Voegelin, Pio XI e la reale alternativa al liberalismo ottocentesco tra la crisi del 1929 e quella del 2008




di Guido Copes




I totalitarismi del Novecento sono stati non solo disastrosi esperimenti politici, ma, secondo il filosofo Eric Voegelin (1901-1985), anche e innanzitutto espressioni di una malattia spirituale, ovvero forme particolari di quella “gnosi moderna” che ha cercato a più riprese di costruire il Paradiso in Terra1. All'ideale di un paradiso socialista, vagheggiato con dettagli diversi da comunisti, fascisti e nazisti, è subentrato così dopo la seconda guerra mondiale il sogno della “società aperta”2, della globalizzazione liberista vantaggiosa per tutti3 e di un governo mondiale sussidiario e solidale4. Il crollo dell'URSS prima e la crisi finanziaria ed economica del 2008 poi hanno spinto numerosi intellettuali a ripensare profondamente i modelli politici, culturali ed economici novecenteschi ormai superati. C'è chi ha parlato di “fine della storia”5, o più semplicemente di “fine della modernità”6, ma a mio parere le alternative analoghe proposte in anni recenti da Dugin e (in parte) Putin in Russia, Bannon e (in parte) Trump negli Stati Uniti, sono come le reazioni di bambini impauriti e incattiviti rispetto alle soluzioni eleganti e rigorose espresse da Voegelin e Pio XI di fronte ai totalitarismi della loro epoca. Purtroppo, la damnatio memoriae di quel periodo ha fatto dimenticare insieme al male le risposte e le intuizioni dei più illuminati uomini del tempo, che però negli ultimi anni stanno venendo riscoperte anche come profetiche soluzioni ai problemi dei nostri giorni7. Nel corso delle mie ricerche ho approfondito prima il pensiero di Voegelin, poi la ricchezza della dottrina sociale della Chiesa, sintetizzata in modo mirabile e originale da Pio XI. Considerati insieme e in quest'ordine, i contributi dei due autori formano come la pars destruens e la pars construens di un'unica riflessione, di cui nelle pagine seguenti descriverò i tratti principali, evidenziando i punti di contatto e le differenze tra il filosofo e il pontefice, ma anche l'attualità del loro pensiero per la costruzione di un diverso ordine sociale e simbolico.




La sfida al totalitarismo delle “religioni politiche” del primo Novecento



Quando si pensa ai totalitarismi politici degli anni '20 e '30 del Novecento, di solito vengono in mente il nazismo tedesco e il fascismo italiano, a cui si associa con qualche distinguo il più longevo regime staliniano. Tuttavia, in una prospettiva “cattolica”, cioè universale, bisogna considerare adeguatamente anche le esperienze esterne al mondo europeo, che in quegli anni entrarono in risonanza coi regimi del vecchio continente, rafforzandone le rivendicazioni e aumentando la pressione e le preoccupazioni che gravavano su un pontefice accorto ma particolarmente isolato come Pio XI (1922-1939)8. Mi riferisco in particolare agli esiti della rivoluzione contro la dittatura di Diaz in Messico e della rivoluzione bolscevica in Russia9. La rivoluzione messicana, iniziata nel 1910, dopo una lunga fase di lotte interne trovò una sistemazione politica col governo di Calles (1924-1928) e dal 1929 col predominio del Partido Nacional Revolucionario, nazionalista e autoritario, che confermarono il carattere anticlericale e anticattolico impresso alla nazione dalla costituzione del 1917. Similmente, la rivoluzione bolscevica contro il regime zarista ebbe fin da subito forti connotati anticristiani, anche per la partecipazione di numerosi ebrei desiderosi di rifarsi dei torti subiti, e dopo un periodo di scontri portò nel 1922 all'instaurazione dell'Unione Sovietica, regime ateo e autoritario con una sfera di influenza geopolitica che in breve raggiunse l'Europa.

Vanno inquadrate in questo contesto di ateismo montante e diffuso odio anti-religioso le nascenti “religioni politiche”10 del vecchio continente, ovvero il fascismo italiano (1922-1945) e il nazismo tedesco (1933-1945). Se il nazionalsocialismo si caratterizza fin da subito come un regime totalitario, la svolta dittatoriale del fascismo viene comunemente ricondotta al discorso di Mussolini in parlamento del 3 gennaio 1925, successivo all'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Nel giro di pochi mesi numerosi intellettuali si allinearono alle istanze del regime, in una situazione di volontario «assoggettamento a ferrea disciplina»11. Tuttavia, il fascismo rimase a lungo un “totalitarismo imperfetto”12, anche per la presenza della monarchia e soprattutto della Chiesa13, e per la storia che ci interessa va sottolineata un'altra divergenza tra i due regimi, ovvero l'iniziale diffidenza di Mussolini nei confronti di Hitler, che nell'estate del 1934 portò i due dittatori a un passo dal conflitto armato.

Mi riferisco ai fatti avvenuti a Vienna, dove allora Voegelin insegnava sociologia all'università. Il 26 luglio un commando di nazisti austriaci uccise il cancelliere Dollfuss durante una riunione del consiglio dei ministri, mentre la sua famiglia si trovava ospite di Mussolini a Riccione. Dolffuss si era avvicinato al Duce proprio per tentare di proteggere l'Austria dalla crescente aggressività dei connazionali nazisti sostenuti dalla Germania, e in effetti la reazione dell'Italia fu netta e immediata. Mussolini con un volo diretto fece precipitosamente rientrare a Vienna da Venezia dove si trovava in vacanza il vice-cancelliere Starhemberg, che insieme al ministro della giustizia von Schuschnigg e forze fedeli ebbe la meglio sui rivoltosi, inoltre inviò al Brennero quattro divisioni per far capire a Hitler che un'eventuale invasione dell'Austria non sarebbe stata tollerata. Come sappiamo l'Anschluss fu soltanto rinviato di quattro anni, ma è proprio in questo periodo che matura la filosofia politica di Voegelin ispirata anche da Pio XI.

Il cosiddetto “stato autoritario” avviato dal cattolico Dolffuss in Austria, infatti, fu direttamente influenzato dalla dottrina sociale della Chiesa espressa nell'enciclica Quadragesimo Anno del 1931. Scrive a tal proposito Voegelin nella sue Riflessioni Autobiografiche:

La resistenza austriaca al nazismo portò, dopo il 1933, alla situazione di guerra civile del 1934 ed alla formazione del cosiddetto stato autoritario. Poiché la concezione dello stato autoritario era strettamente legata alle idee della Quadragesimo anno, oltre che alle precedenti encicliche papali sulle questioni sociali, mi era necessario accedere a questi materiali, e non potevo farlo in maniera veramente profonda senza acquisire una qualche comprensione del loro fondamento nella filosofia tomista. Negli anni 1935-36 iniziarono a svilupparsi i miei interessi in direzione del neotomismo. Lessi le opere di A.D. Sertillanges, Jacques Maritain, Ètienne Gilson e fui ancora più affascinato dai gesuiti – non tanto tomisti quanto agostiniani – come Hans Urs von Balthasar ed Henri de Lubac. A questi studi, durati molti anni, devo la mia conoscenza della filosofia medievale e dei suoi problemi.14

Al tema dello stato autoritario Voegelin dedicò un libro nel 193615, la cui vendita fu bloccata dai nazisti due anni dopo16. L'opera aveva anche uno scopo pratico, dovendo servire all'autore come titolo per poter insegnare scienze politiche17, ma alla luce della successiva produzione testimonia il travaglio interiore di Voegelin, che in quegli anni si predisponeva al distacco dalla nativa Austria, «dal punto di vista dei “luoghi” – preparandosi all'emigrazione negli Stati Uniti – e dal punto di vista più propriamente teorico-metodologico»18. Nel libro infatti Voegelin ribadisce la distanza dall'ex maestro Kelsen riguardo alla “dottrina pura del diritto” (Reine Rechtslehre)19, a cui contrappone una Staatslehre che identifica lo Stato come qualcosa di più della somma delle leggi, un “di più” in cui i simboli, il linguaggio e altri elementi dell'analisi filosofica rivelano gli sviluppi dei suoi studi20.

Quest'opera e la successiva sulle «religioni politiche» del 1938 esprimono il tentativo di Voegelin di contrastare gli ideologi e i corruttori del linguaggio, da lui ritenuti i veri responsabili delle future atrocità naziste21. Per Voegelin, «gli ideologi avevano perduto il contatto con la realtà e sviluppavano simboli che, non esprimendola, esprimevano piuttosto il proprio stato di alienazione rispetto ad essa». Il suo avvicinamento alla filosofia si spiega quindi anche col tentativo di «restaurare la realtà per mezzo della restaurazione del linguaggio»22. A questo proposito, è utile citare ciò che scrive nelle sue memorie sui fatti del 1934 e le ricerche di quel periodo:

La situazione a Vienna diventò più tesa con gli eventi della guerra civile nel 1934. In quell'occasione si manifestò con evidenza la disastrosa disintegrazione della società centroeuropea operata dagli ideologi. Vi era un governo austriaco che resisteva fermamente all'avanzata del nazismo, ma che era messo in pericolo dall'opposizione per quanto riguarda l'efficacia della sua azione, perché il partito socialdemocratico, in ossequio alla propria ideologia marxista, non voleva riconoscere che un piccolo paese come l'Austria dovesse adattarsi alle pressioni politiche del tempo. La virata dell'Austria verso Mussolini, per proteggersi dal peggior male rappresentato da Hitler, stava, a quanto pare, al di là della capacità di comprensione degli ardenti marxisti che non avrebbero fatto nient'altro che strillare: «fascismo!».
(…)
Il risultato di questi anni di tensione successivi al 1933 fu il mio studio su Der autoritäre Staat, pubblicato nel 1936. Era il mio primo serio tentativo di penetrare il ruolo delle ideologie, di destra e di sinistra, nella situazione contemporanea, e di comprendere che uno stato autoritario che tenesse in scacco gli ideologi radicali sarebbe stato la miglior difesa possibile per la democrazia.23

Negli anni '30 dunque Voegelin incluse la filosofia tra i suoi interessi scientifici, stimolato dalla situazione contingente del suo paese24 e dal tentativo politico di opposizione al nazismo ispirato dall'enciclica sociale di Pio XI. Già in preparazione del suo primo libro sulla razza del 193325 aveva scoperto che «una teoria politica, specie nel caso dovesse essere applicata all'analisi delle ideologie, doveva fondarsi sulla filosofia classica e su quella cristiana»26, mentre l'anno successivo presso il Warburg Institute di Londra ebbe il suo primo contatto coi simboli dello gnosticismo27. Il precoce interesse per la storia delle idee trovò quindi, come abbiamo visto, un duraturo oggetto di studio nella filosofia medievale cristiana su cui si basava la Quadragesimo Anno. Da lì in poi, specialmente dopo il trasferimento negli Stati Uniti nel 1938, questa ricerca sulle idee politiche e un possibile ordine nella storia occupò tutta la vita di Vogelin. In particolare, per comprendere a fondo il cristianesimo ne studiò le origini ebraiche, imbattendosi nella cultura mediterranea dei secoli precristiani; dall'approfondimento della filosofia greca si spinse fino a studiare la cultura cinese e altre forme di organizzazione sociale non ispirate dal pensiero occidentale, cercando ogni volta di leggere i testi delle varie culture nelle lingue originali28. I risultati di questa ricerca sono raccolti nella sua opera maggiore, Ordine e Storia, a cui accennerò più avanti.

Il confronto di Pio XI coi regimi totalitari degli anni '30 avvenne invece su due fronti. Se da un lato il Papa cercò e stipulò accordi diplomatici (nel '29 il concordato con l'Italia, nel '33 quello con la Germania) per limitare le persecuzioni e le discriminazioni nei confronti dei cattolici29, dall'altro vigilò costantemente sulle derive eterodosse o apertamente neopagane delle due «religioni politiche», fino a condannarne gli eccessi con encicliche significativamente scritte nelle lingue nazionali (Non Abbiamo Bisogno del '31 e Mit Brennender Sorge del '38).

Nonostante l'iniziale ammirazione per le doti personali di Mussolini e il sincero impegno a trovare una conciliazione col nuovo regime per il bene della Chiesa, dei cattolici italiani e dell'Italia30, l'opposizione alle crescenti pretese totalitarie del fascismo fu ferma e puntuale, anche dando nuovi slanci e significati a istituti precedenti. Al mito del Duce, Pio XI rispose col culto del Sacro Cuore31, contro l'organizzazione fascista della gioventù difese e rilanciò l'Azione Cattolica32, alle celebrazioni del regime e delle sue vittorie contrappose gli appelli per la pace di Cristo nel regno di Cristo e la festa della sua regalità sociale33.

