualizzavano il pensiero, come quelli di Martin
Grabmann75,
Antonin-Dalmace Sertillanges76
e Réginal Garrigou-Lagrange, che sviluppò in particolare il concetto di “senso comune” come fondamento della filosofia
dell'essere e dei dogmi, in funzione antimodernista77.
Dopo la tragica
parentesi della guerra che segnò il breve pontificato di Benedetto
XV (1914-1922)78,
gli stessi strumenti antimodernisti vennero riproposti da Pio XI, che
non a caso prese anche il nome di Papa Sarto. La sua continuità coi
predecessori venne indicata già nell'enciclica programmatica del
1922 Ubi Arcano Dei Consilio: «Pio
X, proponendosi di “restaurare
tutto in Cristo”,
quasi per un divino istinto preparava la prima e più necessaria base
a quella “opera di
pacificazione”, che
doveva essere il programma e l’occupazione di Benedetto XV. E
questi due programmi dei Nostri Antecessori Noi congiungiamo in uno
solo: la restaurazione del regno di Cristo per la pacificazione in
Cristo: “La pace di
Cristo nel regno di Cristo”»79.
In questa enciclica non
c'è un attacco diretto al modernismo, di cui però vengono deplorati
gli effetti. Infatti, «derivando
ogni autorità non da Dio, ma dagli uomini»,
sono andate in rovina la società, la famiglia e la scuola, mentre il
materialismo dilagante ha preparato il terreno «alla
vasta propaganda di anarchia e di odio sociale degli ultimi tempi»
sfociata infine nella «guerra
mondiale»80.
Vana è quindi la pace firmata dagli uomini ma assente nei cuori,
come la formazione della Società delle Nazioni nel 1919, perché
«non
vi è istituto umano che possa dare alle nazioni un codice
internazionale, rispondente alle condizioni moderne, quale ebbe,
nell’età di mezzo, quella vera società di nazioni che fu la
cristianità»81.
Infatti,
la
Chiesa sola possiede, vera ed inesauribile, la capacità di
efficacemente combattere quel materialismo, che tante ruine ha già
accumulate e tante altre ne minaccia alla società domestica e
civile, e di introdurvi e mantenervi il vero e sano spiritualismo, lo
spiritualismo cristiano, che di tanto supera in verità e praticità
quello puramente filosofico, di quanto la rivelazione divina sovrasta
alla pura ragione: la capacità ancora di farsi maestra e
conciliatrice di sincera benevolenza, insegnando ed infondendo alle
collettività ed alle moltitudini lo spirito di vera fraternità, e
nobilitando il valore e la dignità individuale con l’elevarla fino
a Dio; la capacità, infine, di correggere veramente ed efficacemente
tutta la vita privata e pubblica, tutto e tutti assoggettando a Dio,
che vede i cuori, alle sue ordinazioni, alle sue leggi, alle sue
sanzioni; penetrando così nel santuario delle coscienze, tanto dei
cittadini quanto di coloro che comandano, e formandole a tutti i
doveri ed a tutte le responsabilità, anche nei pubblici ordinamenti
della società civile, perché “sia tutto e in tutti Cristo”82.
Affinché Cristo domini
sulla società attraverso la Chiesa, Pio XI invoca la collaborazione
di tutti i vescovi, del clero e dei battezzati, perché si rafforzino
e sviluppino sempre più le varie opere di apostolato, tra cui
l'Azione Cattolica, anche per contrastare quelle «idee
non rette e non sani sentimenti»
che hanno infettato l'atmosfera postbellica, specialmente nel campo
della dottrina sociale, generando una sorta di «modernismo
morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo
dogmatico»83.
Pio XI era molto preoccupato da questa «peste
della nostra età»,
come la chiama nella Quas
Primas, ovvero «il
cosiddetto laicismo»,
per cui «a poco a poco la
religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false» e poi
alcuni «pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo
sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono
di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione
nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso»84.
Così, per infondere nuovi stimoli alla Chiesa e disperdere gli
effluvi del modernismo, come abbiamo visto istituì o promosse varie
festività e culti religiosi, come l'anno Santo del 1925, la
celebrazione del Sacro Cuore85
e la festa di Cristo Re.
Quest'ultima
iniziativa, promossa con l'enciclica Quas
Primas nel 1925, a mio
parere esprime bene la duplice azione pastorale di Pio XI, che da una
parte contrastò la cultura dominante immanentista già condannata
dai suoi predecessori, dall'altra e con maggiore impegno si dedicò
alla ricostruzione culturale e morale, ovvero all'edificazione di
un'ideale ma realistica società cristiana. Durante il suo
pontificato non mancarono gli atti di dura presa di posizione
antimodernista, come la condanna del libro di Mario Missiroli Date
a Cesare86,
ma poiché su questi temi si era già espresso chiaramente Papa
Sarto, Pio XI si dedicò soprattutto al consolidamento della teologia
morale87,
e in particolare della dottrina sociale della Chiesa.
La ricerca di un nuovo
ordine culturale e sociale
Fin qui abbiamo visto la
contrapposizione di Voegelin e Pio XI ai totalitarismi politici e la
loro critica al totalitarismo culturale immanentista. Considerando
però le rispettive proposte per superare la crisi della modernità,
emergono ulteriori punti di contatto nella ricerca di un nuovo
ordine, ma anche profonde e sostanziali differenze. Voegelin infatti
è un filosofo che risente in modo significativo del clima culturale
laico e modernista in cui è cresciuto. Per centrare subito la
questione, la sua critica della modernità si inserisce all'interno
di una critica radicale ad ogni sistema chiuso, tra cui include anche
la teologia dogmatica.
Per Voegelin, alla base
della ricerca filosofica ci sono le esperienze della trascendenza,
che vengono poi espresse in simboli e concetti (tra cui i dogmi
cattolici), i quali però invece di comunicare l'esperienza spesso
finiscono per oscurarla, specialmente se danno origine a un sistema.
A suo parere, la comparsa della “scienza dell'essere” cattolica,
ovvero l'ontologia tomistica o “metafisica”, «segna
lo sforzo, in ambito occidentale, di liberare la filosofia da un
dogma che (…) va imponendosi come una dottrina autonoma»88.
Questo tentativo di ristabilire il valore dell'esperienza però non
avrebbe avuto successo anche perché «si
avverte, nell'opera di Tommaso, la tendenza della scienza dell'Essere
di costituirsi – come poi avvenne nei secoli moderni – come una
verità autonoma»89.
Di conseguenza, Comte ed Hegel «possono
essere considerati i primi
rappresentanti di una
rivolta contro lo stato di degenerazione in cui versava la verità
dell'esistenza a causa della teologia dogmatica e della metafisica
del XVIII secolo»90.
Per Voegelin quindi anche
la gnosi moderna nasce come un tentativo di opporsi ai dogmatismi,
che però, a causa della «hybris
illuminista»,
dà origine ad altri «sistemi
chiusi»
come quello positivista di Comte o idealista di Hegel, ciascuno dei
quali si presenta di volta in volta come la verità definitiva della
storia91.
Nonostante
la ferma avversione ad ogni schematismo imposto dall'alto, si può
dire che tutta la ricerca di Voegelin ruoti attorno al concetto di
“ordine”, inteso sia come «la
struttura della realtà così come viene esperita»,
sia come «l'accordarsi
dell'uomo ad un ordine che non è opera sua, cioè l'ordine
cosmico»92.
Nella prima parte della sua carriera, a partire dagli studi
giuridici, si era impegnato per sviluppare una storia delle idee
politiche, ma prendendo coscienza del suddetto rapporto di dipendenza
e falsificazione tra idee ed esperienze, il centro dei suoi interessi
si spostò «dalle idee
alle esperienze della realtà, che, per articolarsi, generano una
varietà di simboli»93,
attraverso cui le esperienze stesse possono essere interpretate.
Nacque così Ordine e Storia, la sua opera più importante,
pubblicata in cinque volumi, di cui l'ultimo postumo, tra il 1956 e
il 1987. Secondo il piano originario, l'opera doveva ripercorrere la
storia delle esperienze e delle loro simbolizzazioni a partire da
quelle mediorientali e israelitiche sino a Cristo (I volume), per poi
analizzare l'evoluzione della filosofia greca, dalle origini
cosmologiche fino alla differenziazione noetica (II e III volume),
quindi proseguire con studi sull'Impero, sull'imperialismo e lo
spiritualismo medievale, e infine terminare con la modernità94.
Tuttavia, il lavoro si interruppe già nel 1957 dopo il terzo volume,
a causa degli impegni accademici di Voegelin ma soprattutto dello
sviluppo degli studi storici, che aveva fatto emergere nuove fonti,
in particolare sulla preistoria dei simboli studiati fino ad allora,
e reso obsoleta la sua concezione lineare della storia. Il quarto
volume su L'età ecumenica uscì quindi solo nel 1974, e come
abbiamo visto l'ultimo, dal significativo titolo In cerca
dell'ordine, sulle più recenti scoperte e la sua personale
filosofia della coscienza e della storia, due anni dopo la morte
dell'autore95.
In
sintesi, il contributo principale di Voegelin alla ricostruzione di
un ordine sociale ed esistenziale sta a mio parere soprattutto nella
sua lucida analisi del disordine moderno e dello stato di alienazione
dell'uomo contemporaneo rispetto alla propria essenza. Le società
gnostiche per Voegelin si configurano come “mondi di sogno” in
cui il rifiuto individuale della realtà viene elevato a sistema, per
cui è impossibile a livello politico analizzare razionalmente i
problemi e rispondere ad essi in modo adeguato, col risultato di
generare uno stato di guerra permanente destinato a distruggere le
società stesse96.
La sua critica radicale al pensiero moderno, compiuta dall'interno e
con gli strumenti rigorosi della filosofia, mettendo in discussione
perfino la possibilità del linguaggio filosofico di esprimere la
realtà97,
ha avuto secondo me per le scienze politiche e sociali la stessa
rilevanza che i teoremi di incompletezza di Gödel
hanno avuto per la matematica e le scienze naturali98.
Risulta invece meno incisiva l'ultima elaborazione filosofica di
Voegelin sulle esperienze della trascendenza, giunta a noi
soprattutto tramite appunti inediti, che recupera concetti come la
“visione” di Platone, la “deiformitas” di San Tommaso (Summa
Theol. I, 12,4) e il “transumanar” di Dante (Par. I,
70) per sostenere l'importanza della meditazione in quanto atto
filosofico autonomo, che permette di fare esperienza dell'oltre
«come di una presenza
fonte di immortalità nell'atto della riflessione»99.
Ben
diversa è la consistenza della proposta esistenziale e sociale
cattolica sintetizzata in modo innovativo e profetico da Papa Ratti.
Come abbiamo visto, infatti, nella sua prima enciclica Pio XI ha
ribadito l'esistenza di un ordine cosmico, avente in Dio il
fondamento e il fine. Quest'ordine è iscritto nel senso comune di
ogni uomo, trova corrispondenza nel diritto naturale ed è spiegato
dalla teologia scolastica, su cui si basa l'autorità della Chiesa
anche in campo morale. Dal '29 al '35 il Papa pubblica quindi le
encicliche che vengono ricordate come le “quattro colonne” della
sua teologia morale, riguardanti l'individuo (Divini Illius
Magistri del '29), la
famiglia (Casti Connubii del '30), la società civile
(Quadragesimo Anno del '31) e la Chiesa (Ad Catholici
Sacerdotii del '35). Già questa sequenza riflette l'idea di
ordine di Pio XI, ripercorrendo lo sviluppo della società dai suoi
elementi di base a quelli complessi secondo il principio di
sussidiarietà, per cui il più grande aiuta il più piccolo in ciò
che quest'ultimo non riesce a fare, preservando per il resto la sua
autonomia sancita dal diritto naturale. La Chiesa che è in cima ha
il compito di guidare e servire tutti gli altri corpi sociali,
dirigendo la ricostruzione dell'ordine corrotto dalle idee moderniste
secondo un principio chiarito nella Casti Connubii:
Aiuterà
a ciò principalmente il ricordare quella massima certissima, che è
comunemente ammessa dalla sana filosofia e dalla sacra teologia: che
per ricondurre al loro pristino stato, secondo la loro natura, le
cose che hanno deviato dalla rettitudine, non vi è altra via che di
riportarle a conformità della ragione divina, la quale (come insegna
l’Angelico) è l’esemplare della perfetta rettitudine100.
Ovviamente,
affinché sia conosciuto il disegno divino riguardo alle cose della
vita e al destino eterno dell'uomo, occorre che qualcuno lo trasmetta
ai giovani con un'istruzione cristiana. A questo tema è dedicata la
prima enciclica morale, Divini Illius Magistri del 31 dicembre
1929. Certamente l'enciclica è motivata anche dal confronto con
l'educazione impartita in quegli anni da regimi laicisti e totalitari
come quello sovietico in Russia, «un
paese dove si strappano i fanciulli dal seno della famiglia, per
formarli (o, per più veramente dire, per deformarli e depravarli),
in associazioni e scuole senza Dio, all'irreligiosità e all'odio,
secondo le estreme teorie socialiste», e fascista in Italia, dove le
liturgie laiche basate su un «nazionalismo esagerato e falso»
tentavano di scalzare quelle cattoliche, eccedendo «i giusti limiti
nell'ordinare militarmente l'educazione così detta fisica dei
giovani (e talora anche delle giovinette, contro la natura stessa
delle cose umane), spesso ancora invadendo oltre misura, nel giorno
del Signore, il tempo che deve restare dedicato ai doveri religiosi,
e al santuario della vita familiare». Soprattutto, però, Pio XI
contestava i principi modernisti dell'educazione, ovvero «ogni
naturalismo pedagogico, che in qualsiasi modo escluda o menomi la
formazione soprannaturale cristiana nell'educazione della gioventù»
e «ogni metodo di educazione che si fondi, in tutto o in parte,
sulla negazione o dimenticanza del peccato originale e della Grazia e
quindi sulle sole forze dell'umana natura». Al contrario, viene
ribadito che «l'educazione consiste essenzialmente nella formazione
dell'uomo, quale egli deve essere e come deve comportarsi in questa
vita terrena per conseguire il fine sublime per il quale fu creato».
Pertanto, «la missione dell'educazione spetta innanzi tutto,
soprattutto, in primo luogo alla Chiesa e alla Famiglia, spetta a
loro per diritto naturale e divino, e perciò in modo inderogabile,
ineluttabile, insurrogabile». Lo Stato, essendo interessato alla
formazione di bravi cittadini, deve quindi proteggere il diritto
anteriore della famiglia e della Chiesa all'educazione, rimuovendo le
cause contrarie, orientando tutta l'istruzione pubblica ai principi
religiosi e sostenendolo economicamente le scuole cattoliche101.
Esattamente
un anno dopo, il 31 dicembre del 1930, viene pubblicata l'enciclica
sul matrimonio cristiano Casti Connubii. Anche in questo caso,
la fonte di tutti i mali moderni è ricondotta alla credenza secondo
cui «il matrimonio non ha
origine da divina istituzione, né è stato dal Signor Nostro Gesù
Cristo sollevato alla dignità di Sacramento, ma è un’umana
invenzione». Da ciò
derivano la pretesa degli stati di separare il matrimonio civile da
quello religioso, le giustificazioni dei metodi anticoncezionali,
dell'aborto e delle pratiche eugenetiche, le presunta libertà dei
singoli riguardo alla convivenza, al divorzio, all'uso della
sessualità e del proprio corpo, anche per rendersi sterili. Al
contrario, «la ragione sacra del
coniugio, che va intimamente connessa con la religione e con l’ordine
delle cose sacre, risulta sia dall’origine sua divina, che abbiamo
ricordato, sia dal suo fine, che è generare ed educare a Dio la
prole e condurre parimenti a Dio i coniugi mediante l’amore
cristiano e il vicendevole aiuto». Pertanto, al fine di «ricondurre
il retto ordine nella materia matrimoniale», opponendosi agli
«odierni fautori del neopaganesimo», i sacerdoti devono guidare i
giovani, correggendone le inclinazioni disordinate e fortificandone
la volontà, istruire le giovani coppie sulle leggi e i precetti
della Chiesa, in particolare sul valore del matrimonio, infine
assisterle coi sacramenti e rafforzarne la pietà verso Dio. Tutto
ciò però sarebbe inutile senza la ferma volontà dei coniugi di
«attenersi ai comandamenti di Dio in tutto ciò che riguarda il
matrimonio» e senza il sostegno della comunità e dello Stato,
attraverso giuste leggi ispirate dalla Chiesa e sussidi alle famiglie
povere. A questo proposito Pio XI riprende l'insegnamento di Leone
XIII nella Rerum
Novarum, per cui è
necessario che «nella civile società le condizioni economiche e
sociali siano così ordinate, che ogni padre di famiglia possa
meritare e lucrare quanto è necessario al sostentamento proprio,
della moglie e dei figli»102.
Questi
temi vengono sviluppati nella successiva enciclica Quadragesimo
Anno,
pubblicata il 15
maggio 1931, esattamente quarant'anni dopo la Rerum
Novarum, col
significativo sottotitolo Sulla
ricostruzione dell'ordine sociale,
con cui spesso è stata indicata specialmente nel mondo
anglosassone103.
Anche in questo caso le cause degli squilibri economici, mitigati in
parte negli anni precedenti col contributo dell'enciclica leonina,
vengono riconosciute «negli affetti disordinati dell'anima, triste
conseguenza del peccato originale»104.
Nella prima parte Pio XI ribadisce quindi che l'economia non può
essere slegata da una legge morale, perché in definitiva il diritto
di proprietà viene dal Creatore, che concede all'uomo il dominio sui
beni naturali per l'uso suo e dei familiari, ma anche perché vengano
così ordinatamente distribuiti a tutta l'umanità105.
A causa del duplice carattere della proprietà, individuale e
sociale, si deduce che «gli uomini debbano aver riguardo non solo al
proprio vantaggio», ed è compito dello Stato, nel rispetto della
proprietà privata, «temperarne
l'uso e armonizzarlo col bene comune»106.
Sono pertanto sbagliate sia le più estreme teorie liberali sia
quelle socialiste, perché capitale e lavoro devono cooperare nel
reciproco interesse dato che «l'uno senza l'altro non valgono a
produrre nulla»107.
Anzi, di fronte al «grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli
innumerevoli indigenti», per l'elevazione del proletariato e una più
giusta distribuzione delle ricchezze, è necessario che venga
riconosciuto «il carattere sociale, come della proprietà, così
anche del lavoro, massime di quello che per contratto si cede ad
altri»108.
Per quantificare il giusto salario bisogna cioè considerare le
condizioni della famiglia del lavoratore, ma anche quelle
dell'azienda e della società, al fine di dare lavoro «a quanti più
è possibile»109.
Nella
seconda parte dell'enciclica Pio XI passa quindi a descrivere i
provvedimenti per la vera e propria «restaurazione dell'ordine
sociale», attraverso «la riforma delle istituzioni e la emendazione
dei costumi». Infatti, «per il vizio dell'individualismo, come
abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta
e quasi estinta l'antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un
tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di
fronte quasi soli gli individui e lo Stato». Di conseguenza è
necessario avere ben chiaro il principio della filosofia sociale per
cui «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi
possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo
alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più
alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può
fare»110.
Il Papa suggerisce pertanto di reintrodurre le corporazioni tra
«quelli che attendono all'arte medesima», come alternativa al
disordine del mercato «ove le parti si combattono accanitamente»111,
ma anche un principio direttivo ispirato ai valori cristiani della
giustizia e della carità, che deve essere attuato dalle varie
nazioni promuovendo «con sagge convenzioni e istituzioni una felice
cooperazione di economia internazionale», perché «il retto ordine
dell'economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza
delle forze»112.
Purtroppo,
nota Papa Ratti, dai tempi di Leone XIII la ricchezza si è andata
concentrando nelle mani di pochi, «e
questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e
amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro
grado e piacimento», generando
nella società vari tipi di lotte, a livello economico, politico e
tra nazioni. La libera concorrenza così «si
è da sé distrutta»,
«alla bramosia del lucro
è seguita la sfrenata cupidigia del predominio»
e anche lo Stato si è ridotto a servo dell'economia, «divenuta
orribilmente dura, inesorabile, crudele».
Un'altra novità è rappresentata dal comunismo, che vuole opporsi
agli eccessi del capitalismo con un'accanita lotta di classe e
abolendo la proprietà privata, ma si è dimostrato dove ha
conquistato il potere «tanto
più crudele e selvaggio». Anche
l'altro partito, «che ha conservato il nome di socialismo» e
persegue gli stessi fini con metodi più miti, nonostante alcune
giuste rivendicazioni è inconciliabile con la Chiesa, perché
«ignorando o trascurando del tutto» il fine sublime dell'uomo e
della società, cioè dare gloria a Dio giungendo alla felicità
eterna dopo quella temporale, «suppone che l'umano consorzio non sia
istituito se non in vista del solo benessere». Per tutti questi
motivi, conclude Pio XI ribadendo il pensiero di Leone XIII, alla
«tanto desiderata restaurazione sociale deve precedere l'interno
rinnovamento dello spirito cristiano». Infatti, anche se si
rimuovessero le cause dei conflitti, modificando le leggi che
favoriscono gli speculatori e restaurando alcuni principi morali o di
giustizia sociale, senza la carità cristiana non si potrebbe «unire
i cuori e stringere insieme la volontà»113.
Da qui l'appello finale a ricristianizzare la società, compito non
facile in «un mondo ricaduto in gran parte nel paganesimo», rivolto
a una «schiera di laici apostoli», operai, industriali e
commercianti114,
che dovranno essere debitamente formati e motivati da santi
sacerdoti, a loro volta educati ad essere “il sale della terra e la
luce del mondo”, figure e imitatori di Cristo, apostoli della
verità e della carità sull'esempio dell'umile curato d'Ars115.
L'enciclica
sociale di Pio XI, scritta all'indomani della drammatica crisi
economica del 1929, ispirò già nei mesi seguenti diverse
soluzioni politiche che segnarono un'epoca. Infatti, nello stesso
anno 1932, Dollfuss inaugurò in Austria lo “stato autoritario”,
Salazar avviò in Portogallo l'Estado Novo
e De Valera in Irlanda iniziò a ricostruire il paese «secondo
i principi della Quadragesimo Anno»116.
Oltreoceano, l'enciclica rattiana venne apprezzata in modo
particolare dal presidente americano Roosevelt, che nel 1933 lanciò
il suo New Deal per
sostenere con l'intervento pubblico la ripresa economica117.
Tornando alla Chiesa e all'Italia, i temi principali dell'enciclica
vennero ripresi da Pio XII e dai suoi successori, e dopo la seconda
guerra mondiale la terza via
di Pio XI si affermò «nelle
elaborazioni programmatiche della Democrazia Cristiana e in
particolare nelle posizioni di Fanfani e di La Pira»118.