Non mi soffermo su questi temi che riprenderò a proposito del confronto culturale con la modernità, ma vorrei sottolineare che, per Papa Ratti, nell'accesa disputa col regime per il controllo delle anime (e dei corpi)34 degli Italiani, l'oggettiva debolezza politica della Chiesa era compensata dalla sua autorità morale, per cui tutti i capi delle nazioni avrebbero dovuto «prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all'impero di Cristo insieme coi loro popoli, […] richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell'amministrare la giustizia, sia finalmente nell'informare l'animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi»35. Si capisce quindi perché, già all'indomani della firma dei Patti Lateranensi, «il Sant'Uffizio non si lasciò scappare ogni occasione per sottolineare l'eterodossia di certe pubblicazioni vicine al fascismo, ribadendo così la distanza della Chiesa da un regime che mirava, nei mesi seguenti al Concordato, ad affermare una liturgia alternativa a quella cattolica»36. Va in questo senso ad esempio la netta bocciatura della “Preghiera del Balilla”, per cui nell'autunno del 1929 fu richiesta l'approvazione all'arcivescovo di Gorizia da parte del fascio locale, in «rispettosa osservanza» del nuovo clima di collaborazione tra Stato e Chiesa37. La politica del Sant'Uffizio, modellata sulla linea di Pio XI, si esplicò quindi in una «chiusura totale alle contaminazioni tra due liturgie, quella cattolica e quella fascista, che non potevano – e non dovevano – coesistere nemmeno dopo la firma dei Patti del Laterano»38.



La sfida al totalitarismo immanentista della cultura moderna



Il motivo principale per cui Eric Voegelin è ancora oggi studiato e ricordato nei manuali di filosofia e storia del pensiero politico è il risultato della sua ricerca, stimolata come abbiamo visto dal confronto con le “religioni politiche” degli anni '30, sulle varie forme di immanentizzazione della verità e dei significati esistenziali dell'uomo. Queste esperienze, raggruppate sotto il nome collettivo di gnosi o gnosticismo39, dal XIII secolo40 diventano per l'autore sempre più frequenti nel mondo occidentale fino a caratterizzare la modernità, in cui «si assiste a una serie di movimenti e dottrine che ricercano la salvezza non nella trascendenza ma nella politica»41. Tuttavia, come ha fatto notare ironicamente Voegelin, «l'idea di interpretare i fenomeni contemporanei come gnostici non è originale come può sembrare agli ignorantoni che mi hanno per essa criticato»42. Infatti, ebbe l'intuizione di applicare lo gnosticismo alle ideologie moderne leggendo l'introduzione di Hans Urs von Balthasar al Prometeo, pubblicata nel 193743, ma «a partire dagli anni '30 era venuta crescendo una considerevole letteratura sullo gnosticismo ed osservazioni incidentali sui suoi paralleli nella modernità potevano essere ritrovati qui o là»44.

Nella sua fondamentale opera del 1952, La nuova scienza politica, Voegelin sostiene che la percezione della trascendenza si sviluppa nel mondo greco e viene indagata dalla filosofia classica. Prima infatti, ad esempio nell'impero cinese, esisteva una concezione estremamente “compatta” della società, presentata «ai cittadini-sudditi come l'espressione politica di un ordine cosmico di origine divina»45. A partire dalla polis greca invece l'individuo scopre di essere in rapporto dialettico con la divinità, per cui anche i regimi politici si pensano e legittimano in modo “articolato” in relazione alla trascendenza46. Secondo Voegelin, la filosofia classica di Platone e Aristotele è “noetica”, in quanto «ragione, nous, è il nome che i filosofi classici danno alla coscienza che l'uomo ha della tensione verso il fondamento divino dell'esistenza». Al contrario, «nella cosiddetta Età della Ragione, i philosophes, quegli stessi che Platone definiva “amanti dell'opinione”, concepiscono una ragione che abbia come unico scopo l'eclissamento della non ancora deformata ragione esistenziale dell'uomo»47.

La successiva storia occidentale «assume dunque agli occhi di Voegelin l'aspetto di un conflitto sempre aperto fra noesi e gnosi, fra la consapevolezza che la politica deve aprirsi alla trascendenza attraverso la soggettività e i tentativi delle nuove religioni politiche di costringere la trascendenza all'interno della politica, rappresentandola in simboli compatti»48. La sua proposta per resistere alle ideologie e ai totalitarismi è quindi tornare a fare filosofia in senso classico, ovvero recuperare la realtà depurando il linguaggio dai costrutti sociali ideologici e non escludendo sistematicamente dall'analisi la tensione dell'uomo verso il divino49. Inoltre, per Voegelin è necessario costruire una nuova scienza politica basata su questi presupposti. La scienza politica moderna, infatti, deriva dal pensiero di Hobbes, che per opporsi ai disordini suscitati dagli gnostici della sua epoca, i rivoluzionari puritani inglesi, nel Leviatano propose di ridurre il cristianesimo a una teologia civile, negando «l'esistenza di una tensione tra la verità dell'anima e la verità della società»50. Benché in ogni epoca sia necessaria anche una theologia civilis, «l'idea di risolvere le difficoltà della storia con l'invenzione di una costituzione destinata a durare per l'eternità» è un'operazione gnostica che non può funzionare finché la verità dell'anima continuerà ad agitare l'uomo51.

Per la Chiesa cattolica, la sfida della gnosi moderna venne espressa soprattutto dal modernismo teologico. In senso stretto, le idee moderniste si svilupparono «in mezzo allo scetticismo filosofico universale nato da Descartes, da Hume e da Kant»52, furono influenzate da ideologie gnostiche come il marxismo, il positivismo e lo scientismo53, ma soprattutto risentirono delle novità introdotte dall'esegesi biblica protestante54. Il più importante traduttore di queste istanze in ambito cattolico fu il biblista Alfred Loisy (1857-1940), sostenitore della distinzione tra storia e teologia, ovvero dell'indipendenza dell'esegesi biblica dall'autorità della Chiesa55. Grande rilevanza ebbero anche il teologo gesuita irlandese George Tyrrell (1861-1909), critico dei dogmi e delle istituzioni in base alle nuove scoperte storiche e scientifiche56, e il teologo Lucien Laberthonnière (1860-1932), secondo cui la ricerca spirituale personale è superiore ai dogmi e alla teologia ufficiale cattolica, pesantemente condizionata dal pensiero greco57. Vanno ricordati infine almeno i filosofi Murice Blondel (1861-1949), teorico dell'azione e dell'interiore ricerca spirituale58, ed Édouard Le Roy (1870-1954), discepolo del filosofo ebreo Henri Bergson, da cui riprese la critica al positivismo e l'interesse per la trascendenza59, intesa però come percezione di Dio da parte dell'anima umana, svalutando quindi l'importanza della Chiesa e dei dogmi, ritenuti formule utili a evitare errori (come certe schematiche proposizioni della scienza) ma lontane dell'esperienza e impossibili da analizzare razionalmente60.

Il modernismo italiano derivò da queste ricerche e si sviluppò nell'ambito degli studi religiosi, in particolare a partire dal 1901 con la pubblicazione del periodico Studi biblici fondato dal presbitero Salvatore Minocchi (1869-1943)61. Collaboratore di Minocchi e a sua volta sacerdote e fondatore di riviste fu lo storico del cristianesimo Ernesto Buonaiuti (1881-1946)62, forse il più noto tra gli esponenti italiani del modernismo assieme allo scrittore Antonio Fogazzaro (1842-1911), autore nel 1905 del romanzo Il Santo, e al sacerdote impegnato in politica Romolo Murri (1870-1944). Il particolare interesse dei modernisti italiani per la politica e il rinnovamento sociale fu testimoniato anche da Giovanni Semeria (1867-1931), sacerdote e oratore, la cui formazione venne segnata dalle lezioni sul marxismo tenute all'università La Sapienza da Antonio Labriola63.

La reazione della Chiesa all'avanzata di questa corrente di pensiero fu netta e relativamente pronta, in particolare durante il pontificato di Papa Sarto (1903-1914), che seppe coniugare critica, militanza e proposta, a cominciare dal catechismo del 190564. Nel luglio 1907 il Sant'Uffizio emanò un decreto di condanna65 di 65 affermazioni moderniste, «da riprovarsi e condannarsi», riprese in forma ampliata due mesi dopo nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis66. Il documento pontificio stupisce per l'approccio didascalico e insieme il frequente ricorso al «barbaro linguaggio» dei modernisti, ma Pio X intendeva chiarire che il modernismo non era un insieme di «vaghe dottrine non unite da alcun nesso», bensì «un corpo unico e ben compatto» in cui era possibile riconoscere «la sintesi di tutte le eresie»67. Facendo abbondante uso di documenti conciliari e magisteriali precedenti, come quelli del Vaticano I e il Sillabo di Pio IX68, per mostrare che il modernismo in fondo «non ha filo di novità», se non l'uso di «arti affatto nuove e piene di astuzia» e una sorta di «frenesia», Pio X analizza sistematicamente gli errori di ciascuno dei sette tipi o aspetti del modernista, «quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore».

In sintesi, la filosofia modernista, che illumina e dirige gli altri aspetti, per Pio X è composta da una parte negativa, l'agnosticismo che elimina Dio come oggetto diretto della scienza, e da una parte positiva, l'immanenza vitale che spiega ogni fenomeno come risposta a un determinato stimolo o bisogno. Il fenomeno della fede opererebbe inoltre una trasfigurazione e uno sfiguramento della realtà, per cui ad esempio dal Cristo della fede per il modernista bisognerebbe togliere, oltre a tutto ciò che attiene alla divinità, quello che la fede gli ha attribuito ma supera o non è coerente alle condizioni storiche studiate dalla scienza positiva. Come il filosofo, anche il teologo modernista applica i principi dell'immanenza e del simbolismo, concludendo che “Dio è immanente nell'uomo” e che “le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche”, per cui i dogmi vanno adattati al sentimento religioso dei credenti e tutte le religioni sono vere in quanto sussistono e sono state originate da una reale esperienza. Dopo aver smontato il gioco modernista rivelandone gli inganni, Pio X passa al contrattacco stabilendo di rafforzare i tre principali ostacoli incontrati dai modernisti, ovvero «il metodo scolastico di ragionare, l'autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico», ed eliminare ove possibile le idee moderniste, allontanando o isolandone i propagatori e proibendone o limitandone la divulgazione attraverso convegni, libri e giornali.

Negli anni seguenti, le disposizioni dell'enciclica vennero applicate rigidamente, con scomuniche69, sospensioni a divinis e allontanamenti, ma anche con l'istituzione di una rete di informatori, il cosiddetto Sodalitium Pianum70, e l'obbligo per i membri del clero di un giuramento antimodernista71. Inoltre, la Chiesa sostenne l'impegno civile e politico dei laici non modernisti, in particolare attraverso l'Azione Cattolica, istituita nel 1905 con l'enciclica Il fermo proposito72 (dopo lo scioglimento l'anno prima dell'Opera dei Congressi di Murri), e l'Unione Elettorale Cattolica Italiana di Gentiloni, che portò i cattolici a schierarsi a fianco del liberali giolittiani nelle elezioni del 1909 e del 191273. Va sottolineata anche la “sponsorizzazione” papale del neotomismo in funzione antimodernista, iniziata da Leone XIII con l'enciclica Aeterni Patris del 1879. Per Pio X, infatti, la filosofia scolastica, con cui si doveva «precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino”, doveva essere il fondamento degli studi teologici nei seminari, perché «il discostarsi dall'Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno»74. Ebbero quindi nel mondo cattolico un'ottima accoglienza gli studi che ne riproponevano e attualizzavano il pensiero, come quelli di Martin Grabmann75, Antonin-Dalmace Sertillanges76 e Réginal Garrigou-Lagrange, che sviluppò in particolare il concetto di “senso comune” come fondamento della filosofia dell'essere e dei dogmi, in funzione antimodernista77.

Dopo la tragica parentesi della guerra che segnò il breve pontificato di Benedetto XV (1914-1922)78, gli stessi strumenti antimodernisti vennero riproposti da Pio XI, che non a caso prese anche il nome di Papa Sarto. La sua continuità coi predecessori venne indicata già nell'enciclica programmatica del 1922 Ubi Arcano Dei Consilio: «Pio X, proponendosi di “restaurare tutto in Cristo”, quasi per un divino istinto preparava la prima e più necessaria base a quella “opera di pacificazione”, che doveva essere il programma e l’occupazione di Benedetto XV. E questi due programmi dei Nostri Antecessori Noi congiungiamo in uno solo: la restaurazione del regno di Cristo per la pacificazione in Cristo: “La pace di Cristo nel regno di Cristo”»79.

In questa enciclica non c'è un attacco diretto al modernismo, di cui però vengono deplorati gli effetti. Infatti, «derivando ogni autorità non da Dio, ma dagli uomini», sono andate in rovina la società, la famiglia e la scuola, mentre il materialismo dilagante ha preparato il terreno «alla vasta propaganda di anarchia e di odio sociale degli ultimi tempi» sfociata infine nella «guerra mondiale»80. Vana è quindi la pace firmata dagli uomini ma assente nei cuori, come la formazione della Società delle Nazioni nel 1919, perché «non vi è istituto umano che possa dare alle nazioni un codice internazionale, rispondente alle condizioni moderne, quale ebbe, nell’età di mezzo, quella vera società di nazioni che fu la cristianità»81. Infatti,

la Chiesa sola possiede, vera ed inesauribile, la capacità di efficacemente combattere quel materialismo, che tante ruine ha già accumulate e tante altre ne minaccia alla società domestica e civile, e di introdurvi e mantenervi il vero e sano spiritualismo, lo spiritualismo cristiano, che di tanto supera in verità e praticità quello puramente filosofico, di quanto la rivelazione divina sovrasta alla pura ragione: la capacità ancora di farsi maestra e conciliatrice di sincera benevolenza, insegnando ed infondendo alle collettività ed alle moltitudini lo spirito di vera fraternità, e nobilitando il valore e la dignità individuale con l’elevarla fino a Dio; la capacità, infine, di correggere veramente ed efficacemente tutta la vita privata e pubblica, tutto e tutti assoggettando a Dio, che vede i cuori, alle sue ordinazioni, alle sue leggi, alle sue sanzioni; penetrando così nel santuario delle coscienze, tanto dei cittadini quanto di coloro che comandano, e formandole a tutti i doveri ed a tutte le responsabilità, anche nei pubblici ordinamenti della società civile, perché “sia tutto e in tutti Cristo”82.