Significativamente, la Costituzione Italiana del '46, a sua volta
terza via, frutto
della mediazione cattolica tra liberali e socialisti, sancì il ruolo
fondamentale attribuito da Pio XI alla Stato, non più solo
“regolatore” ma “protagonista” della vita economica,
definendolo come imprenditore tra imprenditori119.
Come
sappiamo, però, al diritto della giovane Repubblica Italiana,
fondata sul lavoro di operai e imprenditori120,
in anni recenti si è affiancato e quindi sostituito il diritto
comunitario fondato sulla stabilità dei prezzi121.
Anche in ambito ecclesiale, come abbiamo visto122,
inseguendo il sogno di un governo mondiale giusto e vantaggioso per
tutti, si è arrivati a mettere in discussione il modello di stato
sociale faticosamente costruito e funzionante, benché appesantito e
criticabile per i suoi eccessi123.
Tuttavia, la crisi economica iniziata nel 2008 ha reso nuovamente
evidenti i grossi limiti del liberalismo, e in particolare della
finanza deregolamentata da Reagan negli anni '80, per cui da più
parti si invoca un ritorno a precedenti forme di governo
dell'economia e a un maggior intervento degli stati nazionali.
Infatti, benché mutilati e imbrigliati dai regolamenti
internazionali, gli stati sono ancora importanti nell'economia
mondiale124
e potrebbero tornare protagonisti come soggetti politici, dando
origine a un nuovo modello di globalizzazione più equilibrata e
vantaggiosa per tutti, secondo i principi auspicati da Pio XI125.
Ammesso che ciò accada veramente e non si affermi al contrario una
maggiore atomizzazione della società, portando a compimento la
tensione della modernità verso un radicale individualismo favorito
anche dalle nuove tecnologie126,
il rischio è che, distrutte o alquanto mutilate le “quattro
colonne” della morale, ovvero l'educazione religiosa, il
matrimonio, il senso di comunità e l'autorità della Chiesa, lo
Stato nazionale del futuro venga diretto da personaggi che di
cristiano a volte hanno solo il nome, ma in realtà sono figli di
quel sotterraneo e sempre riemergente paganesimo pre-moderno che Papa
Ratti aveva riconosciuto nel suo tempo. Ecco perché è quanto mai
attuale l'appello all'unione di «tutti
gli uomini di buona volontà»,
i quali
secondo
il genio, le forze, la condizione di ciascuno, cerchino di
contribuire in qualche misura a quella cristiana restaurazione della
società, che Leone XIII auspicò con l'immortale enciclica Rerum
Novarum;
non mirando a sé stessi e agli interessi propri, ma a quelli di Gesù
Cristo (cfr. Fil
2,21), non pretendendo di imporre le proprie idee, comunque belle ed
opportune esse sembrino, ma mostrandosi disposti a rinunziarvi per il
bene comune, affinché in tutto e soprattutto Cristo regni, Cristo
imperi, e al quale sia onore e gloria e potere nei secoli (cfr. Apoc
5,13)127.
Al momento risulta molto improbabile un rinnovamento dell'impegno
cattolico in politica e nella società attraverso organizzazioni
strutturate come la Democrazia Cristiana o l'Azione Cattolica di Pio
XI, in parte per l'oggettiva debolezza e dispersione dei cattolici,
in parte per una diffusa confusione a livello dottrinale e pastorale,
che sembra riguardare anche la gerarchia e l'indirizzo stesso della
Chiesa nel mondo128.
Ai cristiani «di buona
volontà» appare oggi
riservata la missione dei primi discepoli: confrontarsi con un mondo
in gran parte pagano e fecondarlo con la forza del messaggio
evangelico, della propria testimonianza e della ragione illuminata
dalla fede. Per svolgere questo compito, sarebbe utile riguadagnare
un pensiero filosofico della trascendenza, come ha spiegato Voegelin,
che sappia però coniugare la prospettiva umana “ascendente”, per
sua natura incerta e soggetta ad errori, con quella divina
“discendente”, rivelata da Cristo e indagata dalla teologia
cattolica. Infatti, come ribadito tra gli altri da Pio X e Papa
Ratti, solo con un pensiero forte, organico e rigoroso come quello
della scolastica i cristiani possono difendersi dagli attacchi e
rendere ragione della speranza che è in loro129,
purché, come ricorda l'apostolo Pietro, lo facciano con dolcezza e
rispetto, avendo ben presente l'assoluta trascendenza del Logos,
che «va
sempre al di là dei nostri schemi»130,
e di fronte al quale, come direbbe l'Aquinate, tutti i nostri
ragionamenti sono solo un mucchio di paglia secca, finché non
vengono incendiati dal suo amore131.
Una
recente edizione americana della Quadragesimo
Anno132
1 Cfr.
Augusto Del Noce, Eric Voegelin e la critica dell'idea di
modernità, in Eric Voegelin, La nuova scienza politica,
Borla, Roma 1999, pp. 7-28. Del Noce in questo saggio introduttivo
riesce a evidenziare l'evoluzione dello gnosticismo meglio di quanto
faccia lo stesso Voegelin. Infatti, la gnosi moderna è
significativamente diversa da quella antica, caratterizzata da un
rifiuto pessimistico del mondo nella sua interezza per volgersi al
regno dello spirito. Un passaggio intermedio è rappresentato dalla
gnosi cristiana e in particolare da Gioacchino da Fiore, secondo cui
il mondo può essere trasformato grazie allo Spirito Santo, ovvero
all'intervento di Dio nella storia. In seguito si fa invece strada
la
convinzione che il regno della perfezione si realizzerà sulla
Terra, per il solo effetto dell'iniziativa umana.
«Quindi
la gnosi antica ateizza il mondo (…) in nome della trascendenza
divina; la postcristiana lo ateizza in nome di un immanentismo
radicale».
Sintetizzando
il pensiero di Voegelin, Del Noce sostiene che «lo
spirito di modernità (...) è dunque l'immanentizzazione
dell'eschaton
cristiano; e il fattore che promuove questa evoluzione è (...) lo
gnosticismo, cosicché l'evoluzione dello spirito di modernità
coinciderebbe con quella dello gnosticismo».
In ogni epoca, comunque, l'atteggiamento gnostico secondo Voegelin
sarebbe riconoscibile da alcune caratteristiche. Lo gnostico è
insoddisfatto della sua situazione e ne attribuisce la causa alle
manchevolezze del mondo, ma crede che sia possibile salvarsi dal
male attraverso un processo e che questo «mutamento
nell'ordine dell'essere rientri nell'ambito dell'azione umana».
Di conseguenza è suo dovere cercare «la
conoscenza – gnosi – del metodo per trasformare l'essere»,
cioè sviluppare una formula per salvare sé stesso e il mondo e
comunicarla ad altri. Cfr. Eric Voegelin, Il
mito del mondo nuovo,
Rusconi, Milano 1990, pp. 6-10.
2 Cfr.
Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando
Editore, Roma 2002. L'opera, pubblicata originariamente nel 1945, ha
avuto un'enorme fortuna tanto da contribuire a plasmare la società
occidentale nei decenni successivi, anche grazie a influenti
discepoli di Popper come il finanziere George Soros, che attraverso
la sua fondazione, chiamata appunto Open Society, dal 1993
finanzia una galassia di ONG, rivoluzioni colorate, movimenti
migratori e cambi di regime al fine di plasmare una società fluida,
senza barriere e regolata unicamente dai mercati (cfr. il
documentato articolo del giornalista eritreo Daniel Wedi Korbaria,
Soros e la sua Color Revolution in Italia,
http://www.mediacomunitaeritrea.it/soros-e-la-sua-color-revolution-in-italia/,
7 agosto 2017, consultato il 10 marzo 2018). La proposta filosofica
di Popper (1902-1994) può essere definita un onesto tentativo,
apparentemente simile a quello di Voegelin, di rispondere alla sfida
dei totalitarismi e delle ideologie degli anni '30. Tuttavia, la
“società aperta” da lui delineata, per il dogma
della tolleranza universale, da cui sono esclusi gli “intolleranti”,
si caratterizza chiaramente come una nuova “religione politica”,
ovvero un'altra forma della gnosi moderna, la cui evoluzione
totalitaria Voegelin aveva intuito già negli anni '50. Ben diversa
era la “società aperta” teorizzata una generazione prima, in
un'opera del 1932, dal filosofo Henri Bergson (cfr. H. Bergson, Les
Deux sources de la morale et de la religion, tr. Mario
Vinciguerra, Le due fonti della morale e della religione,
Comunità, Milano 1947), la cui intuizione fondamentale viene così
descritta da Voegelin: «la
coesione della società chiusa deriva dal mito; la transizione verso
una società aperta, ove si verifichi, è segnata dall'apertura
dell'anima all'esperienza della trascendenza» (E. Voegelin, Che
cos'è la storia?,
Edizioni Medusa, Milano 2007, p. 62). L'apertura “noetica” alla
trascendenza è un tema centrale nell'opera di Voegelin, in quanto
rappresenta l'unica garanzia che un mondo simbolico, ovvero un
organismo politico, non si trasformi in un sistema chiuso, quindi di
tipo “gnostico” e totalitario, a prescindere dalle sue
caratteristiche esteriori e dal nome con cui viene chiamato.
Infatti, come ha scritto Giovanni Paolo II, «una democrazia senza
valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure
subdolo», riconoscibile anche nello sviluppo dell'attuale “società
aperta” laicista e relativista, nata come i precedenti
totalitarismi dalla negazione di «una verità trascendente» e
dunque della «trascendente dignità della persona umana». Invece,
«non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di
imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica
e riconosce che la vita dell'uomo si realizza nella storia in
condizioni diverse e non perfette» (cfr. lett. enc. Centesimus
Annus, 1º
maggio 1991, nn. 44-46,
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_01051991_centesimus-annus.html).
3 Il
moderno liberismo economico è stato sostenuto soprattutto dalla
scuola austriaca di Friedrich von Hayek (1899-1992), grande amico di
Karl Popper. Si può dire, in effetti, in termini marxisti, che i
due intellettuali abbiano definito la “struttura” economica e la
“sovrastruttura” culturale del modello liberista adottato da
tutto l'Occidente dopo la seconda guerra mondiale, in opposizione
alla precedente dottrina sociale della Chiesa e alle proposte
economiche di John Maynard Keynes (1883-1946), che prevedevano un
ruolo più attivo dello Stato, imprenditore tra imprenditori a
sostegno del lavoro, secondo la formula sintetizzata dalla
Costituzione italiana del 1946 (cfr. articoli 1, 3, 35-47 e la nota
119). Purtroppo la globalizzazione liberista non ha portato come
promesso vantaggi per tutti, bensì ha sistematicamente privilegiato
i più forti, come testimonia il crescente livello di disuguaglianza
registrato annualmente da organizzazioni come Oxfam (cfr. il
rapporto 2018, Ricompensare il lavoro, non la ricchezza,
https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2018/01/Rapporto-Davos-2018.-Ricompensare-il-Lavoro-Non-la-Ricchezza.pdf,
consultato il 10 marzo 2018).
4 Il
progetto di un governo mondiale prende avvio ufficialmente nel 1919
con la Società delle Nazioni, a cui succede nel 1945
l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Nella dottrina sociale
cattolica, dopo l'iniziale scetticismo (cfr. la nota 81), a partire
da Papa Roncalli (cfr. il capitolo IV dell'enciclica Pacem in
Terris del 1963) diventa una costante il riferimento a un ordine
laico superiore a quello degli stati nazionali, sostanzialmente
coincidente con l'ONU. Ancora nel 2009 Benedetto XVI così si
esprimeva nell'enciclica Caritas in Veritate,
al paragrafo 67: «Per
il governo dell'economia mondiale; per risanare le economie colpite
dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti
maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale,
la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia
dell'ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la
presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già
tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una
simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in
modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà,
essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella
realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai
valori della carità nella verità».
Nonostante questo appello conclusivo, nello stesso documento
Ratzinger aveva sottolineato la crescente importanza dello Stato
nazionale e dei corpi intermedi così come descritti da Pio XI
nell'enciclica Quadragesimo Anno (cfr. la nota 7), e
significativamente Papa Francesco al n. 184 della sua esortazione
apostolica Evangelii Gaudium del 2013 sembra liquidare la
questione rimandando al Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa e citando Paolo VI: «Di fronte a situazioni tanto
diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una
soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra
ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità
cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese».
Nell'enciclica Laudato si' di due anni dopo, inoltre,
Bergoglio fa riferimento al brano citato di Ratzinger per auspicare
una risposta comune al riscaldamento globale, realizzata però dalla
diplomazia «mediante
accordi tra i governi nazionali».
Laudato si',
n. 175,
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
5 Cfr.
Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo,
Rizzoli, Milano 1992.
6 Cfr.
Alexander Dugin, La quarta teoria politica, Nuova Europa
Edizioni, Milano 2017 (prima edizione russa 2009).
7 Ai
paragrafi 24 e 25 dell'enciclica Caritas in Veritate,
Benedetto XVI sottolinea i limiti del liberismo e deplora «la
riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di
maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave
pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali
dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme
dello Stato sociale».
Sembra lontanissimo il rischio paventato appena diciotto anni prima
da Giovanni Paolo II di un'eccessiva espansione dello «Stato
assistenziale»
(cfr. lett. enc. Centesimus
Annus, n. 48). Ad
ogni modo, le parole usate da Benedetto XVI riflettono fedelmente
concetti e termini usati nell'enciclica Quadragesimo
Anno del 1931 da Pio
XI, che pure non viene esplicitamente citato. Ad esempio, al n. 24
Ratzinger scrive: «Oggi,
facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi
economica in atto che vede i pubblici
poteri dello Stato
impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più
realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro
potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che
siano in grado, anche attraverso nuove modalità di esercizio, di
far fronte alle sfide del mondo odierno. Con un meglio calibrato
ruolo dei pubblici poteri, è prevedibile che si rafforzino quelle
nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e
internazionale che si realizzano attraverso l'azione delle
Organizzazioni operanti nella società civile; in tale direzione è
auspicabile che crescano un'attenzione e una partecipazione più
sentite alla res
publica da parte dei
cittadini».
Si confronti ad esempio il n. 79 della Quadragesimo
Anno: «E
quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente
allo Stato, non perché dall'opera sua si debba aspettare tutta la
salvezza, ma perché, per il vizio dell'individualismo, come abbiamo
detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi
estinta l'antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo
mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte
quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione
dell'ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul
quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte
corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una
infinità di carichi e di affari».
Cfr. la nota 110.
8 Cfr.
un intervento registrato di Ennio Apeciti su “Pio XI, il leone del
vaticano”, https://youtu.be/kKqsvzXz7XM?t=8m33s
9 Sulla
rivoluzione messicana si veda Francesco Ricciu, Le grandi
rivoluzioni del XX secolo - La Rivoluzione Messicana,
Dall'Oglio, Milano 1968; sulla rivoluzione russa Adriano Dell'Asta,
Giovanna Parravicini, Russia 1917: il sogno infranto di «un
mondo mai visto»,
La casa di Matriona, Milano 2017. Si veda anche Paolo Valvo, Pio
XI e la Cristiada. Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929),
Morcelliana, Brescia 2006; Mario Arturo Iannaccone, Cristiada.
L'epopea dei Cristeros in Messico,
Lindau, Torino 2016; Jan Mikrut (a cura di), La
Chiesa cattolica in Unione Sovietica. Dalla Rivoluzione del 1917
alla Perestrojka,
Gabrielli Editori, Verona 2017.
10 L'espressione
è di Eric Voegelin, che con questo titolo (Die politischen
Religionen) pubblicò a Vienna nel 1938 un volume in cui
esprimeva in nuce alcuni concetti fondamentali del suo pensiero, poi
ripresi e precisati in La nuova scienza politica del 1952. In
particolare, per Voegelin «la
vita degli uomini all'interno della comunità politica non può
essere circoscritta quale sfera profana», perché «la comunità
è anche un ambito d'ordine religioso».
Nel corso della storia molte realtà politiche si sono
caratterizzate come laicizzazione di simboli ed esperienze
religiose, ma questa «religiosità
intramondana»
esprime un «distacco
da Dio»
che ha le caratteristiche della ribellione satanica e può portare a
una caduta altrettanto rovinosa. Cfr. Eric Voegelin, Le
religioni politiche,
in La politica: dai
simboli alle esperienze,
a cura di Sandro Chignola, Giuffrè Editore, Milano 1993, pp. 73-75.
11 Cfr.
Benedetto Croce, Pagine sparse, Laterza,
Bari 1960, vol. II, pp. 490, 500-502. Citato in Gabriele Turi, Il
fascismo e il consenso degli intellettuali,
Il Mulino, Bologna 1980, pp. 17-18.
12 Come
sostiene Giovanni Sabbatucci, «una delle domande che ancora adesso
non ha trovato una risposta concorde fra gli storici è se il
fascismo sia da considerarsi uno Stato totalitario. Hannah Arendt
diceva di no e sottolineava le differenze con il nazismo e il
comunismo staliniano. Altri studiosi, tra i quali Emilio Gentile,
hanno sostenuto il contrario. Non solo perché sviluppò una
struttura politica adeguata ma perché creò una mistica che si
sarebbe sviluppata ulteriormente se mai la Germania e l'Italia
avessero vinto la guerra. Io invece più di una volta ho usato la
formula di "totalitarismo imperfetto"». D. Messina, Fu
un totalitarismo imperfetto, “Il Corriere della Sera”, 21
aprile 2008, p. 27.
13 «In
un paese in cui oltre il 99 per cento della popolazione si
dichiarava di fede cattolica, in cui la pratica religiosa era
diffusa in modo massiccio, in cui le parrocchie rappresentavano
spesso l’unico centro di aggregazione sociale e culturale, non era
facile governare contro la Chiesa o senza trovare con essa un
qualche modus vivendi». G. Sabbatucci - V. Vidotto, Storia
contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari 2008, p. 142.
14 Eric
Voegelin, Riflessioni Autobiografiche, in La politica: dai
simboli alle esperienze, cit., p. 98.
15 Cfr.
Eric Voegelin, Der autoritäre
Saat. Ein Versuch über
das Österreische
Staatsproblem,
Springer, Wien 1936.
16 Eric
Voegelin, Riflessioni
Autobiografiche,
cit., p. 123.
17 Cfr.
ibidem, p. 121.
18 Cfr.
la prefazione di Sandro Chignola al volume La politica: dai
simboli alle esperienze, cit., p. 3.
19 Si
veda il saggio giovanile di Voegelin Reine Rechtslehre und
Staatslehre, “Zeitschrift
für
Öffentlisches
Recht”,
IV, 1924, pp. 80-131.
20 Cfr.
Eric Voegelin, Riflessioni Autobiografiche, cit., pp. 12-13.
21 «Potrei
dire che nel caso della Germania, i corruttori del linguaggio al
livello giornalistico e letterario (…) siano stati i veri
criminali colpevoli delle atrocità naziste. Atrocità che furono
possibili soltanto allorché l'ambiente sociale fu così corrotto
dalle persone volgari, da far salire al potere un vero
rappresentante dello spirito volgare».
Cfr. ibidem, p. 120.
22 Ibidem,
p. 92.
23 Ibidem,
pp. 110-111.
24 Voegelin
era nato a Colonia in Germania nel 1901, ma a nove anni si era
trasferito con la famiglia in Austria.
25 Cfr.
Eric Voegelin, Rasse und Staat, Mohr, Tübingen
1933.
26 Eric
Voegelin, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p.
109. Da notare che già nel 1924, frequentando la Columbia
University con una borsa di studio della Rockefeller Foundation,
Voegelin aveva iniziato a lavorare
sulla filosofia inglese ed americana del common
sense,
diffusa dalla scuola del pastore anglicano scozzese Thomas Reid.
Cfr. ibidem, pp. 99-101. Il concetto di “senso comune” fu
ripreso nel mondo cattolico dal filosofo catalano Jaime Balmes e poi
in funzione anti-modernista dal domenicano Réginald
Garrigou-Lagrange, in particolare nel suo Le Sens commun, la
philosophie de l'être
et les formules dogmatiques,
Beauchesne, Paris 1909. Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Il
senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche,
a cura di Antonio Livi e Mario Padovano, Leonardo, Roma 2013, pp.
7-9. Si veda anche la nota 77.
27 Cfr.
Eric Voegelin, La politica: dai simboli alle esperienze,
cit., p. 108.
28 Cfr.
ibidem, pp. 129-136.
29 «Quando
Noi, Venerabili Fratelli, nell’estate del 1933, a richiesta del
governo del Reich, accettammo di riprendere le trattative per un
Concordato, in base ad un progetto elaborato già vari anni prima, e
addivenimmo così ad un solenne accordo, che riuscì di
soddisfazione a voi tutti, fummo mossi dalla doverosa sollecitudine
di tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa in
Germania e di assicurare la salute delle anime ad essa affidate, e
in pari tempo dal sincero desiderio di rendere un servizio
d’interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del
popolo tedesco». Mit
Brennender Sorge,
n.1, consultabile anche on-line:
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennender-sorge.html
30 Per
un inquadramento storico del rapporto tra Pio XI e il fascismo si
veda Yves Chiron, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e
dell'opposizione ai totalitarismi, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo 2006; Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La
solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007; Gerlando Lentini,
Pio XI, l'Italia e Mussolini,
Città Nuova, Roma 2008; Carlo
Confalonieri, Pio XI visto da vicino, Edizioni
San Paolo, Cinisello Balsamo 1993 (3ª ed.; 1ª ed. 1957).
31 Cfr.
Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), consultabile anche
on-line:
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280508_miserentissimus-redemptor.html
32 Cfr.
Giorgio Vecchio, Pio XI e l'Azione Cattolica, in Pio XI e
il suo tempo. Atti del Convegno. Desio, 6 febbraio 2016, a cura
di Franco Cajani, GR, Besana Brianza 2017, pp. 393-414.
33 Cfr.
Quas Primas (11 dicembre 1925), consultabile anche on-line:
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html
34 Sugli
appelli del Papa alla purezza e all'autocontrollo rivolti all'Aziona
Cattolica, per formare «un
esercito compatto, unitario, disciplinato»,
i cui membri «non hanno
altro pensiero né altro scopo (…) se non quello di preparare le
anime ad accogliere il Signore ed estendere ogni giorno di più il
Regno di Dio», si veda
Giorgio Vecchio, Pio XI e l'Azione Cattolica, cit., pp.
393-403. Le due citazioni di Pio XI sono tratte rispettivamente da
una lettera del novembre '29 al cardinale primate di spagna Segura y
Saenz, in M. Casella, L'azione cattolica nell'Italia
contemporanea (1919-1969), Ave, Roma 1992, pp. 67-246, e dal
Discorso ai Consigli superiori dell'Azione Cattolica Italiana, 28
giugno 1930, ora in Discorsi di Pio XI, a cura di D.