Affinché Cristo domini sulla società attraverso la Chiesa, Pio XI invoca la collaborazione di tutti i vescovi, del clero e dei battezzati, perché si rafforzino e sviluppino sempre più le varie opere di apostolato, tra cui l'Azione Cattolica, anche per contrastare quelle «idee non rette e non sani sentimenti» che hanno infettato l'atmosfera postbellica, specialmente nel campo della dottrina sociale, generando una sorta di «modernismo morale, giuridico, sociale, non meno condannevole del noto modernismo dogmatico»83. Pio XI era molto preoccupato da questa «peste della nostra età», come la chiama nella Quas Primas, ovvero «il cosiddetto laicismo», per cui «a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false» e poi alcuni «pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso»84. Così, per infondere nuovi stimoli alla Chiesa e disperdere gli effluvi del modernismo, come abbiamo visto istituì o promosse varie festività e culti religiosi, come l'anno Santo del 1925, la celebrazione del Sacro Cuore85 e la festa di Cristo Re.

Quest'ultima iniziativa, promossa con l'enciclica Quas Primas nel 1925, a mio parere esprime bene la duplice azione pastorale di Pio XI, che da una parte contrastò la cultura dominante immanentista già condannata dai suoi predecessori, dall'altra e con maggiore impegno si dedicò alla ricostruzione culturale e morale, ovvero all'edificazione di un'ideale ma realistica società cristiana. Durante il suo pontificato non mancarono gli atti di dura presa di posizione antimodernista, come la condanna del libro di Mario Missiroli Date a Cesare86, ma poiché su questi temi si era già espresso chiaramente Papa Sarto, Pio XI si dedicò soprattutto al consolidamento della teologia morale87, e in particolare della dottrina sociale della Chiesa.




La ricerca di un nuovo ordine culturale e sociale



Fin qui abbiamo visto la contrapposizione di Voegelin e Pio XI ai totalitarismi politici e la loro critica al totalitarismo culturale immanentista. Considerando però le rispettive proposte per superare la crisi della modernità, emergono ulteriori punti di contatto nella ricerca di un nuovo ordine, ma anche profonde e sostanziali differenze. Voegelin infatti è un filosofo che risente in modo significativo del clima culturale laico e modernista in cui è cresciuto. Per centrare subito la questione, la sua critica della modernità si inserisce all'interno di una critica radicale ad ogni sistema chiuso, tra cui include anche la teologia dogmatica.

Per Voegelin, alla base della ricerca filosofica ci sono le esperienze della trascendenza, che vengono poi espresse in simboli e concetti (tra cui i dogmi cattolici), i quali però invece di comunicare l'esperienza spesso finiscono per oscurarla, specialmente se danno origine a un sistema. A suo parere, la comparsa della “scienza dell'essere” cattolica, ovvero l'ontologia tomistica o “metafisica”, «segna lo sforzo, in ambito occidentale, di liberare la filosofia da un dogma che (…) va imponendosi come una dottrina autonoma»88. Questo tentativo di ristabilire il valore dell'esperienza però non avrebbe avuto successo anche perché «si avverte, nell'opera di Tommaso, la tendenza della scienza dell'Essere di costituirsi – come poi avvenne nei secoli moderni – come una verità autonoma»89. Di conseguenza, Comte ed Hegel «possono essere considerati i primi rappresentanti di una rivolta contro lo stato di degenerazione in cui versava la verità dell'esistenza a causa della teologia dogmatica e della metafisica del XVIII secolo»90. Per Voegelin quindi anche la gnosi moderna nasce come un tentativo di opporsi ai dogmatismi, che però, a causa della «hybris illuminista», dà origine ad altri «sistemi chiusi» come quello positivista di Comte o idealista di Hegel, ciascuno dei quali si presenta di volta in volta come la verità definitiva della storia91.

Nonostante la ferma avversione ad ogni schematismo imposto dall'alto, si può dire che tutta la ricerca di Voegelin ruoti attorno al concetto di “ordine”, inteso sia come «la struttura della realtà così come viene esperita», sia come «l'accordarsi dell'uomo ad un ordine che non è opera sua, cioè l'ordine cosmico»92. Nella prima parte della sua carriera, a partire dagli studi giuridici, si era impegnato per sviluppare una storia delle idee politiche, ma prendendo coscienza del suddetto rapporto di dipendenza e falsificazione tra idee ed esperienze, il centro dei suoi interessi si spostò «dalle idee alle esperienze della realtà, che, per articolarsi, generano una varietà di simboli»93, attraverso cui le esperienze stesse possono essere interpretate. Nacque così Ordine e Storia, la sua opera più importante, pubblicata in cinque volumi, di cui l'ultimo postumo, tra il 1956 e il 1987. Secondo il piano originario, l'opera doveva ripercorrere la storia delle esperienze e delle loro simbolizzazioni a partire da quelle mediorientali e israelitiche sino a Cristo (I volume), per poi analizzare l'evoluzione della filosofia greca, dalle origini cosmologiche fino alla differenziazione noetica (II e III volume), quindi proseguire con studi sull'Impero, sull'imperialismo e lo spiritualismo medievale, e infine terminare con la modernità94. Tuttavia, il lavoro si interruppe già nel 1957 dopo il terzo volume, a causa degli impegni accademici di Voegelin ma soprattutto dello sviluppo degli studi storici, che aveva fatto emergere nuove fonti, in particolare sulla preistoria dei simboli studiati fino ad allora, e reso obsoleta la sua concezione lineare della storia. Il quarto volume su L'età ecumenica uscì quindi solo nel 1974, e come abbiamo visto l'ultimo, dal significativo titolo In cerca dell'ordine, sulle più recenti scoperte e la sua personale filosofia della coscienza e della storia, due anni dopo la morte dell'autore95.

In sintesi, il contributo principale di Voegelin alla ricostruzione di un ordine sociale ed esistenziale sta a mio parere soprattutto nella sua lucida analisi del disordine moderno e dello stato di alienazione dell'uomo contemporaneo rispetto alla propria essenza. Le società gnostiche per Voegelin si configurano come “mondi di sogno” in cui il rifiuto individuale della realtà viene elevato a sistema, per cui è impossibile a livello politico analizzare razionalmente i problemi e rispondere ad essi in modo adeguato, col risultato di generare uno stato di guerra permanente destinato a distruggere le società stesse96. La sua critica radicale al pensiero moderno, compiuta dall'interno e con gli strumenti rigorosi della filosofia, mettendo in discussione perfino la possibilità del linguaggio filosofico di esprimere la realtà97, ha avuto secondo me per le scienze politiche e sociali la stessa rilevanza che i teoremi di incompletezza di Gödel hanno avuto per la matematica e le scienze naturali98. Risulta invece meno incisiva l'ultima elaborazione filosofica di Voegelin sulle esperienze della trascendenza, giunta a noi soprattutto tramite appunti inediti, che recupera concetti come la “visione” di Platone, la “deiformitas” di San Tommaso (Summa Theol. I, 12,4) e il “transumanar” di Dante (Par. I, 70) per sostenere l'importanza della meditazione in quanto atto filosofico autonomo, che permette di fare esperienza dell'oltre «come di una presenza fonte di immortalità nell'atto della riflessione»99.

Ben diversa è la consistenza della proposta esistenziale e sociale cattolica sintetizzata in modo innovativo e profetico da Papa Ratti. Come abbiamo visto, infatti, nella sua prima enciclica Pio XI ha ribadito l'esistenza di un ordine cosmico, avente in Dio il fondamento e il fine. Quest'ordine è iscritto nel senso comune di ogni uomo, trova corrispondenza nel diritto naturale ed è spiegato dalla teologia scolastica, su cui si basa l'autorità della Chiesa anche in campo morale. Dal '29 al '35 il Papa pubblica quindi le encicliche che vengono ricordate come le “quattro colonne” della sua teologia morale, riguardanti l'individuo (Divini Illius Magistri del '29), la famiglia (Casti Connubii del '30), la società civile (Quadragesimo Anno del '31) e la Chiesa (Ad Catholici Sacerdotii del '35). Già questa sequenza riflette l'idea di ordine di Pio XI, ripercorrendo lo sviluppo della società dai suoi elementi di base a quelli complessi secondo il principio di sussidiarietà, per cui il più grande aiuta il più piccolo in ciò che quest'ultimo non riesce a fare, preservando per il resto la sua autonomia sancita dal diritto naturale. La Chiesa che è in cima ha il compito di guidare e servire tutti gli altri corpi sociali, dirigendo la ricostruzione dell'ordine corrotto dalle idee moderniste secondo un principio chiarito nella Casti Connubii:

Aiuterà a ciò principalmente il ricordare quella massima certissima, che è comunemente ammessa dalla sana filosofia e dalla sacra teologia: che per ricondurre al loro pristino stato, secondo la loro natura, le cose che hanno deviato dalla rettitudine, non vi è altra via che di riportarle a conformità della ragione divina, la quale (come insegna l’Angelico) è l’esemplare della perfetta rettitudine100.

Ovviamente, affinché sia conosciuto il disegno divino riguardo alle cose della vita e al destino eterno dell'uomo, occorre che qualcuno lo trasmetta ai giovani con un'istruzione cristiana. A questo tema è dedicata la prima enciclica morale, Divini Illius Magistri del 31 dicembre 1929. Certamente l'enciclica è motivata anche dal confronto con l'educazione impartita in quegli anni da regimi laicisti e totalitari come quello sovietico in Russia, «un paese dove si strappano i fanciulli dal seno della famiglia, per formarli (o, per più veramente dire, per deformarli e depravarli), in associazioni e scuole senza Dio, all'irreligiosità e all'odio, secondo le estreme teorie socialiste», e fascista in Italia, dove le liturgie laiche basate su un «nazionalismo esagerato e falso» tentavano di scalzare quelle cattoliche, eccedendo «i giusti limiti nell'ordinare militarmente l'educazione così detta fisica dei giovani (e talora anche delle giovinette, contro la natura stessa delle cose umane), spesso ancora invadendo oltre misura, nel giorno del Signore, il tempo che deve restare dedicato ai doveri religiosi, e al santuario della vita familiare». Soprattutto, però, Pio XI contestava i principi modernisti dell'educazione, ovvero «ogni naturalismo pedagogico, che in qualsiasi modo escluda o menomi la formazione soprannaturale cristiana nell'educazione della gioventù» e «ogni metodo di educazione che si fondi, in tutto o in parte, sulla negazione o dimenticanza del peccato originale e della Grazia e quindi sulle sole forze dell'umana natura». Al contrario, viene ribadito che «l'educazione consiste essenzialmente nella formazione dell'uomo, quale egli deve essere e come deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il fine sublime per il quale fu creato». Pertanto, «la missione dell'educazione spetta innanzi tutto, soprattutto, in primo luogo alla Chiesa e alla Famiglia, spetta a loro per diritto naturale e divino, e perciò in modo inderogabile, ineluttabile, insurrogabile». Lo Stato, essendo interessato alla formazione di bravi cittadini, deve quindi proteggere il diritto anteriore della famiglia e della Chiesa all'educazione, rimuovendo le cause contrarie, orientando tutta l'istruzione pubblica ai principi religiosi e sostenendolo economicamente le scuole cattoliche101.

Esattamente un anno dopo, il 31 dicembre del 1930, viene pubblicata l'enciclica sul matrimonio cristiano Casti Connubii. Anche in questo caso, la fonte di tutti i mali moderni è ricondotta alla credenza secondo cui «il matrimonio non ha origine da divina istituzione, né è stato dal Signor Nostro Gesù Cristo sollevato alla dignità di Sacramento, ma è un’umana invenzione». Da ciò derivano la pretesa degli stati di separare il matrimonio civile da quello religioso, le giustificazioni dei metodi anticoncezionali, dell'aborto e delle pratiche eugenetiche, le presunta libertà dei singoli riguardo alla convivenza, al divorzio, all'uso della sessualità e del proprio corpo, anche per rendersi sterili. Al contrario, «la ragione sacra del coniugio, che va intimamente connessa con la religione e con l’ordine delle cose sacre, risulta sia dall’origine sua divina, che abbiamo ricordato, sia dal suo fine, che è generare ed educare a Dio la prole e condurre parimenti a Dio i coniugi mediante l’amore cristiano e il vicendevole aiuto». Pertanto, al fine di «ricondurre il retto ordine nella materia matrimoniale», opponendosi agli «odierni fautori del neopaganesimo», i sacerdoti devono guidare i giovani, correggendone le inclinazioni disordinate e fortificandone la volontà, istruire le giovani coppie sulle leggi e i precetti della Chiesa, in particolare sul valore del matrimonio, infine assisterle coi sacramenti e rafforzarne la pietà verso Dio. Tutto ciò però sarebbe inutile senza la ferma volontà dei coniugi di «attenersi ai comandamenti di Dio in tutto ciò che riguarda il matrimonio» e senza il sostegno della comunità e dello Stato, attraverso giuste leggi ispirate dalla Chiesa e sussidi alle famiglie povere. A questo proposito Pio XI riprende l'insegnamento di Leone XIII nella Rerum Novarum, per cui è necessario che «nella civile società le condizioni economiche e sociali siano così ordinate, che ogni padre di famiglia possa meritare e lucrare quanto è necessario al sostentamento proprio, della moglie e dei figli»102.