Bertetto, S.E.I., Torino 1961, vol. III, pp. 370-373.
35 Cfr.
Quas Primas, senza numero.
36 Matteo
Brera, Pio XI e l'indipendenza politica della Chiesa tra
d'Annunzio e Mussolini, in Pio XI e il suo tempo. Atti
del Convegno. Desio, 6 febbraio 2016, a cura di Franco Cajani, GR,
Besana Brianza 2017, p. 164.
37 Cfr.
ibidem, p. 164. La lettera, conservata nell'Archivio Centrale dello
Stato, è stata pubblicata anche in R. De Felice, E. Mariano (a cura
di), Carteggio d'Annunzio-Mussolini (1919-1938), Mondadori,
Milano 1971, p. 426.
38 Ibidem,
p. 166.
39 Per
una sintesi della storia della gnosi secondo Voegelin e Del Noce si
veda la nota 1.
40 Con
Gioacchino da Fiore, anche se per Voegelin l'origine della modernità
gnostica è da ricercare addirittura nel IX secolo, col «rilancio
dell'antico gnosticismo ad opera di Scoto Eriugena»,
perché «le sue opere, al pari di quelle di Dionigi Areopagita da
lui tradotte, esercitarono un'influenza continua sulle sette
gnostiche clandestine prima che emergessero alla superficie nel
secolo dodicesimo e tredicesimo». Cfr. La
nuova scienza politica,
cit., p. 163. Per Voegelin la gnosi cristiana è un ripiegamento
semplicistico e consolatorio rispetto alla fragilità della fede e
alla «tremenda serietà» di «quell'eroica avventura dell'anima
che è il cristianesimo». Ibidem, pp. 157-159.
41 Cfr.
Carlo Galli, Edoardo Greblo, Sando Mezzadra, Il pensiero politico
del Novecento, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 2005,
pp. 159-162. L'applicazione dello gnosticismo ai fenomeni moderni,
in particolare con La nuova scienza politica del 1952 e
Scienza, politica e gnosticismo del 1959 (in Il mito del
mondo nuovo, cit., pp. 45-133), è stata messa in discussione
negli anni seguenti dallo stesso Voegelin, che pur ritenendola
sostanzialmente valida ha ritenuto necessario considerare in
aggiunta altri fattori come l'apocalittica metastatica o il
fallimentare tentativo di recuperare una comprensione dell'ordine
cosmico attraverso il neoplatonismo. Cfr. Riflessioni
autobiografiche, cit., pp. 134-135.
42 «In
generale, mi piacerebbe far notare che se avessi scoperto da me
stesso tutti i problemi storici e filosofici per i quali sono stato
criticato dagli intellettuali, sarei senza dubbio il più grande
filosofo della storia dell'umanità. Prima di pubblicare qualsiasi
cosa riguardo alle categorie gnostiche ed alla loro applicabilità
alle ideologie moderne, mi consultai con le autorità contemporanee
sulla gnosi, ed in particolare con Charles Puech a Parigi e Gilles
Quispel ad Utrecht. Puech considerava evidente che le moderne
ideologie fossero speculazioni di tipo gnostico e Quispel sottopose
alla mia attenzione lo gnosticismo di Jung, cosa che attirava
particolarmente la sua attenzione». Eric Voegelin, Riflessioni
autobiografiche,
cit., p. 134.
43 Si
tratta della tesi di dottorato di Von Balthasar, poi rielaborata e
pubblicata in tre volumi col titolo Apokalypse der deutschen
Seele. Studie zu einer Lehre von den letzten Haltungen,
Anton Pustet, Salzburg, 1937-39. Per una sintesi dell'opera si veda
Paolo Martinelli, La morte di Cristo come rivelazione
dell'amore trinitario nella teologia di Hans Urs von Balthasar,
Jaca Book, Milano 1996, pp. 40-42. Il primo volume venne
ripubblicato ad Heidelberg nel 1947 dall'editore Kerle col titolo
Prometheus: Studien zur Geschichte des deutschen
Idealismus.
44 «Scoprii
che le linee di continuità dello gnosticismo dall'antichità al
moderno erano materia di conoscenza diffusa tra i migliori studiosi
del diciottesimo e del primo diciannovesimo secolo. Vorrei citare
l'opera di Ferdinand Christian Bur Die
Christliche Gnosis; oder, die christliche Religionsphilosophie in
ihrer geschichtlichen Etwicklung
del 1835. Baur spiegava la storia dello gnosticismo dall'originaria
gnosi antica ed attraverso il medioevo, sino alla filosofia della
religione di Jakob Böhme,
Schelling, Schleiermacher ed Hegel».
Riflessioni
autobiografiche,
cit., pp. 133-134. Per
una rassegna degli studi sulla gnosi si veda la premessa a Scienza,
politica e gnosticismo,
in E. Voegelin, Il
mito del mondo nuovo,
cit., pp. 47-51. Ad essi si può aggiungere il lavoro di Karl
Löwith,
che in Significato e
fine della storia del
1949 «ha
proposto una critica della modernità come secolarizzazione del
cristianesimo proprio a partire dalla dottrina gioachimita delle tre
età».
Il pensiero politico
del Novecento, cit.,
p. 160.
45 Il
pensiero politico del Novecento, cit., p. 159. Si veda anche E.
Voegelin, La nuova scienza politica, cit., pp. 88-93. Questa
concezione, come vedremo a proposito di Ordine e Storia,
verrà successivamente relativizzata con la scoperta della
preistoria dei simboli della trascendenza. Cfr. il saggio degli anni
'60 Che cos'è la storia?, in Che cos'è la storia?,
cit., pp. 25-72.
46 Per
Voegelin, «il
massimo di differenziazione fu raggiunto attraverso la filosofia
greca e il cristianesimo»
(La nuova scienza
politica, p. 144).
Più avanti, considerando il basso livello di differenziazione della
civiltà gnostica moderna, Voegelin ipotizza un ciclo di civiltà
gigantesco, il cui acme «è
rappresentato dalla venuta di Cristo»,
ovvero dalla «rivelazione
del Logos nella storia»
(ibidem, p. 203. Per approfondire l'interpretazione della centralità
di Cristo nella storia si veda anche O. Cullmann, Cristo
e il tempo, Il
Mulino, Bologna 1969, orig. 1946, e J. Ratzinger, San
Bonaventura. La teologia della storia,
Edizioni Porziuncola, Assisi 2008, in particolare la nota 62 e le
pp. 138-166). Come
ricorda Voegelin, per Sant'Ambrogio anche l'imperatore cristiano
doveva essere un servo di Dio, «perché
la verità di Cristo non può essere rappresentata dall'imperium
mundi, ma soltanto
dal servizio di Dio».
Agostino poi distinse nettamente la “cittadinanza celeste” dalla
“cittadinanza terrena” (che pure convivono sulla terra come
l'amor sui
e l'amor Dei
nel cuore dell'uomo), anche in opposizione alla compattezza romana
rappresentata da Varrone, in quanto «per
lui, l'ordine dell'esistenza umana era già diviso tra la civitas
terrena della storia
profana e la civitas
coelestis di
istituzione divina».
Cfr. La nuova scienza
politica, cit., pp.
114- 122. Si veda anche
il saggio introduttivo di Antonio Pieretti ad Agostino, La
Città di Dio,
Città Nuova, Roma 1997, pp. V-LXXII.
47 Eric
Voegelin, L'eclissi della realtà, in Che cos'è la
storia?, cit. p. 151.
48 Cfr.
Il pensiero politico del Novecento, cit., p. 161.
49 Cfr.
Eric Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., pp.
157-166. Per Voegelin la tattica generale degli ideologi consiste
nell'escludere quelle realtà e quelle domande che riguardano i
presupposti dei loro sistemi e potrebbero farli esplodere. «Le
realtà che vengono escluse possono ampiamente variare, ma una di
quelle che lo sono sempre è l'esperienza della tensione dell'uomo
verso il divino fondamento della sua esistenza».
Questa disonestà intellettuale, ovvero la deliberata restrizione
delle esperienze considerate rispetto a quelle descritte dalla
filosofia classica, è per Voegelin particolarmente evidente in
Hegel e Marx: «Non
ho il minimo dubbio che un uomo con la cultura storica di Hegel
ignorasse deliberatamente le esperienze immediate della coscienza e
le rimpiazzasse con modelli percettivi altamente astratti – e
storicamente piuttosto tardi – per poter mettere su un sistema che
esprimesse il suo stato d'alienazione. Non conosco un passaggio
hegeliano nel quale egli rifletta sulla tecnica della sua impostura
intellettuale, ma essa si è comunque esplicitata nell'opera di Marx
e nei manoscritti parigini di quest'ultimo del 1844».
Questa alienazione dei moderni philosophes,
«questo
caparbio distogliersi dall'esperienza fondamentale della realtà»,
che come ricorda Voegelin «fu
diagnosticato dagli stoici come una forma di malattia mentale»,
in una prospettiva teologica è conseguenza del peccato primordiale
dell'uomo, come sostenuto da Benedetto XVI nell'omelia per la Santa
Messa nella cena del Signore del 2012: «L’atteggiamento
di Adamo era stato: “Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso
voglio essere dio”. Questa superbia è la vera essenza del
peccato. Pensiamo di
essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente
la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra
libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero
– solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale
che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra
vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la
propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da sé
stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo
uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non
opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo»,
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120405_coena-domini.html
50 Cfr.
La nuova scienza politica, cit., pp. 189-196.
51 Cfr.
ibidem, p. 197. Con Hobbes, che pure non era gnostico, lo
gnosticismo divenne la teologia civile della società occidentale.
Infatti, contrappose «all'immanentizzazione
gnostica dell'eschaton,
che metteva in pericolo l'esistenza, una radicale immanenza
dell'esistenza che negava l'eschaton».
Ibidem, p. 217.
52 R.
Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell'essere e le
formule dogmatiche, cit., p. 35.
53 Per
Voegelin, «lo
scientismo è rimasto fino ai nostri giorni uno dei più forti
movimenti gnostici della società occidentale».
La nuova scienza politica, cit., p. 163.
54 Tra
gli studiosi protestanti spicca Adolf von Harnack (1851-1930), la
cui opera principale pubblicata in tre volumi tra il 1886 e il 1890
fu una Storia dei dogmi, secondo lui fortemente influenzati
dal pensiero greco. Particolarmente rilevante fu anche l'opera Das
Wesen des Christentums, tratta dalle sue lezioni all'università
Humbold di Berlino, sulla differenza tra l'essenza della religione e
le sovrapposizioni derivanti da altre culture, come appunto quella
greca e romana. Cfr. Adolf von Harnack, L'essenza del
cristianesimo, Bocca, Torino 1903.
55 A
Loisy dedicarono monografie i suoi epigoni italiani Murri (La
religione di Alfredo Loisy, Libreria Editrice Bilychnis, Roma
1918) e Buonaiuti (Alfredo Loisy, Formiggini, Roma 1925).
Per un'analisi del suo pensiero si veda Marco Ivaldo, Religione e
cristianesimo in Alfred Loisy, Le Monnier, Firenze 1977.
56 Cfr.
C. Rolando, Cristianesimo e religione dell'avvenire in George
Tyrrell, Le Monnier, Firenze 1978.
57 Cfr.
L. Pazzaglia, Rinnovamento religioso e prospettive educative in
Laberthonnière, ISU, Milano 2005.