Questi temi vengono sviluppati nella successiva enciclica Quadragesimo Anno, pubblicata il 15 maggio 1931, esattamente quarant'anni dopo la Rerum Novarum, col significativo sottotitolo Sulla ricostruzione dell'ordine sociale, con cui spesso è stata indicata specialmente nel mondo anglosassone103. Anche in questo caso le cause degli squilibri economici, mitigati in parte negli anni precedenti col contributo dell'enciclica leonina, vengono riconosciute «negli affetti disordinati dell'anima, triste conseguenza del peccato originale»104. Nella prima parte Pio XI ribadisce quindi che l'economia non può essere slegata da una legge morale, perché in definitiva il diritto di proprietà viene dal Creatore, che concede all'uomo il dominio sui beni naturali per l'uso suo e dei familiari, ma anche perché vengano così ordinatamente distribuiti a tutta l'umanità105. A causa del duplice carattere della proprietà, individuale e sociale, si deduce che «gli uomini debbano aver riguardo non solo al proprio vantaggio», ed è compito dello Stato, nel rispetto della proprietà privata, «temperarne l'uso e armonizzarlo col bene comune»106. Sono pertanto sbagliate sia le più estreme teorie liberali sia quelle socialiste, perché capitale e lavoro devono cooperare nel reciproco interesse dato che «l'uno senza l'altro non valgono a produrre nulla»107. Anzi, di fronte al «grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti», per l'elevazione del proletariato e una più giusta distribuzione delle ricchezze, è necessario che venga riconosciuto «il carattere sociale, come della proprietà, così anche del lavoro, massime di quello che per contratto si cede ad altri»108. Per quantificare il giusto salario bisogna cioè considerare le condizioni della famiglia del lavoratore, ma anche quelle dell'azienda e della società, al fine di dare lavoro «a quanti più è possibile»109.

Nella seconda parte dell'enciclica Pio XI passa quindi a descrivere i provvedimenti per la vera e propria «restaurazione dell'ordine sociale», attraverso «la riforma delle istituzioni e la emendazione dei costumi». Infatti, «per il vizio dell'individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l'antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato». Di conseguenza è necessario avere ben chiaro il principio della filosofia sociale per cui «siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare»110. Il Papa suggerisce pertanto di reintrodurre le corporazioni tra «quelli che attendono all'arte medesima», come alternativa al disordine del mercato «ove le parti si combattono accanitamente»111, ma anche un principio direttivo ispirato ai valori cristiani della giustizia e della carità, che deve essere attuato dalle varie nazioni promuovendo «con sagge convenzioni e istituzioni una felice cooperazione di economia internazionale», perché «il retto ordine dell'economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze»112.

Purtroppo, nota Papa Ratti, dai tempi di Leone XIII la ricchezza si è andata concentrando nelle mani di pochi, «e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento», generando nella società vari tipi di lotte, a livello economico, politico e tra nazioni. La libera concorrenza così «si è da sé distrutta», «alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio» e anche lo Stato si è ridotto a servo dell'economia, «divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele». Un'altra novità è rappresentata dal comunismo, che vuole opporsi agli eccessi del capitalismo con un'accanita lotta di classe e abolendo la proprietà privata, ma si è dimostrato dove ha conquistato il potere «tanto più crudele e selvaggio». Anche l'altro partito, «che ha conservato il nome di socialismo» e persegue gli stessi fini con metodi più miti, nonostante alcune giuste rivendicazioni è inconciliabile con la Chiesa, perché «ignorando o trascurando del tutto» il fine sublime dell'uomo e della società, cioè dare gloria a Dio giungendo alla felicità eterna dopo quella temporale, «suppone che l'umano consorzio non sia istituito se non in vista del solo benessere». Per tutti questi motivi, conclude Pio XI ribadendo il pensiero di Leone XIII, alla «tanto desiderata restaurazione sociale deve precedere l'interno rinnovamento dello spirito cristiano». Infatti, anche se si rimuovessero le cause dei conflitti, modificando le leggi che favoriscono gli speculatori e restaurando alcuni principi morali o di giustizia sociale, senza la carità cristiana non si potrebbe «unire i cuori e stringere insieme la volontà»113. Da qui l'appello finale a ricristianizzare la società, compito non facile in «un mondo ricaduto in gran parte nel paganesimo», rivolto a una «schiera di laici apostoli», operai, industriali e commercianti114, che dovranno essere debitamente formati e motivati da santi sacerdoti, a loro volta educati ad essere “il sale della terra e la luce del mondo”, figure e imitatori di Cristo, apostoli della verità e della carità sull'esempio dell'umile curato d'Ars115.




L'enciclica sociale di Pio XI, scritta all'indomani della drammatica crisi economica del 1929, ispirò già nei mesi seguenti diverse soluzioni politiche che segnarono un'epoca. Infatti, nello stesso anno 1932, Dollfuss inaugurò in Austria lo “stato autoritario”, Salazar avviò in Portogallo l'Estado Novo e De Valera in Irlanda iniziò a ricostruire il paese «secondo i principi della Quadragesimo Anno»116. Oltreoceano, l'enciclica rattiana venne apprezzata in modo particolare dal presidente americano Roosevelt, che nel 1933 lanciò il suo New Deal per sostenere con l'intervento pubblico la ripresa economica117. Tornando alla Chiesa e all'Italia, i temi principali dell'enciclica vennero ripresi da Pio XII e dai suoi successori, e dopo la seconda guerra mondiale la terza via di Pio XI si affermò «nelle elaborazioni programmatiche della Democrazia Cristiana e in particolare nelle posizioni di Fanfani e di La Pira»118. Significativamente, la Costituzione Italiana del '46, a sua volta terza via, frutto della mediazione cattolica tra liberali e socialisti, sancì il ruolo fondamentale attribuito da Pio XI alla Stato, non più solo “regolatore” ma “protagonista” della vita economica, definendolo come imprenditore tra imprenditori119.

Come sappiamo, però, al diritto della giovane Repubblica Italiana, fondata sul lavoro di operai e imprenditori120, in anni recenti si è affiancato e quindi sostituito il diritto comunitario fondato sulla stabilità dei prezzi121. Anche in ambito ecclesiale, come abbiamo visto122, inseguendo il sogno di un governo mondiale giusto e vantaggioso per tutti, si è arrivati a mettere in discussione il modello di stato sociale faticosamente costruito e funzionante, benché appesantito e criticabile per i suoi eccessi123. Tuttavia, la crisi economica iniziata nel 2008 ha reso nuovamente evidenti i grossi limiti del liberalismo, e in particolare della finanza deregolamentata da Reagan negli anni '80, per cui da più parti si invoca un ritorno a precedenti forme di governo dell'economia e a un maggior intervento degli stati nazionali. Infatti, benché mutilati e imbrigliati dai regolamenti internazionali, gli stati sono ancora importanti nell'economia mondiale124 e potrebbero tornare protagonisti come soggetti politici, dando origine a un nuovo modello di globalizzazione più equilibrata e vantaggiosa per tutti, secondo i principi auspicati da Pio XI125. Ammesso che ciò accada veramente e non si affermi al contrario una maggiore atomizzazione della società, portando a compimento la tensione della modernità verso un radicale individualismo favorito anche dalle nuove tecnologie126, il rischio è che, distrutte o alquanto mutilate le “quattro colonne” della morale, ovvero l'educazione religiosa, il matrimonio, il senso di comunità e l'autorità della Chiesa, lo Stato nazionale del futuro venga diretto da personaggi che di cristiano a volte hanno solo il nome, ma in realtà sono figli di quel sotterraneo e sempre riemergente paganesimo pre-moderno che Papa Ratti aveva riconosciuto nel suo tempo. Ecco perché è quanto mai attuale l'appello all'unione di «tutti gli uomini di buona volontà», i quali

secondo il genio, le forze, la condizione di ciascuno, cerchino di contribuire in qualche misura a quella cristiana restaurazione della società, che Leone XIII auspicò con l'immortale enciclica Rerum Novarum; non mirando a sé stessi e agli interessi propri, ma a quelli di Gesù Cristo (cfr. Fil 2,21), non pretendendo di imporre le proprie idee, comunque belle ed opportune esse sembrino, ma mostrandosi disposti a rinunziarvi per il bene comune, affinché in tutto e soprattutto Cristo regni, Cristo imperi, e al quale sia onore e gloria e potere nei secoli (cfr. Apoc 5,13)127.

Al momento risulta molto improbabile un rinnovamento dell'impegno cattolico in politica e nella società attraverso organizzazioni strutturate come la Democrazia Cristiana o l'Azione Cattolica di Pio XI, in parte per l'oggettiva debolezza e dispersione dei cattolici, in parte per una diffusa confusione a livello dottrinale e pastorale, che sembra riguardare anche la gerarchia e l'indirizzo stesso della Chiesa nel mondo128. Ai cristiani «di buona volontà» appare oggi riservata la missione dei primi discepoli: confrontarsi con un mondo in gran parte pagano e fecondarlo con la forza del messaggio evangelico, della propria testimonianza e della ragione illuminata dalla fede. Per svolgere questo compito, sarebbe utile riguadagnare un pensiero filosofico della trascendenza, come ha spiegato Voegelin, che sappia però coniugare la prospettiva umana “ascendente”, per sua natura incerta e soggetta ad errori, con quella divina “discendente”, rivelata da Cristo e indagata dalla teologia cattolica. Infatti, come ribadito tra gli altri da Pio X e Papa Ratti, solo con un pensiero forte, organico e rigoroso come quello della scolastica i cristiani possono difendersi dagli attacchi e rendere ragione della speranza che è in loro129, purché, come ricorda l'apostolo Pietro, lo facciano con dolcezza e rispetto, avendo ben presente l'assoluta trascendenza del Logos, che «va sempre al di là dei nostri schemi»130, e di fronte al quale, come direbbe l'Aquinate, tutti i nostri ragionamenti sono solo un mucchio di paglia secca, finché non vengono incendiati dal suo amore131.