58 Si
vedano in particolare le opere L'azione. Saggio di una critica
della vita e di una scienza della pratica, 2 voll., Vallecchi,
Firenze 1921 (orig. 1893) e Storia e dogma, a cura di Enrica
Carpita e Mario Casotti, Vallecchi, Firenze 1922 (orig. 1904).
59 Su
Bergson (1859-1941) cfr. la nota 2. Si veda anche E. Voegelin,
Riflessioni autobiografiche, cit., p. 106 e p. 177; La
nuova scienza politica, cit., p. 95.
60 Cfr.
E. Le Roy, Dogme et critique, Bloud, Paris 1907. Per Le Roy,
in definitiva Dio è in noi stessi, nella nostra moralità e
spiritualità. Cfr. E. Le Roy, Le problème de Dieu,
L'artisan du livre, Paris 1931.
61 Cfr.
Attilio Agnoletto, Salvatore Minocchi: vita e opere (1869-1943),
con un'appendice di lettere inedite scritte da ecclesiastici ed ex
ecclesiastici italiani e stranieri sotto il pontificato di Pio X,
Morcelliana, Brescia 1964. A proposito del modernismo in Italia si
veda Michele Nicoletti, Otto Weiss, Il modernismo in Italia e in
Germania nel contesto europeo, Il Mulino, Bologna 2010 e
Giovanni Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto
con la modernità, Carocci, Roma 2012.
62 Cfr.
l'autobiografia Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo,
Gaffi, Roma 2008 (orig. 1945).
63 «Da
talune di quelle lezioni, le più sofisticate, le più nuove, si
partiva storditi. Ci pareva che dentro a noi crollasse la nostra
vecchia (vecchia solo perché eterna) concezione del mondo e della
vita. […] Una di quelle tentazioni che quando non ti fanno del
male irreparabile, superate e vinte ti fanno del bene».
Giovanni Semeria, I miei tempi, Amatrix, Milano-Roma 1929,
pp. 58-59.
64 Cfr.
Cristina Siccardi, San Pio X. La vita del Papa che ha ordinato e
riformato la Chiesa, San Paolo Editore, Cinisello Balsamo 2014.
65 Lamentabili
Sane Exitu, consultabile
on-line: http://www.unavox.it/Documenti/doc0177_Lamentabili.htm
(visionato il 7 aprile 2018).
66 http://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis.html
67 Ibidem,
senza numero.
68 Il
Sillabo, contenuto nell'enciclica Quanta Cura del
1864, elencava 80 proposizioni erronee relative al razionalismo,
all'indifferentismo, alla Chiesa e alla società civile, alla morale
naturale e cristiana, al matrimonio, al socialismo, al comunismo,
alle società segrete e al liberalismo. Cfr. Quanta Cura,
https://w2.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/encyclica-quanta-cura-8-decembris-1864.html
69 Una
di queste colpì il fondatore della rivista Rinnovamento,
Tommaso Gallarati Scotti, di cui era stato precettore Achille Ratti,
il futuro Pio XI. Cfr. Yves Chiron, Pio XI. Il papa dei Patti
Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, cit., pp.
81-86.
70 G.
Vannoni, Nuovi documenti sull'integrismo. Sodalitium Pianum e
Action française, “Storia Contemporanea”, a. XII, n. 4/5,
Il Mulino, Bologna 1981.
71 Istituito
col motu proprio Sacrorum Antistitum del 1910.
72 https://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11061905_il-fermo-proposito.html
73 Cfr.
Andrea Tornielli, La fragile concordia. Stato e cattolici in
centocinquant'anni di storia italiana, Rizzoli, Milano 2011, pp.
88-89.
74 Pascendi,
senza numero. Anche Pio XI valorizzò lo studio di San Tommaso,
ribadendone la centralità nella formazione dei religiosi, in
particolare con la lettera apostolica Officiorum Omnium del
1° agosto 1922 e con l'enciclica Studiorum Ducem del 29
giugno 1923.
75 Autore
di una Storia del metodo scolastico pubblicata nel 1909 e nel
1912 di un'introduzione a San Tommaso. Cfr. Martin Grabmann, San
Tommaso d'Aquino. Introduzione alla sua personalità e al suo
pensiero, (tradotto dal tedesco da Giacomo Di Fabio), 3ª
edizione italiana, Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1940.
76 Cfr.
Antonin-Dalmace Sertillanges, San Tommaso d'Aquino,
Morcelliana, Brescia 1931.
77 Il
“senso comune”, che compare anche nell'enciclica Pascendi
in opposizione al sentimento religioso dei modernisti, come
abbiamo visto nella nota 26 nasce come elaborazione filosofica in
Scozia per poi diffondersi nel mondo anglosassone fino a raggiungere
in una biblioteca di New York, attraverso i testi di Dewey, Human
Nature and Conduct, Thomas Reid e Sir William Hamilton, il
giovane Eric Voegelin, che così scrive nelle sue Riflessioni
autobiografiche, cit., a
pag. 100: «Questa
concezione inglese e scozzese del common
sense come di
un'attitudine dell'uomo che in sé stessa ne incorporava una
filosofica nei confronti della vita, indipendentemente dall'apparato
tecnico della filosofia; ed al contrario, l'interpretazione della
filosofia classica e stoica come elaborazione tecnico-analitica del
common sense,
è rimasta un'influenza perdurante nel mio modo di concepire sia la
filosofia del common
sense, sia quella
classica. Fu durante quel periodo, che ebbi per la prima volta il
sentore di quanto il proseguimento della tradizione della filosofia
classica al livello del common
sense – senza
possedere necessariamente l'apparato tecnico di un Aristotele –
potesse significare per il clima intellettuale e per la coesione di
una società».
Come ha spiegato Antonio Livi, continuatore contemporaneo
degli studi sul senso comune, Garrigou-Lagrange analizzando le
categorie filosofiche del modernismo «ne
individua una che è come la matrice ideologica di tutte, ossia
l'immanentismo soggettivistico o idealismo, che è appunto
l'opposizione teoretica radicalmente opposta a quella del realismo
metafisico».
Secondo la sintesi di Livi, «la
“philosophie de
l'être”,
ossia la metafisica realistica»
fondata sul senso comune, che è «quella
“filosofia implicita” che la filosofia esplicita altro non fa se
non formalizzare in modi diversi»,
«è l'unica forma di razionalità filosofica che possa fornire
anche oggi al teologo gli strumenti logici (la “logica aletica”,
dico io) per un'adeguata interpretazione del dogma». Cfr. la
postfazione di Livi a R. Garrigou-Lagrange, Il
senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche,
cit., pp. 289-295.
78 Nella
sua prima enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1914,
Benedetto XV riprese la condanna dei modernisti e dello «spirito
modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con
nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di
novità in ogni singola cosa»,
a cui contrappose la regola: «Non
cose nuove, ma in modo nuovo»
e l'invito a fondare associazioni cattoliche, poiché «ad
un’aperta professione di fede cattolica e ad una vita ad essa
consentanea sogliono gli uomini essere stimolati, più che da altro,
dalle fraterne esortazioni e dal mutuo buon esempio»,
http://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_01111914_ad-beatissimi-apostolorum.html
79 Ubi
Arcano, senza numero,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19221223_ubi-arcano-dei-consilio.html
80 Ibidem.
Papa Ratti si riferì direttamente al modernismo in altre due
encicliche: la Studiorum Ducem del '23 su San Tommaso
d'Aquino e la Mortalium Animos del '28 “sulla difesa della
verità rivelata da Gesù”.
81 Ibidem.
Si noti la differenza rispetto alla fiducia successivamente
attribuita all'ONU da Giovanni XXIII e Paolo VI nella Pacem in
Terris e nella Popolorum Progressio,
a cui ho accennato anche nella nota 4. Per una ricostruzione
dei rapporti tra Chiesa e Società delle Nazioni si veda Americo
Miranda, Santa Sede e Società delle Nazioni. Benedetto XV, Pio
XI e il nuovo internazionalismo cattolico, Studium, Roma 2013.
82 Ubi
Arcano, senza numero.
83 Ibidem.
84 Quas
Primas, senza numero,
https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html
85 La
festività era stata istituita ufficialmente da Pio IX nel 1856. A
questo culto Pio XI dedicò l'enciclica Miserentissimus Redemptor
del 1928.
86 Si
tratta della prima monografia sul Concordato, pubblicata a Roma
dalla Libreria del Littorio nel 1929. Missiroli, ispiratore delle
polemiche antireligiose di Mussolini, a sua volta ispirato dal
Buonaiuti con cui aveva collaborato al “Resto
del Carlino”, venne giudicato dalla Santa Sede un
giornalista «di
notoria serviltà e abiezione mentale»
e il suo libro fu messo all'indice, benché si fosse all'indomani
del Patti Lateranensi. Inoltre, pochi mesi dopo, nel 1930, uscì
allegato all'“Osservatore
Romano” il
volumetto Date a Dio,
con lo scopo di confutare le testi sostenute nel libro di Missiroli.
Cfr. Matteo Brera, Pio
XI e l'indipendenza politica della Chiesa fra d'Annunzio e
Mussolini, cit., pp.
166-172.
87 Le
sue principali encicliche di argomento morale sono note come le
“quattro colonne”. Si tratta della Divini Illius Magistri
del '29, sul diritto della Chiesa e della famiglia, anteriore a
quello dello Stato, di educare i figli, della Casti Connubii
del 1930, sulla sacralità del matrimonio e contro le pratiche
contraccettive, abortive ed eugenetiche, l'enciclica sociale
Quadragesimo Anno del 1931 e la Ad Catholici Sacerdotii
del 1935, sul servizio sacerdotale anche in relazione all'educazione
cristiana, al matrimonio e alla dottrina sociale.
88 E.
Voegelin, L'inizio e l'oltre. Una meditazione sulla verità,
in Che cos'è la storia?, cit., p. 210. Il saggio, scritto
intorno al 1977 e pubblicato postumo, rappresenta la fase più
avanzata della riflessione filosofica di Voegelin, espressa anche
nel suo Wisdom and the Magic of the Extreme del 1981 (in
Published Essays, 1966-1985, Louisiana State University
Press, Baton Rouge and London 1990). Cfr. ibidem, p. 21.
89 Ibidem,
p. 221. Non è questo l'ambito per analizzare la produzione
dell'Aquinate o la fondatezza della critica di Voegelin. Mi limito
ad osservare con Antonio Livi la distanza del domenicano dalla
disonestà intellettuale e dai sistemi chiusi degli ideologi, ovvero
«quanto
fosse sincera la disposizione di Tommaso a servire Dio con la sua
intelligenza, senza secondi fini di ambizione personale o di
vanità»,
come dimostra anche l'esito della sua ricerca filosofica: «un
giorno del dicembre 1273, dopo la celebrazione della messa, Tommaso
chiamò il suo fedelissimo segretario fra Reginaldo da Piperno e gli
comunicò la decisione di non continuare a scrivere, perché quella
mattina durante la messa aveva capito che quanto aveva scritto nei
suoi libri era “tota palea”, un mucchio di paglia. Così
rimasero interrotte due delle sue opere più importanti: la Summa
theologiae, che restò
ferma alla questione 90 della terza parte, e il Compendium
theologiae, sospeso
al capitolo 10 del secondo libro».
Cfr. Antonio Livi, Tommaso
d'Aquino. Il futuro del pensiero cristiano,
Mondadori, Milano 1997, p. 59 e pp. 77-79.
90 E.
Voegelin, L'eclissi della realtà, in Che cos'è la
storia?, cit., p. 167. Anche questo saggio, scritto nel 1969, è
stato pubblicato postumo, ma una sua parte è comparsa con lo stesso
titolo in un volume in memoria di Alfred Schutz, Phenomenology
and Social Reality, ed. Maurice Natanson, Martinus Nijhoff, The
Hague 1970, pp. 186-194.
91 Cfr.
ibidem, pp. 168-175.
92 E.
Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., p. 141.
93 Ibidem,
pp. 144-145.
94 Cfr.
ibidem, p. 146.
95 Cfr.
ibidem, pp. 147-148 e Che cos'è la storia?, cit. p. 15. Agli
studi sulle fonti storiche venne dedicato un volume a parte,
Anamnesis del 1966.
Cfr. Eric Voegelin, Anamnesis. Teoria della storia e della
politica, Giuffrè, Milano 1972.
96 Cfr.
Eric Voegelin, La nuova scienza politica, cit., pp. 208-211.
Si pensi ad esempio all'attuale lotta contro il terrorismo
combattuta nei paesi occidentali con chitarre e gessetti colorati.
Scriveva Voegelin nel 1952: «Le
società gnostiche e i loro leaders
riconoscono certo i
pericoli che si profilano contro la loro esistenza, ma questi
pericoli non possono essere fronteggiati con azioni adeguate nel
mondo della realtà. Si tende piuttosto a fronteggiarli per via di
operazioni magiche nel mondo di sogno, come la disapprovazione, la
condanna morale, le dichiarazioni di intenzioni, i manifesti, gli
appelli all'opinione pubblica mondiale, la condanna dei nemici come
aggressori, il mettere fuori legge la guerra, la propaganda per la
pace mondiale e per un governo mondiale, ecc. La corruzione
intellettuale e morale che si manifesta nel complesso di siffatte
operazioni magiche può pervadere la società con l'atmosfera
maniaca e spettrale di un manicomio, come possiamo sperimentare
nella crisi occidentale del nostro tempo».
97 Cfr.
L'inizio e l'oltre. Una meditazione sulla verità, in Che
cos'è la storia?, cit. pp. 240-242.
98 Semplificando,
nel 1931 il matematico venticinquenne Kurt Gödel
ha dimostrato che un sistema non può essere contemporaneamente
coerente e completo, ponendo fine al programma di David Hilbert di
spiegare tutta la realtà con la matematica. Gödel
ha reso evidente agli scienziati positivisti che se una spiegazione
è coerente, cioè formalizzata correttamente secondo logica, non è
completa (rimane fuori qualcosa di inesprimibile scientificamente);
se è completa non è coerente. Cfr. E. Nagel, J. R. Newman, La
prova di Gödel,
Bollati Boringhieri, Torino 2013. Allo stesso modo, Voegelin ha
mostrato i limiti dei sistemi filosofici, originati dall'alienazione
degli autori rispetto alla realtà dell'essere, caratterizzata dalla
«tensione
tra trascendenza e immanenza»,
per cui «l'uomo, nella sua autonomia, può ordinare sé stesso e la
società orientandosi verso la trascendenza o emancipandosi nella
sua esistenza immanente e terrena».
Quando queste spinte sono equilibrate l'uomo e la società sono
sani, mentre se una delle due si indebolisce o viene ridotta ai
minimi termini l'uomo e la società si ammalano, come nel caso della
moderna “pneumopatologia”. Cfr. Che
cos'è la storia?,
cit., pp. 25-72 (in particolare p. 27 e p. 54), pp. 173-175 e pp.
210-215.
99
Cfr. L'inizio e l'oltre, in Che cos'è la storia?,
cit., pp. 228-242. Ricordando che siamo nella seconda metà degli
anni settanta, sono notevoli le somiglianze con le contemporanee
riflessioni sulla “meditazione trascendentale” di guru orientali
e ricercatori occidentali come Bede Griffiths, ex monaco
benedettino. Pur essendo un indagatore della “non-dualità”
nell'atto meditativo, mentre secondo Voegelin l'esperienza della
trascendenza è accompagnata dalla percezione dell'alterità, il
religioso inglese esprime molti concetti simili a quelli del
filosofo tedesco, come in questo brano tratto da Il mistero
dell'Oltre, Lindau 2015, p. 46: «Quando
si comincia a pensare e parlare, si formano delle immagini, dei
concetti e dei giudizi; si genera un sistema, ed è lì che
cominciano le divisioni. L'uomo deve andare verso la fonte, oltre le
immagini, i concetti e le dottrine; e la fonte di tutte le religioni
non è assolutamente nelle dottrine, nei rituali o nelle categorie.
È
il mistero trascendente. Karl Rahner, un grande teologo del XX
secolo, verso la fine della sua vita insisteva a dire che tutto
questo parlare di Dio è insufficiente. Nulla che può essere detto
su Dio lo è anche solo lontanamente. Dio è infinito, un mistero
trascendente che dobbiamo adorare, venerare e amare, ma è oltre a
qualunque immagine e pensiero che l'uomo possa concepire, e la
meditazione è il modo per andare oltre».
A mio parere, comunque, più che ascrivibile a un fenomeno di
risonanza o a un'influenza diretta, questa somiglianza dipende dalle
comuni influenze culturali “moderniste” dei due pensatori e
dalla loro non perfetta conoscenza della teologia cattolica
(concausa del modernismo secondo Pio X). Come abbiamo visto,
Voegelin è stato influenzato da Bergson e altri autori vicini al
modernismo, da cui riprende ad esempio l'attenzione per le
esperienze individuali. Inoltre, nei suoi scritti dimostra di non
aver ben compreso il livello di differenziazione raggiunto dal
pensiero cattolico. Mi riferisco in particolare alla piena
comprensione della tensione esistente fin dall'inizio – benché
non fosse chiara ai primi cristiani, come d'altronde non lo è
ancora oggi anche fra persone colte – tra la cittadinanza celeste
e quella terrestre, tra il già
e il non ancora,
tra il qui
e l'oltre,
il cui fraintendimento ha portato al sorgere di varie eresie e alla
perdita della fede da parte di personaggi illustri come Albert
Schweitzer, citato (a pagina 144 di La
nuova scienza politica)
in riferimento ai suoi studi sul Gesù storico e la mancata
parousia.
Tuttavia, il rigore intellettuale di Voegelin e la costante messa in
discussione dei suoi stessi risultati, da un lato rendono
impossibile catalogarlo, dall'altro lo distinguono nettamente dalla
polemica settaria degli autori modernisti della precedente
generazione e dal radicalismo spiritualistico dei “guru” suoi
contemporanei. Significativamente, quando lo si voleva catalogare
come protestante o cattolico, Voegelin si definiva un «cristiano
pre-Riforma», mentre quando qualcuno lo indicava come tomista o
agostiniano rispondeva di essere un «cristiano pre-Nicea». Cfr. la
lettera di Voegelin a John P. East del 18 luglio 1977, Hoover
Institution Archives, Eric Voegelin Papers, microfilm reel 10.23.
Coerentemente con la riflessione di una vita e il battesimo nella
religione protestante, al suo funerale secondo il rito luterano
volle che fossero letti due passi del Vangelo secondo Giovanni che
esprimono la tensione fra questo mondo e il regno di Dio: Gv
12, 24-25 e Gv
2, 15-17. Cfr.
https://voegelinview.com/carrying-coals-to-newcastle/, consultato il
30 marzo 2018.
100
Casti Connubii, III,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
101
Cfr. Divini Illius Magistri,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_31121929_divini-illius-magistri.html.
Da notare che, secondo Pio XI, una scuola laica, da cui sia esclusa
la religione, è impossibile, «giacché
nel fatto essa diviene irreligiosa».
Invece, l'alto «fine proprio e immediato dell'educazione cristiana
è cooperare con la Grazia divina nel formare il vero e perfetto
cristiano: cioè Cristo stesso nei rigenerati col Battesimo (…)
Perciò appunto l'educazione cristiana comprende tutto l'ambito
della vita umana, sensibile, spirituale, intellettuale e morale,
individuale, domestica e sociale, non per menomarla in alcun modo,
ma per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempi e la
dottrina di Cristo». Ibidem, senza numero.
102
Cfr. Casti Connubii,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
103
Si veda a questo proposito l'articolo del New York Times dedicato
alla morte di Oswald von Nell-Breuning, uno dei principali
consulenti di Pio XI per la stesura dell'enciclica,
https://www.nytimes.com/1991/08/23/obituaries/oswald-von-nell-breuning-jesuit-writer-101.html.
Curiosamente, il dotto padre gesuita è morto nel centenario della
Rerum Novarum, all'età di centouno anni.
104
Quadragesimo Anno, n. 132,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310515_quadragesimo-anno.html
105
Cfr. ibidem, nn. 42-46.
106
Cfr. ibidem, n. 49 e Rerum Novarum, n. 35,
http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum.html
107
Quadragesimo Anno, n. 54.
108
Cfr. ibidem, nn. 60-70.
109
Cfr. ibidem, nn. 71-76.
110
Cfr. ibidem, nn.77-80 (si veda anche la nota 7). Il principio di
sussidiarietà, qui esposto, è stato elaborato nell'ambito del
cattolicesimo tedesco, in particolare dal gesuita Gustav Gundlach.
«Pio
XI ha fatto propria questa dottrina, non solo utilizzandola per la
prima volta nella sua concettualità formale in un testo
magisteriale, ma conferendole anche il carisma di essere un
principio di diritto naturale».
Eugenio Corecco, Dalla sussidiarietà alla comunione,
“Communio”, n. 127, Jaca
Book, Milano 1993, pp. 90-91.
111
Cfr. Quadragesimo Anno, nn. 83-88. Queste corporazioni però
devono essere libere, a differenza di quelle istituite dal fascismo,
come chiarito ai nn. 92-96.
112
Cfr. ibidem, nn. 89-91. Anche in questo caso il fine ultimo è, per
dirlo con Papa Sarto, “restaurare ogni cosa in Cristo”. Infatti,
come scrive Pio XI, «se le
membra del corpo sociale saranno così rinfrancate, e ne verrà
raddrizzato il principio direttivo quale timone della economia
sociale, si potrà dire in qualche modo dell'ordine sociale ciò che
dice l'Apostolo del corpo mistico di Gesù Cristo: che
tutto il corpo compaginato e connesso per via di tutte le giunture
di comunicazione, in virtù della proporzionata operazione sopra di
ciascun membro, prende l'aumento proprio del corpo per la sua
perfezione mediante la carità
(Ef
4, 16)».
113
«Una
vera intesa di tutti ad uno stesso bene comune non potrà dunque
aversi altrimenti, che quando tutte le parti della società sentano
di essere membri di una sola grande famiglia e figli di uno stesso
Padre celeste, anzi di essere un solo corpo in Cristo e membri
gli uni degli altri
(Rom
12,0) in modo che se
un membro patisce, patiscono insieme tutti gli altri
(1 Cor 12,26)».
Cfr. ibidem, nn. 127-139.
114
Cfr. ibidem, nn. 140-150.
115
Cfr. Ad Catholici
Sacerdotii del 20
dicembre 1935, LVI anniversario di sacerdozio di Pio XI,
http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19351220_ad-catholici-sacerdotii.html.
Giovanni Maria Vianney era stato proclamato santo da Papa Ratti
dieci anni prima. Nell'enciclica è ricordato come «modello
e celeste Patrono»
di tutti i parroci.
116
L. K. Patterson, “The Pontificate of Pope Pius XI”, in Thoughts,
n. 53, giugno 1939, p. 207. Citato in Y. Chiron, Pio XI. Il papa
dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, cit.,
p. 251.