Una recente edizione americana della Quadragesimo Anno132









1 Cfr. Augusto Del Noce, Eric Voegelin e la critica dell'idea di modernità, in Eric Voegelin, La nuova scienza politica, Borla, Roma 1999, pp. 7-28. Del Noce in questo saggio introduttivo riesce a evidenziare l'evoluzione dello gnosticismo meglio di quanto faccia lo stesso Voegelin. Infatti, la gnosi moderna è significativamente diversa da quella antica, caratterizzata da un rifiuto pessimistico del mondo nella sua interezza per volgersi al regno dello spirito. Un passaggio intermedio è rappresentato dalla gnosi cristiana e in particolare da Gioacchino da Fiore, secondo cui il mondo può essere trasformato grazie allo Spirito Santo, ovvero all'intervento di Dio nella storia. In seguito si fa invece strada la convinzione che il regno della perfezione si realizzerà sulla Terra, per il solo effetto dell'iniziativa umana. «Quindi la gnosi antica ateizza il mondo (…) in nome della trascendenza divina; la postcristiana lo ateizza in nome di un immanentismo radicale». Sintetizzando il pensiero di Voegelin, Del Noce sostiene che «lo spirito di modernità (...) è dunque l'immanentizzazione dell'eschaton cristiano; e il fattore che promuove questa evoluzione è (...) lo gnosticismo, cosicché l'evoluzione dello spirito di modernità coinciderebbe con quella dello gnosticismo». In ogni epoca, comunque, l'atteggiamento gnostico secondo Voegelin sarebbe riconoscibile da alcune caratteristiche. Lo gnostico è insoddisfatto della sua situazione e ne attribuisce la causa alle manchevolezze del mondo, ma crede che sia possibile salvarsi dal male attraverso un processo e che questo «mutamento nell'ordine dell'essere rientri nell'ambito dell'azione umana». Di conseguenza è suo dovere cercare «la conoscenza – gnosi – del metodo per trasformare l'essere», cioè sviluppare una formula per salvare sé stesso e il mondo e comunicarla ad altri. Cfr. Eric Voegelin, Il mito del mondo nuovo, Rusconi, Milano 1990, pp. 6-10.
2 Cfr. Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma 2002. L'opera, pubblicata originariamente nel 1945, ha avuto un'enorme fortuna tanto da contribuire a plasmare la società occidentale nei decenni successivi, anche grazie a influenti discepoli di Popper come il finanziere George Soros, che attraverso la sua fondazione, chiamata appunto Open Society, dal 1993 finanzia una galassia di ONG, rivoluzioni colorate, movimenti migratori e cambi di regime al fine di plasmare una società fluida, senza barriere e regolata unicamente dai mercati (cfr. il documentato articolo del giornalista eritreo Daniel Wedi Korbaria, Soros e la sua Color Revolution in Italia, http://www.mediacomunitaeritrea.it/soros-e-la-sua-color-revolution-in-italia/, 7 agosto 2017, consultato il 10 marzo 2018). La proposta filosofica di Popper (1902-1994) può essere definita un onesto tentativo, apparentemente simile a quello di Voegelin, di rispondere alla sfida dei totalitarismi e delle ideologie degli anni '30. Tuttavia, la “società aperta” da lui delineata, per il dogma della tolleranza universale, da cui sono esclusi gli “intolleranti”, si caratterizza chiaramente come una nuova “religione politica”, ovvero un'altra forma della gnosi moderna, la cui evoluzione totalitaria Voegelin aveva intuito già negli anni '50. Ben diversa era la “società aperta” teorizzata una generazione prima, in un'opera del 1932, dal filosofo Henri Bergson (cfr. H. Bergson, Les Deux sources de la morale et de la religion, tr. Mario Vinciguerra, Le due fonti della morale e della religione, Comunità, Milano 1947), la cui intuizione fondamentale viene così descritta da Voegelin: «la coesione della società chiusa deriva dal mito; la transizione verso una società aperta, ove si verifichi, è segnata dall'apertura dell'anima all'esperienza della trascendenza» (E. Voegelin, Che cos'è la storia?, Edizioni Medusa, Milano 2007, p. 62). L'apertura “noetica” alla trascendenza è un tema centrale nell'opera di Voegelin, in quanto rappresenta l'unica garanzia che un mondo simbolico, ovvero un organismo politico, non si trasformi in un sistema chiuso, quindi di tipo “gnostico” e totalitario, a prescindere dalle sue caratteristiche esteriori e dal nome con cui viene chiamato. Infatti, come ha scritto Giovanni Paolo II, «una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo», riconoscibile anche nello sviluppo dell'attuale “società aperta” laicista e relativista, nata come i precedenti totalitarismi dalla negazione di «una verità trascendente» e dunque della «trascendente dignità della persona umana». Invece, «non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette» (cfr. lett. enc. Centesimus Annus, 1º maggio 1991, nn. 44-46, http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_01051991_centesimus-annus.html).
3 Il moderno liberismo economico è stato sostenuto soprattutto dalla scuola austriaca di Friedrich von Hayek (1899-1992), grande amico di Karl Popper. Si può dire, in effetti, in termini marxisti, che i due intellettuali abbiano definito la “struttura” economica e la “sovrastruttura” culturale del modello liberista adottato da tutto l'Occidente dopo la seconda guerra mondiale, in opposizione alla precedente dottrina sociale della Chiesa e alle proposte economiche di John Maynard Keynes (1883-1946), che prevedevano un ruolo più attivo dello Stato, imprenditore tra imprenditori a sostegno del lavoro, secondo la formula sintetizzata dalla Costituzione italiana del 1946 (cfr. articoli 1, 3, 35-47 e la nota 119). Purtroppo la globalizzazione liberista non ha portato come promesso vantaggi per tutti, bensì ha sistematicamente privilegiato i più forti, come testimonia il crescente livello di disuguaglianza registrato annualmente da organizzazioni come Oxfam (cfr. il rapporto 2018, Ricompensare il lavoro, non la ricchezza, https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2018/01/Rapporto-Davos-2018.-Ricompensare-il-Lavoro-Non-la-Ricchezza.pdf, consultato il 10 marzo 2018).
4 Il progetto di un governo mondiale prende avvio ufficialmente nel 1919 con la Società delle Nazioni, a cui succede nel 1945 l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Nella dottrina sociale cattolica, dopo l'iniziale scetticismo (cfr. la nota 81), a partire da Papa Roncalli (cfr. il capitolo IV dell'enciclica Pacem in Terris del 1963) diventa una costante il riferimento a un ordine laico superiore a quello degli stati nazionali, sostanzialmente coincidente con l'ONU. Ancora nel 2009 Benedetto XVI così si esprimeva nell'enciclica Caritas in Veritate, al paragrafo 67: «Per il governo dell'economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell'ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità». Nonostante questo appello conclusivo, nello stesso documento Ratzinger aveva sottolineato la crescente importanza dello Stato nazionale e dei corpi intermedi così come descritti da Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno (cfr. la nota 7), e significativamente Papa Francesco al n. 184 della sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013 sembra liquidare la questione rimandando al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e citando Paolo VI: «Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese». Nell'enciclica Laudato si' di due anni dopo, inoltre, Bergoglio fa riferimento al brano citato di Ratzinger per auspicare una risposta comune al riscaldamento globale, realizzata però dalla diplomazia «mediante accordi tra i governi nazionali». Laudato si', n. 175, https://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
5 Cfr. Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992.
6 Cfr. Alexander Dugin, La quarta teoria politica, Nuova Europa Edizioni, Milano 2017 (prima edizione russa 2009).
7 Ai paragrafi 24 e 25 dell'enciclica Caritas in Veritate, Benedetto XVI sottolinea i limiti del liberismo e deplora «la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale». Sembra lontanissimo il rischio paventato appena diciotto anni prima da Giovanni Paolo II di un'eccessiva espansione dello «Stato assistenziale» (cfr. lett. enc. Centesimus Annus, n. 48). Ad ogni modo, le parole usate da Benedetto XVI riflettono fedelmente concetti e termini usati nell'enciclica Quadragesimo Anno del 1931 da Pio XI, che pure non viene esplicitamente citato. Ad esempio, al n. 24 Ratzinger scrive: «Oggi, facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado, anche attraverso nuove modalità di esercizio, di far fronte alle sfide del mondo odierno. Con un meglio calibrato ruolo dei pubblici poteri, è prevedibile che si rafforzino quelle nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e internazionale che si realizzano attraverso l'azione delle Organizzazioni operanti nella società civile; in tale direzione è auspicabile che crescano un'attenzione e una partecipazione più sentite alla res publica da parte dei cittadini». Si confronti ad esempio il n. 79 della Quadragesimo Anno: «E quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente allo Stato, non perché dall'opera sua si debba aspettare tutta la salvezza, ma perché, per il vizio dell'individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l'antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione dell'ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari». Cfr. la nota 110.
8 Cfr. un intervento registrato di Ennio Apeciti su “Pio XI, il leone del vaticano”, https://youtu.be/kKqsvzXz7XM?t=8m33s
9 Sulla rivoluzione messicana si veda Francesco Ricciu, Le grandi rivoluzioni del XX secolo - La Rivoluzione Messicana, Dall'Oglio, Milano 1968; sulla rivoluzione russa Adriano Dell'Asta, Giovanna Parravicini, Russia 1917: il sogno infranto di «un mondo mai visto», La casa di Matriona, Milano 2017. Si veda anche Paolo Valvo, Pio XI e la Cristiada. Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929), Morcelliana, Brescia 2006; Mario Arturo Iannaccone, Cristiada. L'epopea dei Cristeros in Messico, Lindau, Torino 2016; Jan Mikrut (a cura di), La Chiesa cattolica in Unione Sovietica. Dalla Rivoluzione del 1917 alla Perestrojka, Gabrielli Editori, Verona 2017.
10 L'espressione è di Eric Voegelin, che con questo titolo (Die politischen Religionen) pubblicò a Vienna nel 1938 un volume in cui esprimeva in nuce alcuni concetti fondamentali del suo pensiero, poi ripresi e precisati in La nuova scienza politica del 1952. In particolare, per Voegelin «la vita degli uomini all'interno della comunità politica non può essere circoscritta quale sfera profana», perché «la comunità è anche un ambito d'ordine religioso». Nel corso della storia molte realtà politiche si sono caratterizzate come laicizzazione di simboli ed esperienze religiose, ma questa «religiosità intramondana» esprime un «distacco da Dio» che ha le caratteristiche della ribellione satanica e può portare a una caduta altrettanto rovinosa. Cfr. Eric Voegelin, Le religioni politiche, in La politica: dai simboli alle esperienze, a cura di Sandro Chignola, Giuffrè Editore, Milano 1993, pp. 73-75.
11 Cfr. Benedetto Croce, Pagine sparse, Laterza, Bari 1960, vol. II, pp. 490, 500-502. Citato in Gabriele Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Il Mulino, Bologna 1980, pp. 17-18.
12 Come sostiene Giovanni Sabbatucci, «una delle domande che ancora adesso non ha trovato una risposta concorde fra gli storici è se il fascismo sia da considerarsi uno Stato totalitario. Hannah Arendt diceva di no e sottolineava le differenze con il nazismo e il comunismo staliniano. Altri studiosi, tra i quali Emilio Gentile, hanno sostenuto il contrario. Non solo perché sviluppò una struttura politica adeguata ma perché creò una mistica che si sarebbe sviluppata ulteriormente se mai la Germania e l'Italia avessero vinto la guerra. Io invece più di una volta ho usato la formula di "totalitarismo imperfetto"». D. Messina, Fu un totalitarismo imperfetto, “Il Corriere della Sera”, 21 aprile 2008, p. 27.
13 «In un paese in cui oltre il 99 per cento della popolazione si dichiarava di fede cattolica, in cui la pratica religiosa era diffusa in modo massiccio, in cui le parrocchie rappresentavano spesso l’unico centro di aggregazione sociale e culturale, non era facile governare contro la Chiesa o senza trovare con essa un qualche modus vivendi». G. Sabbatucci - V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Bari 2008, p. 142.
14 Eric Voegelin, Riflessioni Autobiografiche, in La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 98.
15 Cfr. Eric Voegelin, Der autoritäre Saat. Ein Versuch über das Österreische Staatsproblem, Springer, Wien 1936.
16 Eric Voegelin, Riflessioni Autobiografiche, cit., p. 123.
17 Cfr. ibidem, p. 121.
18 Cfr. la prefazione di Sandro Chignola al volume La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 3.
19 Si veda il saggio giovanile di Voegelin Reine Rechtslehre und Staatslehre, “Zeitschrift für Öffentlisches Recht”, IV, 1924, pp. 80-131.
20 Cfr. Eric Voegelin, Riflessioni Autobiografiche, cit., pp. 12-13.
21 «Potrei dire che nel caso della Germania, i corruttori del linguaggio al livello giornalistico e letterario (…) siano stati i veri criminali colpevoli delle atrocità naziste. Atrocità che furono possibili soltanto allorché l'ambiente sociale fu così corrotto dalle persone volgari, da far salire al potere un vero rappresentante dello spirito volgare». Cfr. ibidem, p. 120.
22 Ibidem, p. 92.
23 Ibidem, pp. 110-111.
24 Voegelin era nato a Colonia in Germania nel 1901, ma a nove anni si era trasferito con la famiglia in Austria.
25 Cfr. Eric Voegelin, Rasse und Staat, Mohr, Tübingen 1933.
26 Eric Voegelin, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 109. Da notare che già nel 1924, frequentando la Columbia University con una borsa di studio della Rockefeller Foundation, Voegelin aveva iniziato a lavorare sulla filosofia inglese ed americana del common sense, diffusa dalla scuola del pastore anglicano scozzese Thomas Reid. Cfr. ibidem, pp. 99-101. Il concetto di “senso comune” fu ripreso nel mondo cattolico dal filosofo catalano Jaime Balmes e poi in funzione anti-modernista dal domenicano Réginald Garrigou-Lagrange, in particolare nel suo Le Sens commun, la philosophie de l'être et les formules dogmatiques, Beauchesne, Paris 1909. Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche, a cura di Antonio Livi e Mario Padovano, Leonardo, Roma 2013, pp. 7-9. Si veda anche la nota 77.
27 Cfr. Eric Voegelin, La politica: dai simboli alle esperienze, cit., p. 108.
28 Cfr. ibidem, pp. 129-136.
29 «Quando Noi, Venerabili Fratelli, nell’estate del 1933, a richiesta del governo del Reich, accettammo di riprendere le trattative per un Concordato, in base ad un progetto elaborato già vari anni prima, e addivenimmo così ad un solenne accordo, che riuscì di soddisfazione a voi tutti, fummo mossi dalla doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvifica della Chiesa in Germania e di assicurare la salute delle anime ad essa affidate, e in pari tempo dal sincero desiderio di rendere un servizio d’interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco». Mit Brennender Sorge, n.1, consultabile anche on-line: http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennender-sorge.html
30 Per un inquadramento storico del rapporto tra Pio XI e il fascismo si veda Yves Chiron, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2006; Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007; Gerlando Lentini, Pio XI, l'Italia e Mussolini, Città Nuova, Roma 2008; Carlo Confalonieri, Pio XI visto da vicino, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993 (3ª ed.; 1ª ed. 1957).
31 Cfr. Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), consultabile anche on-line: http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280508_miserentissimus-redemptor.html
32 Cfr. Giorgio Vecchio, Pio XI e l'Azione Cattolica, in Pio XI e il suo tempo. Atti del Convegno. Desio, 6 febbraio 2016, a cura di Franco Cajani, GR, Besana Brianza 2017, pp. 393-414.
33 Cfr. Quas Primas (11 dicembre 1925), consultabile anche on-line: http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html
34 Sugli appelli del Papa alla purezza e all'autocontrollo rivolti all'Aziona Cattolica, per formare «un esercito compatto, unitario, disciplinato», i cui membri «non hanno altro pensiero né altro scopo (…) se non quello di preparare le anime ad accogliere il Signore ed estendere ogni giorno di più il Regno di Dio», si veda Giorgio Vecchio, Pio XI e l'Azione Cattolica, cit., pp. 393-403. Le due citazioni di Pio XI sono tratte rispettivamente da una lettera del novembre '29 al cardinale primate di spagna Segura y Saenz, in M. Casella, L'azione cattolica nell'Italia contemporanea (1919-1969), Ave, Roma 1992, pp. 67-246, e dal Discorso ai Consigli superiori dell'Azione Cattolica Italiana, 28 giugno 1930, ora in Discorsi di Pio XI, a cura di D. Bertetto, S.E.I., Torino 1961, vol. III, pp. 370-373.
35 Cfr. Quas Primas, senza numero.
36 Matteo Brera, Pio XI e l'indipendenza politica della Chiesa tra d'Annunzio e Mussolini, in Pio XI e il suo tempo. Atti del Convegno. Desio, 6 febbraio 2016, a cura di Franco Cajani, GR, Besana Brianza 2017, p. 164.
37 Cfr. ibidem, p. 164. La lettera, conservata nell'Archivio Centrale dello Stato, è stata pubblicata anche in R. De Felice, E. Mariano (a cura di), Carteggio d'Annunzio-Mussolini (1919-1938), Mondadori, Milano 1971, p. 426.
38 Ibidem, p. 166.
39 Per una sintesi della storia della gnosi secondo Voegelin e Del Noce si veda la nota 1.
40 Con Gioacchino da Fiore, anche se per Voegelin l'origine della modernità gnostica è da ricercare addirittura nel IX secolo, col «rilancio dell'antico gnosticismo ad opera di Scoto Eriugena», perché «le sue opere, al pari di quelle di Dionigi Areopagita da lui tradotte, esercitarono un'influenza continua sulle sette gnostiche clandestine prima che emergessero alla superficie nel secolo dodicesimo e tredicesimo». Cfr. La nuova scienza politica, cit., p. 163. Per Voegelin la gnosi cristiana è un ripiegamento semplicistico e consolatorio rispetto alla fragilità della fede e alla «tremenda serietà» di «quell'eroica avventura dell'anima che è il cristianesimo». Ibidem, pp. 157-159.
41 Cfr. Carlo Galli, Edoardo Greblo, Sando Mezzadra, Il pensiero politico del Novecento, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 159-162. L'applicazione dello gnosticismo ai fenomeni moderni, in particolare con La nuova scienza politica del 1952 e Scienza, politica e gnosticismo del 1959 (in Il mito del mondo nuovo, cit., pp. 45-133), è stata messa in discussione negli anni seguenti dallo stesso Voegelin, che pur ritenendola sostanzialmente valida ha ritenuto necessario considerare in aggiunta altri fattori come l'apocalittica metastatica o il fallimentare tentativo di recuperare una comprensione dell'ordine cosmico attraverso il neoplatonismo. Cfr. Riflessioni autobiografiche, cit., pp. 134-135.
42 «In generale, mi piacerebbe far notare che se avessi scoperto da me stesso tutti i problemi storici e filosofici per i quali sono stato criticato dagli intellettuali, sarei senza dubbio il più grande filosofo della storia dell'umanità. Prima di pubblicare qualsiasi cosa riguardo alle categorie gnostiche ed alla loro applicabilità alle ideologie moderne, mi consultai con le autorità contemporanee sulla gnosi, ed in particolare con Charles Puech a Parigi e Gilles Quispel ad Utrecht. Puech considerava evidente che le moderne ideologie fossero speculazioni di tipo gnostico e Quispel sottopose alla mia attenzione lo gnosticismo di Jung, cosa che attirava particolarmente la sua attenzione». Eric Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., p. 134.
43 Si tratta della tesi di dottorato di Von Balthasar, poi rielaborata e pubblicata in tre volumi col titolo Apokalypse der deutschen Seele. Studie zu einer Lehre von den letzten Haltungen, Anton Pustet, Salzburg, 1937-39. Per una sintesi dell'opera si veda Paolo Martinelli, La morte di Cristo come rivelazione dell'amore trinitario nella teologia di Hans Urs von Balthasar, Jaca Book, Milano 1996, pp. 40-42. Il primo volume venne ripubblicato ad Heidelberg nel 1947 dall'editore Kerle col titolo Prometheus: Studien zur Geschichte des deutschen Idealismus.
44 «Scoprii che le linee di continuità dello gnosticismo dall'antichità al moderno erano materia di conoscenza diffusa tra i migliori studiosi del diciottesimo e del primo diciannovesimo secolo. Vorrei citare l'opera di Ferdinand Christian Bur Die Christliche Gnosis; oder, die christliche Religionsphilosophie in ihrer geschichtlichen Etwicklung del 1835. Baur spiegava la storia dello gnosticismo dall'originaria gnosi antica ed attraverso il medioevo, sino alla filosofia della religione di Jakob Böhme, Schelling, Schleiermacher ed Hegel». Riflessioni autobiografiche, cit., pp. 133-134. Per una rassegna degli studi sulla gnosi si veda la premessa a Scienza, politica e gnosticismo, in E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo, cit., pp. 47-51. Ad essi si può aggiungere il lavoro di Karl Löwith, che in Significato e fine della storia del 1949 «ha proposto una critica della modernità come secolarizzazione del cristianesimo proprio a partire dalla dottrina gioachimita delle tre età». Il pensiero politico del Novecento, cit., p. 160.
45 Il pensiero politico del Novecento, cit., p. 159. Si veda anche E. Voegelin, La nuova scienza politica, cit., pp. 88-93. Questa concezione, come vedremo a proposito di Ordine e Storia, verrà successivamente relativizzata con la scoperta della preistoria dei simboli della trascendenza. Cfr. il saggio degli anni '60 Che cos'è la storia?, in Che cos'è la storia?, cit., pp. 25-72.
46 Per Voegelin, «il massimo di differenziazione fu raggiunto attraverso la filosofia greca e il cristianesimo» (La nuova scienza politica, p. 144). Più avanti, considerando il basso livello di differenziazione della civiltà gnostica moderna, Voegelin ipotizza un ciclo di civiltà gigantesco, il cui acme «è rappresentato dalla venuta di Cristo», ovvero dalla «rivelazione del Logos nella storia» (ibidem, p. 203. Per approfondire l'interpretazione della centralità di Cristo nella storia si veda anche O. Cullmann, Cristo e il tempo, Il Mulino, Bologna 1969, orig. 1946, e J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, Edizioni Porziuncola, Assisi 2008, in particolare la nota 62 e le pp. 138-166). Come ricorda Voegelin, per Sant'Ambrogio anche l'imperatore cristiano doveva essere un servo di Dio, «perché la verità di Cristo non può essere rappresentata dall'imperium mundi, ma soltanto dal servizio di Dio». Agostino poi distinse nettamente la “cittadinanza celeste” dalla “cittadinanza terrena” (che pure convivono sulla terra come l'amor sui e l'amor Dei nel cuore dell'uomo), anche in opposizione alla compattezza romana rappresentata da Varrone, in quanto «per lui, l'ordine dell'esistenza umana era già diviso tra la civitas terrena della storia profana e la civitas coelestis di istituzione divina». Cfr. La nuova scienza politica, cit., pp. 114- 122. Si veda anche il saggio introduttivo di Antonio Pieretti ad Agostino, La Città di Dio, Città Nuova, Roma 1997, pp. V-LXXII.
47 Eric Voegelin, L'eclissi della realtà, in Che cos'è la storia?, cit. p. 151.
48 Cfr. Il pensiero politico del Novecento, cit., p. 161.
49 Cfr. Eric Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., pp. 157-166. Per Voegelin la tattica generale degli ideologi consiste nell'escludere quelle realtà e quelle domande che riguardano i presupposti dei loro sistemi e potrebbero farli esplodere. «Le realtà che vengono escluse possono ampiamente variare, ma una di quelle che lo sono sempre è l'esperienza della tensione dell'uomo verso il divino fondamento della sua esistenza». Questa disonestà intellettuale, ovvero la deliberata restrizione delle esperienze considerate rispetto a quelle descritte dalla filosofia classica, è per Voegelin particolarmente evidente in Hegel e Marx: «Non ho il minimo dubbio che un uomo con la cultura storica di Hegel ignorasse deliberatamente le esperienze immediate della coscienza e le rimpiazzasse con modelli percettivi altamente astratti – e storicamente piuttosto tardi – per poter mettere su un sistema che esprimesse il suo stato d'alienazione. Non conosco un passaggio hegeliano nel quale egli rifletta sulla tecnica della sua impostura intellettuale, ma essa si è comunque esplicitata nell'opera di Marx e nei manoscritti parigini di quest'ultimo del 1844». Questa alienazione dei moderni philosophes, «questo caparbio distogliersi dall'esperienza fondamentale della realtà», che come ricorda Voegelin «fu diagnosticato dagli stoici come una forma di malattia mentale», in una prospettiva teologica è conseguenza del peccato primordiale dell'uomo, come sostenuto da Benedetto XVI nell'omelia per la Santa Messa nella cena del Signore del 2012: «L’atteggiamento di Adamo era stato: “Non ciò che hai voluto tu, Dio; io stesso voglio essere dio”. Questa superbia è la vera essenza del peccato. Pensiamo di essere liberi e veramente noi stessi solo se seguiamo esclusivamente la nostra volontà. Dio appare come il contrario della nostra libertà. Dobbiamo liberarci da Lui – questo è il nostro pensiero – solo allora saremmo liberi. È questa la ribellione fondamentale che pervade la storia e la menzogna di fondo che snatura la nostra vita. Quando l’uomo si mette contro Dio, si mette contro la propria verità e pertanto non diventa libero, ma alienato da sé stesso. Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio” – non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo», http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120405_coena-domini.html
50 Cfr. La nuova scienza politica, cit., pp. 189-196.
51 Cfr. ibidem, p. 197. Con Hobbes, che pure non era gnostico, lo gnosticismo divenne la teologia civile della società occidentale. Infatti, contrappose «all'immanentizzazione gnostica dell'eschaton, che metteva in pericolo l'esistenza, una radicale immanenza dell'esistenza che negava l'eschaton». Ibidem, p. 217.
52 R. Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche, cit., p. 35.
53 Per Voegelin, «lo scientismo è rimasto fino ai nostri giorni uno dei più forti movimenti gnostici della società occidentale». La nuova scienza politica, cit., p. 163.
54 Tra gli studiosi protestanti spicca Adolf von Harnack (1851-1930), la cui opera principale pubblicata in tre volumi tra il 1886 e il 1890 fu una Storia dei dogmi, secondo lui fortemente influenzati dal pensiero greco. Particolarmente rilevante fu anche l'opera Das Wesen des Christentums, tratta dalle sue lezioni all'università Humbold di Berlino, sulla differenza tra l'essenza della religione e le sovrapposizioni derivanti da altre culture, come appunto quella greca e romana. Cfr. Adolf von Harnack, L'essenza del cristianesimo, Bocca, Torino 1903.