117
Cfr. Giulia D'Alessio, Pacelli e Roosevelt in nome della pace,
“L'Osservatore romano”, 15 gennaio 2011. Consultabile anche
on-line:
http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2011/011q05a1.html
118
Cfr. Edoardo Bressan, L'insegnamento di Pio XI e lo Stato
sociale, in Pio XI e il suo tempo. Atti del convegno.
Desio, 7-9 febbraio 2014, a cura di Franco Cajani, GR, Besana
Brianza 2014, pp. 133-142.
119
Cfr. ibidem, p. 136 e Giorgio Rumi, Il magistero e il moderno.
Tre Encicliche sociali: 1891, 1931, 1987, in Cultura, Etica e
Finanza. A cento anni dalla Rerum Novarum. Continuità,
modernizzazione, etica del progresso, a cura di G. Galli,
Milano, NED 1991, pp. 13-30. Il ruolo dello Stato nell'economia e la
responsabilità sociale dell'impresa vengono sanciti in particolare
dagli articoli 41-44 (si veda anche la nota 3). Cfr. Sabrina
Pastorelli, Lo Stato imprenditore e la qualificazione tecnologica
dello sviluppo economico italiano: l’esperienza dell’IRI nei
primi decenni del secondo dopoguerra, “Quaderni dell’Ufficio
Ricerche Storiche”, Banca d'Italia, n. 12, dicembre 2006.
Consultabile anche on-line:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/quaderni-storia/2006-0012/Q12_Pastorelli.pdf
120
In opposizione al capitale “parassitario” che aveva generato le
due guerre mondiali, arricchendosi con speculazioni e, attraverso il
controllo dello Stato (cfr. nn. 105-110 della Quadragesimo Anno),
con monopoli e l'espansione imperialistica sui mercati esteri.
Questo concetto, pur con accezioni e interpretazioni politiche
diverse, era ben chiaro per esperienza diretta a gran parte dei
padri costituenti e della loro generazione, per cui nella sintetica
formulazione dell'articolo è stato possibile lasciarlo sottinteso,
ma ignorandolo o non comprendendolo il riferimento al lavoro come
fondamento della Repubblica può suscitare ironia o apparire fuori
luogo. Cfr. gli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione Italiana e per
un inquadramento generale l'articolo di Marco Palombi e Silvia
Truzzi, Costituzione 70 anni dopo: dal lavoro alla giustizia
sociale fino all’economia, la nostra Carta tradita dalla politica,
“Il Fatto Quotidiano”, 1 gennaio 2018. Consultabile anche
on-line: https://bit.ly/2wXqppn
121
A tutto vantaggio del capitale, che così non perde valore e può
comprimere i salari grazie alla pressione esercitata da quello che
Marx chiamava “esercito industriale di riserva”. Infatti, per
garantire la stabilità dei prezzi è necessario che un certo numero
di cittadini europei resti senza lavoro, in base alla relazione
inversa tra inflazione e disoccupazione espressa dalla “curva di
Phillips”. Cfr. l'articolo 3 del Trattato sull'Unione Europea,
http://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF
122
Cfr. note 4 e 7.
123
«Si è assistito negli
ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento
[statale],
che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo
nuovo: lo “Stato del benessere”. Questi sviluppi si sono avuti
in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte
necessità e bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di
privazione indegne della persona umana. Non sono, però, mancati
eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più
recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come
“Stato assistenziale”. Disfunzioni e difetti nello Stato
assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti
propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il
principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore
non deve interferire nella vita interna di una società di ordine
inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto
sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua
azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene
comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società,
lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e
l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche
burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti,
con enorme crescita delle spese».
Centesimus Annus,
n. 48.
124
In effetti, «l'oligarchia
finanziaria e industriale»
ha bisogno degli stati, perché «mentre
i piccoli si indeboliscono nella guerra della competizione
economica»,
l'oligarchia trova «nel
vituperato Stato il “posto fisso” che nega ai deboli, un
arricchimento sicuro e senza rischi e il braccio, all'occorrenza
armato, di un trasferimento di risorse istituzionale e costante».
Il Pedante, La crisi
narrata. Romanzo dei capitali e crepuscolo della democrazia,
Imprimatur, Reggio Emilia 2017, p. 60.
125
Questa sorta di “globalizzazione nazionalista” ispirata dal
cristianesimo, come abbiamo visto è stata prevista al numero 90
della Quadragesimo Anno: «conviene
che le varie nazioni, unendo propositi e forze insieme, giacché nel
campo economico stanno in mutua dipendenza e debbono aiutarsi a
vicenda, si sforzino di promuovere con sagge convenzioni e
istituzioni una felice cooperazione di economia internazionale».
Già nell'enciclica Ubi
Arcano, tra l'altro,
Pio XI aveva criticato il processo per cui il «giusto
amor di patria»
diviene «immoderato
nazionalismo»,
dimenticando che «tutti
i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell'umanità»
e «anche
le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare».
Per chiarire i due termini, “globalizzazione” e “nazionalismo”,
in riferimento al pensiero di Papa Ratti, va notato innanzitutto che
la mondializzazione dei mercati di merci, servizi e forza lavoro,
intesa come abbattimento concordato dall'alto dei dazi e delle
barriere doganali attraverso accordi multilaterali (WTO, NAFTA,
Maastricht, ecc.), è un fenomeno che ha avuto un'accelerazione
negli anni '90 del Novecento, ma l'economia mondiale è sempre stata
fortemente interconnessa (si pensi ad esempio alle rotte delle navi
romane fino in India), e l'intensificazione degli scambi tra XX e
XXI secolo era ben chiara a Pio XI, che pur non usando il termine
“globalizzazione” aveva previsto correttamente gli sviluppi
dell'«internazionalismo
bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria
è dove si sta bene»
(Quadragesimo Anno,
n. 109). Ciò nonostante, i successivi accordi di libero scambio,
sulla carta paritetici, hanno sempre visto intrecciarsi gli
interessi del capitale a quelli delle nazioni più forti, benché
siano stati sistematicamente presentati dai media come fonte di
vantaggi per tutti. Pertanto, sebbene il “nazionalismo” non sia
mai stato superato, oggi coloro che si identificano coi valori della
“società aperta” e dei mercati di solito attribuiscono a questo
termine un'accezione fortemente negativa, confondendolo molto spesso
con la sua degenerazione nell'imperialismo economico, «fase
suprema del capitalismo» (cfr. Lenin 1917), e in
particolare con l’imperialismo tedesco, che ha fatto scoppiare la
seconda guerra mondiale rompendo la pacifica convivenza tra gli
stati e i “nazionalismi” europei degli anni Trenta. Pio XI aveva
previsto questa evoluzione, per cui nelle sue encicliche la parola
“nazionalismo” è già sinonimo di “imperialismo” o comunque
risente delle sue preoccupazioni, ma oggi questo termine potrebbe
avere un'accezione neutra, ovvero indicare il sano attaccamento alla
propria patria e il ragionevole tentativo di privilegiare nei
rapporti con stati e investitori esteri innanzitutto l'interesse
nazionale. Anche se finora quest'ultimo aspetto è stato normale
solo per le nazioni più ricche e i governanti più accorti,
potrebbe in futuro diventare il principio regolatore di una
globalizzazione più paritetica o meno ipocrita, in cui ogni governo
secondo le indicazioni di Papa Ratti difenda gli interessi del
proprio popolo contro lo strapotere del capitale sovranazionale.
Ovviamente, perché ciò avvenga è necessario che gli stati abbiano
il supporto della società civile, ovvero dei singoli cittadini e
dei “corpi intermedi” (centri studi, associazioni, ONLUS,
ONG...), che in un secondo momento dovrebbero controbilanciarne il
potere come previsto nella Quadragesimo
Anno. Infine, sarebbe
importante un contributo pastorale e dottrinale della gerarchia
cattolica, che avrebbe così l'occasione per riconoscere
esplicitamente il fallimento del progetto politico moderno di
unificare tutti i popoli sotto un unico governo mondiale, ribadendo
al contrario l'«unità
dell'umanità nella pluralità»
(citazione dall'enciclica inedita di Pio XI Humani
Generis Unitas. Cfr.
G. Passelecq, B. Suchecky, L'enciclica
nascosta di Pio XI,
Corbaccio, Milano 1997, pp. 152-163).
126
Penso in particolare al meccanismo della blockchain, per cui
gli utenti di una rete informatica, attraverso software dedicati,
garantiscono la validità di un'operazione digitale, che sia un
trasferimento di criptovaluta (scopo per cui è attualmente
utilizzata) o un voto elettronico, senza bisogno del controllo o
delle garanzie di uno Stato. Un primo test sull'utilizzo elettorale
della blockchain è stato compiuto durante le elezioni
presidenziali in Sierra Leone del 7 marzo 2018, riportando
elettronicamente i voti espressi su carta nella capitale Freetown.
Cfr. https://www.ilpost.it/2018/03/11/sierra-leone-blockchain/,
consultato il 17 aprile 2018.
127
Quadragesimo Anno, n. 149.
128
Si pensi al discusso capitolo ottavo dell'esortazione apostolica
Amoris Laetitia, che in nome della misericordia introduce
elementi di ambiguità riguardo al significato e alla validità di
ben tre sacramenti: matrimonio, confessione ed eucaristia. Inoltre,
Papa Francesco ha ribadito alcuni temi sociali cari a Pio XI, come
la dignità del lavoro e la critica del liberalismo, e come abbiamo
visto nella nota 4 sembra aver accantonato il sogno di un unico
governo mondiale, ma nello stesso tempo ha allineato la posizione
della Chiesa su temi delicati come le migrazioni e il diritto
internazionale all'agenda delle ONG sorosiane, delineando in diversi
interventi, anche con un'insistente retorica su “ponti” e
“muri”, una sorta di “teologia della globalizzazione”. Cfr.
G. Copes, La teologia della globalizzazione tra noesi e gnosi,
http://gnosienoesi.blogspot.it/2018/01/la-teologia-della-globalizzazione-tra.html
129
«Siate
sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della
speranza che è in voi. Ma questo sia fatto con dolcezza, rispetto e
retta coscienza»
(1 Pietro 3, 15-17).
130
Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate del 19 marzo
2018, n. 135,
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20180319_gaudete-et-exsultate.html
131
A proposito di San Tommaso, Pio
XI aveva scritto nell'enciclica Studiorum
Ducem:
«Avvicinandosi
alla fine della sua vita, egli raggiunse un così alto grado di
contemplazione, che le cose da lui scritte non gli parevano altro
che paglia,
e diceva di non poter dettare più oltre; così già egli aveva
fisso il pensiero nelle verità eterne da non bramare ormai più
altro che di vedere Dio. Poiché questo, come Tommaso stesso
insegna, è il frutto che deve principalmente cogliersi dagli studi:
un grande amore di Dio e un gran desiderio delle cose eterne»,
https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19230629_studiorum-ducem.html.
Secondo Benedetto XVI, «la
carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con
la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione,
è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni
persona e dell'umanità intera. L'amore – “caritas”
– è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi
con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È
una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità
assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha
su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti
egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli
diventa libero (cfr. Gv
8,32). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e
testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e
insostituibili di carità».
Lett. enc. Caritas in
Veritate, 29 giugno
2009, n. 1,
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html
132
Immagine di copertina tratta dalla rete, https://miqcenter.com/products/quadragesimo-anno-on-social-reconstruction-enp11-638?variant=39003432199
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