55 A Loisy dedicarono monografie i suoi epigoni italiani Murri (La religione di Alfredo Loisy, Libreria Editrice Bilychnis, Roma 1918) e Buonaiuti (Alfredo Loisy, Formiggini, Roma 1925). Per un'analisi del suo pensiero si veda Marco Ivaldo, Religione e cristianesimo in Alfred Loisy, Le Monnier, Firenze 1977.
56 Cfr. C. Rolando, Cristianesimo e religione dell'avvenire in George Tyrrell, Le Monnier, Firenze 1978.
57 Cfr. L. Pazzaglia, Rinnovamento religioso e prospettive educative in Laberthonnière, ISU, Milano 2005.
58 Si vedano in particolare le opere L'azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della pratica, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1921 (orig. 1893) e Storia e dogma, a cura di Enrica Carpita e Mario Casotti, Vallecchi, Firenze 1922 (orig. 1904).
59 Su Bergson (1859-1941) cfr. la nota 2. Si veda anche E. Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., p. 106 e p. 177; La nuova scienza politica, cit., p. 95.
60 Cfr. E. Le Roy, Dogme et critique, Bloud, Paris 1907. Per Le Roy, in definitiva Dio è in noi stessi, nella nostra moralità e spiritualità. Cfr. E. Le Roy, Le problème de Dieu, L'artisan du livre, Paris 1931.
61 Cfr. Attilio Agnoletto, Salvatore Minocchi: vita e opere (1869-1943), con un'appendice di lettere inedite scritte da ecclesiastici ed ex ecclesiastici italiani e stranieri sotto il pontificato di Pio X, Morcelliana, Brescia 1964. A proposito del modernismo in Italia si veda Michele Nicoletti, Otto Weiss, Il modernismo in Italia e in Germania nel contesto europeo, Il Mulino, Bologna 2010 e Giovanni Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità, Carocci, Roma 2012.
62 Cfr. l'autobiografia Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Gaffi, Roma 2008 (orig. 1945).
63 «Da talune di quelle lezioni, le più sofisticate, le più nuove, si partiva storditi. Ci pareva che dentro a noi crollasse la nostra vecchia (vecchia solo perché eterna) concezione del mondo e della vita. […] Una di quelle tentazioni che quando non ti fanno del male irreparabile, superate e vinte ti fanno del bene». Giovanni Semeria, I miei tempi, Amatrix, Milano-Roma 1929, pp. 58-59.
64 Cfr. Cristina Siccardi, San Pio X. La vita del Papa che ha ordinato e riformato la Chiesa, San Paolo Editore, Cinisello Balsamo 2014.
65 Lamentabili Sane Exitu, consultabile on-line: http://www.unavox.it/Documenti/doc0177_Lamentabili.htm (visionato il 7 aprile 2018).
66 http://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis.html
67 Ibidem, senza numero.
68 Il Sillabo, contenuto nell'enciclica Quanta Cura del 1864, elencava 80 proposizioni erronee relative al razionalismo, all'indifferentismo, alla Chiesa e alla società civile, alla morale naturale e cristiana, al matrimonio, al socialismo, al comunismo, alle società segrete e al liberalismo. Cfr. Quanta Cura, https://w2.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/encyclica-quanta-cura-8-decembris-1864.html
69 Una di queste colpì il fondatore della rivista Rinnovamento, Tommaso Gallarati Scotti, di cui era stato precettore Achille Ratti, il futuro Pio XI. Cfr. Yves Chiron, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, cit., pp. 81-86.
70 G. Vannoni, Nuovi documenti sull'integrismo. Sodalitium Pianum e Action française, “Storia Contemporanea”, a. XII, n. 4/5, Il Mulino, Bologna 1981.
71 Istituito col motu proprio Sacrorum Antistitum del 1910.
72 https://w2.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11061905_il-fermo-proposito.html
73 Cfr. Andrea Tornielli, La fragile concordia. Stato e cattolici in centocinquant'anni di storia italiana, Rizzoli, Milano 2011, pp. 88-89.
74 Pascendi, senza numero. Anche Pio XI valorizzò lo studio di San Tommaso, ribadendone la centralità nella formazione dei religiosi, in particolare con la lettera apostolica Officiorum Omnium del 1° agosto 1922 e con l'enciclica Studiorum Ducem del 29 giugno 1923.
75 Autore di una Storia del metodo scolastico pubblicata nel 1909 e nel 1912 di un'introduzione a San Tommaso. Cfr. Martin Grabmann, San Tommaso d'Aquino. Introduzione alla sua personalità e al suo pensiero, (tradotto dal tedesco da Giacomo Di Fabio), 3ª edizione italiana, Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano 1940.
76 Cfr. Antonin-Dalmace Sertillanges, San Tommaso d'Aquino, Morcelliana, Brescia 1931.
77 Il “senso comune”, che compare anche nell'enciclica Pascendi in opposizione al sentimento religioso dei modernisti, come abbiamo visto nella nota 26 nasce come elaborazione filosofica in Scozia per poi diffondersi nel mondo anglosassone fino a raggiungere in una biblioteca di New York, attraverso i testi di Dewey, Human Nature and Conduct, Thomas Reid e Sir William Hamilton, il giovane Eric Voegelin, che così scrive nelle sue Riflessioni autobiografiche, cit., a pag. 100: «Questa concezione inglese e scozzese del common sense come di un'attitudine dell'uomo che in sé stessa ne incorporava una filosofica nei confronti della vita, indipendentemente dall'apparato tecnico della filosofia; ed al contrario, l'interpretazione della filosofia classica e stoica come elaborazione tecnico-analitica del common sense, è rimasta un'influenza perdurante nel mio modo di concepire sia la filosofia del common sense, sia quella classica. Fu durante quel periodo, che ebbi per la prima volta il sentore di quanto il proseguimento della tradizione della filosofia classica al livello del common sense – senza possedere necessariamente l'apparato tecnico di un Aristotele – potesse significare per il clima intellettuale e per la coesione di una società». Come ha spiegato Antonio Livi, continuatore contemporaneo degli studi sul senso comune, Garrigou-Lagrange analizzando le categorie filosofiche del modernismo «ne individua una che è come la matrice ideologica di tutte, ossia l'immanentismo soggettivistico o idealismo, che è appunto l'opposizione teoretica radicalmente opposta a quella del realismo metafisico». Secondo la sintesi di Livi, «la “philosophie de l'être”, ossia la metafisica realistica» fondata sul senso comune, che è «quella “filosofia implicita” che la filosofia esplicita altro non fa se non formalizzare in modi diversi», «è l'unica forma di razionalità filosofica che possa fornire anche oggi al teologo gli strumenti logici (la “logica aletica”, dico io) per un'adeguata interpretazione del dogma». Cfr. la postfazione di Livi a R. Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell'essere e le formule dogmatiche, cit., pp. 289-295.
78 Nella sua prima enciclica Ad Beatissimi Apostolorum del 1914, Benedetto XV riprese la condanna dei modernisti e dello «spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di novità in ogni singola cosa», a cui contrappose la regola: «Non cose nuove, ma in modo nuovo» e l'invito a fondare associazioni cattoliche, poiché «ad un’aperta professione di fede cattolica e ad una vita ad essa consentanea sogliono gli uomini essere stimolati, più che da altro, dalle fraterne esortazioni e dal mutuo buon esempio», http://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_01111914_ad-beatissimi-apostolorum.html
79 Ubi Arcano, senza numero, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19221223_ubi-arcano-dei-consilio.html
80 Ibidem. Papa Ratti si riferì direttamente al modernismo in altre due encicliche: la Studiorum Ducem del '23 su San Tommaso d'Aquino e la Mortalium Animos del '28 “sulla difesa della verità rivelata da Gesù”.
81 Ibidem. Si noti la differenza rispetto alla fiducia successivamente attribuita all'ONU da Giovanni XXIII e Paolo VI nella Pacem in Terris e nella Popolorum Progressio, a cui ho accennato anche nella nota 4. Per una ricostruzione dei rapporti tra Chiesa e Società delle Nazioni si veda Americo Miranda, Santa Sede e Società delle Nazioni. Benedetto XV, Pio XI e il nuovo internazionalismo cattolico, Studium, Roma 2013.
82 Ubi Arcano, senza numero.
83 Ibidem.
84 Quas Primas, senza numero, https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_11121925_quas-primas.html
85 La festività era stata istituita ufficialmente da Pio IX nel 1856. A questo culto Pio XI dedicò l'enciclica Miserentissimus Redemptor del 1928.
86 Si tratta della prima monografia sul Concordato, pubblicata a Roma dalla Libreria del Littorio nel 1929. Missiroli, ispiratore delle polemiche antireligiose di Mussolini, a sua volta ispirato dal Buonaiuti con cui aveva collaborato al “Resto del Carlino”, venne giudicato dalla Santa Sede un giornalista «di notoria serviltà e abiezione mentale» e il suo libro fu messo all'indice, benché si fosse all'indomani del Patti Lateranensi. Inoltre, pochi mesi dopo, nel 1930, uscì allegato all'“Osservatore Romano” il volumetto Date a Dio, con lo scopo di confutare le testi sostenute nel libro di Missiroli. Cfr. Matteo Brera, Pio XI e l'indipendenza politica della Chiesa fra d'Annunzio e Mussolini, cit., pp. 166-172.
87 Le sue principali encicliche di argomento morale sono note come le “quattro colonne”. Si tratta della Divini Illius Magistri del '29, sul diritto della Chiesa e della famiglia, anteriore a quello dello Stato, di educare i figli, della Casti Connubii del 1930, sulla sacralità del matrimonio e contro le pratiche contraccettive, abortive ed eugenetiche, l'enciclica sociale Quadragesimo Anno del 1931 e la Ad Catholici Sacerdotii del 1935, sul servizio sacerdotale anche in relazione all'educazione cristiana, al matrimonio e alla dottrina sociale.
88 E. Voegelin, L'inizio e l'oltre. Una meditazione sulla verità, in Che cos'è la storia?, cit., p. 210. Il saggio, scritto intorno al 1977 e pubblicato postumo, rappresenta la fase più avanzata della riflessione filosofica di Voegelin, espressa anche nel suo Wisdom and the Magic of the Extreme del 1981 (in Published Essays, 1966-1985, Louisiana State University Press, Baton Rouge and London 1990). Cfr. ibidem, p. 21.
89 Ibidem, p. 221. Non è questo l'ambito per analizzare la produzione dell'Aquinate o la fondatezza della critica di Voegelin. Mi limito ad osservare con Antonio Livi la distanza del domenicano dalla disonestà intellettuale e dai sistemi chiusi degli ideologi, ovvero «quanto fosse sincera la disposizione di Tommaso a servire Dio con la sua intelligenza, senza secondi fini di ambizione personale o di vanità», come dimostra anche l'esito della sua ricerca filosofica: «un giorno del dicembre 1273, dopo la celebrazione della messa, Tommaso chiamò il suo fedelissimo segretario fra Reginaldo da Piperno e gli comunicò la decisione di non continuare a scrivere, perché quella mattina durante la messa aveva capito che quanto aveva scritto nei suoi libri era “tota palea”, un mucchio di paglia. Così rimasero interrotte due delle sue opere più importanti: la Summa theologiae, che restò ferma alla questione 90 della terza parte, e il Compendium theologiae, sospeso al capitolo 10 del secondo libro». Cfr. Antonio Livi, Tommaso d'Aquino. Il futuro del pensiero cristiano, Mondadori, Milano 1997, p. 59 e pp. 77-79.
90 E. Voegelin, L'eclissi della realtà, in Che cos'è la storia?, cit., p. 167. Anche questo saggio, scritto nel 1969, è stato pubblicato postumo, ma una sua parte è comparsa con lo stesso titolo in un volume in memoria di Alfred Schutz, Phenomenology and Social Reality, ed. Maurice Natanson, Martinus Nijhoff, The Hague 1970, pp. 186-194.
91 Cfr. ibidem, pp. 168-175.
92 E. Voegelin, Riflessioni autobiografiche, cit., p. 141.
93 Ibidem, pp. 144-145.
94 Cfr. ibidem, p. 146.
95 Cfr. ibidem, pp. 147-148 e Che cos'è la storia?, cit. p. 15. Agli studi sulle fonti storiche venne dedicato un volume a parte, Anamnesis del 1966. Cfr. Eric Voegelin, Anamnesis. Teoria della storia e della politica, Giuffrè, Milano 1972.
96 Cfr. Eric Voegelin, La nuova scienza politica, cit., pp. 208-211. Si pensi ad esempio all'attuale lotta contro il terrorismo combattuta nei paesi occidentali con chitarre e gessetti colorati. Scriveva Voegelin nel 1952: «Le società gnostiche e i loro leaders riconoscono certo i pericoli che si profilano contro la loro esistenza, ma questi pericoli non possono essere fronteggiati con azioni adeguate nel mondo della realtà. Si tende piuttosto a fronteggiarli per via di operazioni magiche nel mondo di sogno, come la disapprovazione, la condanna morale, le dichiarazioni di intenzioni, i manifesti, gli appelli all'opinione pubblica mondiale, la condanna dei nemici come aggressori, il mettere fuori legge la guerra, la propaganda per la pace mondiale e per un governo mondiale, ecc. La corruzione intellettuale e morale che si manifesta nel complesso di siffatte operazioni magiche può pervadere la società con l'atmosfera maniaca e spettrale di un manicomio, come possiamo sperimentare nella crisi occidentale del nostro tempo».
97 Cfr. L'inizio e l'oltre. Una meditazione sulla verità, in Che cos'è la storia?, cit. pp. 240-242.
98 Semplificando, nel 1931 il matematico venticinquenne Kurt Gödel ha dimostrato che un sistema non può essere contemporaneamente coerente e completo, ponendo fine al programma di David Hilbert di spiegare tutta la realtà con la matematica. Gödel ha reso evidente agli scienziati positivisti che se una spiegazione è coerente, cioè formalizzata correttamente secondo logica, non è completa (rimane fuori qualcosa di inesprimibile scientificamente); se è completa non è coerente. Cfr. E. Nagel, J. R. Newman, La prova di Gödel, Bollati Boringhieri, Torino 2013. Allo stesso modo, Voegelin ha mostrato i limiti dei sistemi filosofici, originati dall'alienazione degli autori rispetto alla realtà dell'essere, caratterizzata dalla «tensione tra trascendenza e immanenza», per cui «l'uomo, nella sua autonomia, può ordinare sé stesso e la società orientandosi verso la trascendenza o emancipandosi nella sua esistenza immanente e terrena». Quando queste spinte sono equilibrate l'uomo e la società sono sani, mentre se una delle due si indebolisce o viene ridotta ai minimi termini l'uomo e la società si ammalano, come nel caso della moderna “pneumopatologia”. Cfr. Che cos'è la storia?, cit., pp. 25-72 (in particolare p. 27 e p. 54), pp. 173-175 e pp. 210-215.
99 Cfr. L'inizio e l'oltre, in Che cos'è la storia?, cit., pp. 228-242. Ricordando che siamo nella seconda metà degli anni settanta, sono notevoli le somiglianze con le contemporanee riflessioni sulla “meditazione trascendentale” di guru orientali e ricercatori occidentali come Bede Griffiths, ex monaco benedettino. Pur essendo un indagatore della “non-dualità” nell'atto meditativo, mentre secondo Voegelin l'esperienza della trascendenza è accompagnata dalla percezione dell'alterità, il religioso inglese esprime molti concetti simili a quelli del filosofo tedesco, come in questo brano tratto da Il mistero dell'Oltre, Lindau 2015, p. 46: «Quando si comincia a pensare e parlare, si formano delle immagini, dei concetti e dei giudizi; si genera un sistema, ed è lì che cominciano le divisioni. L'uomo deve andare verso la fonte, oltre le immagini, i concetti e le dottrine; e la fonte di tutte le religioni non è assolutamente nelle dottrine, nei rituali o nelle categorie. È il mistero trascendente. Karl Rahner, un grande teologo del XX secolo, verso la fine della sua vita insisteva a dire che tutto questo parlare di Dio è insufficiente. Nulla che può essere detto su Dio lo è anche solo lontanamente. Dio è infinito, un mistero trascendente che dobbiamo adorare, venerare e amare, ma è oltre a qualunque immagine e pensiero che l'uomo possa concepire, e la meditazione è il modo per andare oltre». A mio parere, comunque, più che ascrivibile a un fenomeno di risonanza o a un'influenza diretta, questa somiglianza dipende dalle comuni influenze culturali “moderniste” dei due pensatori e dalla loro non perfetta conoscenza della teologia cattolica (concausa del modernismo secondo Pio X). Come abbiamo visto, Voegelin è stato influenzato da Bergson e altri autori vicini al modernismo, da cui riprende ad esempio l'attenzione per le esperienze individuali. Inoltre, nei suoi scritti dimostra di non aver ben compreso il livello di differenziazione raggiunto dal pensiero cattolico. Mi riferisco in particolare alla piena comprensione della tensione esistente fin dall'inizio – benché non fosse chiara ai primi cristiani, come d'altronde non lo è ancora oggi anche fra persone colte – tra la cittadinanza celeste e quella terrestre, tra il già e il non ancora, tra il qui e l'oltre, il cui fraintendimento ha portato al sorgere di varie eresie e alla perdita della fede da parte di personaggi illustri come Albert Schweitzer, citato (a pagina 144 di La nuova scienza politica) in riferimento ai suoi studi sul Gesù storico e la mancata parousia. Tuttavia, il rigore intellettuale di Voegelin e la costante messa in discussione dei suoi stessi risultati, da un lato rendono impossibile catalogarlo, dall'altro lo distinguono nettamente dalla polemica settaria degli autori modernisti della precedente generazione e dal radicalismo spiritualistico dei “guru” suoi contemporanei. Significativamente, quando lo si voleva catalogare come protestante o cattolico, Voegelin si definiva un «cristiano pre-Riforma», mentre quando qualcuno lo indicava come tomista o agostiniano rispondeva di essere un «cristiano pre-Nicea». Cfr. la lettera di Voegelin a John P. East del 18 luglio 1977, Hoover Institution Archives, Eric Voegelin Papers, microfilm reel 10.23. Coerentemente con la riflessione di una vita e il battesimo nella religione protestante, al suo funerale secondo il rito luterano volle che fossero letti due passi del Vangelo secondo Giovanni che esprimono la tensione fra questo mondo e il regno di Dio: Gv 12, 24-25 e Gv 2, 15-17. Cfr. https://voegelinview.com/carrying-coals-to-newcastle/, consultato il 30 marzo 2018.
100 Casti Connubii, III, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
101 Cfr. Divini Illius Magistri, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_31121929_divini-illius-magistri.html. Da notare che, secondo Pio XI, una scuola laica, da cui sia esclusa la religione, è impossibile, «giacché nel fatto essa diviene irreligiosa». Invece, l'alto «fine proprio e immediato dell'educazione cristiana è cooperare con la Grazia divina nel formare il vero e perfetto cristiano: cioè Cristo stesso nei rigenerati col Battesimo (…) Perciò appunto l'educazione cristiana comprende tutto l'ambito della vita umana, sensibile, spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e sociale, non per menomarla in alcun modo, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempi e la dottrina di Cristo». Ibidem, senza numero.
102 Cfr. Casti Connubii, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
103 Si veda a questo proposito l'articolo del New York Times dedicato alla morte di Oswald von Nell-Breuning, uno dei principali consulenti di Pio XI per la stesura dell'enciclica, https://www.nytimes.com/1991/08/23/obituaries/oswald-von-nell-breuning-jesuit-writer-101.html. Curiosamente, il dotto padre gesuita è morto nel centenario della Rerum Novarum, all'età di centouno anni.
104 Quadragesimo Anno, n. 132, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310515_quadragesimo-anno.html
105 Cfr. ibidem, nn. 42-46.
106 Cfr. ibidem, n. 49 e Rerum Novarum, n. 35, http://w2.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum.html
107 Quadragesimo Anno, n. 54.
108 Cfr. ibidem, nn. 60-70.
109 Cfr. ibidem, nn. 71-76.
110 Cfr. ibidem, nn.77-80 (si veda anche la nota 7). Il principio di sussidiarietà, qui esposto, è stato elaborato nell'ambito del cattolicesimo tedesco, in particolare dal gesuita Gustav Gundlach. «Pio XI ha fatto propria questa dottrina, non solo utilizzandola per la prima volta nella sua concettualità formale in un testo magisteriale, ma conferendole anche il carisma di essere un principio di diritto naturale». Eugenio Corecco, Dalla sussidiarietà alla comunione, “Communio”, n. 127, Jaca Book, Milano 1993, pp. 90-91.
111 Cfr. Quadragesimo Anno, nn. 83-88. Queste corporazioni però devono essere libere, a differenza di quelle istituite dal fascismo, come chiarito ai nn. 92-96.
112 Cfr. ibidem, nn. 89-91. Anche in questo caso il fine ultimo è, per dirlo con Papa Sarto, “restaurare ogni cosa in Cristo”. Infatti, come scrive Pio XI, «se le membra del corpo sociale saranno così rinfrancate, e ne verrà raddrizzato il principio direttivo quale timone della economia sociale, si potrà dire in qualche modo dell'ordine sociale ciò che dice l'Apostolo del corpo mistico di Gesù Cristo: che tutto il corpo compaginato e connesso per via di tutte le giunture di comunicazione, in virtù della proporzionata operazione sopra di ciascun membro, prende l'aumento proprio del corpo per la sua perfezione mediante la carità (Ef 4, 16)».
113 «Una vera intesa di tutti ad uno stesso bene comune non potrà dunque aversi altrimenti, che quando tutte le parti della società sentano di essere membri di una sola grande famiglia e figli di uno stesso Padre celeste, anzi di essere un solo corpo in Cristo e membri gli uni degli altri (Rom 12,0) in modo che se un membro patisce, patiscono insieme tutti gli altri (1 Cor 12,26)». Cfr. ibidem, nn. 127-139.
114 Cfr. ibidem, nn. 140-150.
115 Cfr. Ad Catholici Sacerdotii del 20 dicembre 1935, LVI anniversario di sacerdozio di Pio XI, http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19351220_ad-catholici-sacerdotii.html. Giovanni Maria Vianney era stato proclamato santo da Papa Ratti dieci anni prima. Nell'enciclica è ricordato come «modello e celeste Patrono» di tutti i parroci.
116 L. K. Patterson, “The Pontificate of Pope Pius XI”, in Thoughts, n. 53, giugno 1939, p. 207. Citato in Y. Chiron, Pio XI. Il papa dei Patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, cit., p. 251.
117 Cfr. Giulia D'Alessio, Pacelli e Roosevelt in nome della pace, “L'Osservatore romano”, 15 gennaio 2011. Consultabile anche on-line: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2011/011q05a1.html
118 Cfr. Edoardo Bressan, L'insegnamento di Pio XI e lo Stato sociale, in Pio XI e il suo tempo. Atti del convegno. Desio, 7-9 febbraio 2014, a cura di Franco Cajani, GR, Besana Brianza 2014, pp. 133-142.
119 Cfr. ibidem, p. 136 e Giorgio Rumi, Il magistero e il moderno. Tre Encicliche sociali: 1891, 1931, 1987, in Cultura, Etica e Finanza. A cento anni dalla Rerum Novarum. Continuità, modernizzazione, etica del progresso, a cura di G. Galli, Milano, NED 1991, pp. 13-30. Il ruolo dello Stato nell'economia e la responsabilità sociale dell'impresa vengono sanciti in particolare dagli articoli 41-44 (si veda anche la nota 3). Cfr. Sabrina Pastorelli, Lo Stato imprenditore e la qualificazione tecnologica dello sviluppo economico italiano: l’esperienza dell’IRI nei primi decenni del secondo dopoguerra, “Quaderni dell’Ufficio Ricerche Storiche”, Banca d'Italia, n. 12, dicembre 2006. Consultabile anche on-line: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/quaderni-storia/2006-0012/Q12_Pastorelli.pdf
120 In opposizione al capitale “parassitario” che aveva generato le due guerre mondiali, arricchendosi con speculazioni e, attraverso il controllo dello Stato (cfr. nn. 105-110 della Quadragesimo Anno), con monopoli e l'espansione imperialistica sui mercati esteri. Questo concetto, pur con accezioni e interpretazioni politiche diverse, era ben chiaro per esperienza diretta a gran parte dei padri costituenti e della loro generazione, per cui nella sintetica formulazione dell'articolo è stato possibile lasciarlo sottinteso, ma ignorandolo o non comprendendolo il riferimento al lavoro come fondamento della Repubblica può suscitare ironia o apparire fuori luogo. Cfr. gli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione Italiana e per un inquadramento generale l'articolo di Marco Palombi e Silvia Truzzi, Costituzione 70 anni dopo: dal lavoro alla giustizia sociale fino all’economia, la nostra Carta tradita dalla politica, “Il Fatto Quotidiano”, 1 gennaio 2018. Consultabile anche on-line: https://bit.ly/2wXqppn
121 A tutto vantaggio del capitale, che così non perde valore e può comprimere i salari grazie alla pressione esercitata da quello che Marx chiamava “esercito industriale di riserva”. Infatti, per garantire la stabilità dei prezzi è necessario che un certo numero di cittadini europei resti senza lavoro, in base alla relazione inversa tra inflazione e disoccupazione espressa dalla “curva di Phillips”. Cfr. l'articolo 3 del Trattato sull'Unione Europea, http://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF
122 Cfr. note 4 e 7.
123 «Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento [statale], che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo “Stato del benessere”. Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni, ponendo rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana. Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come “Stato assistenziale”. Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese». Centesimus Annus, n. 48.
124 In effetti, «l'oligarchia finanziaria e industriale» ha bisogno degli stati, perché «mentre i piccoli si indeboliscono nella guerra della competizione economica», l'oligarchia trova «nel vituperato Stato il “posto fisso” che nega ai deboli, un arricchimento sicuro e senza rischi e il braccio, all'occorrenza armato, di un trasferimento di risorse istituzionale e costante». Il Pedante, La crisi narrata. Romanzo dei capitali e crepuscolo della democrazia, Imprimatur, Reggio Emilia 2017, p. 60.
125 Questa sorta di “globalizzazione nazionalista” ispirata dal cristianesimo, come abbiamo visto è stata prevista al numero 90 della Quadragesimo Anno: «conviene che le varie nazioni, unendo propositi e forze insieme, giacché nel campo economico stanno in mutua dipendenza e debbono aiutarsi a vicenda, si sforzino di promuovere con sagge convenzioni e istituzioni una felice cooperazione di economia internazionale». Già nell'enciclica Ubi Arcano, tra l'altro, Pio XI aveva criticato il processo per cui il «giusto amor di patria» diviene «immoderato nazionalismo», dimenticando che «tutti i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell'umanità» e «anche le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare». Per chiarire i due termini, “globalizzazione” e “nazionalismo”, in riferimento al pensiero di Papa Ratti, va notato innanzitutto che la mondializzazione dei mercati di merci, servizi e forza lavoro, intesa come abbattimento concordato dall'alto dei dazi e delle barriere doganali attraverso accordi multilaterali (WTO, NAFTA, Maastricht, ecc.), è un fenomeno che ha avuto un'accelerazione negli anni '90 del Novecento, ma l'economia mondiale è sempre stata fortemente interconnessa (si pensi ad esempio alle rotte delle navi romane fino in India), e l'intensificazione degli scambi tra XX e XXI secolo era ben chiara a Pio XI, che pur non usando il termine “globalizzazione” aveva previsto correttamente gli sviluppi dell'«internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (Quadragesimo Anno, n. 109). Ciò nonostante, i successivi accordi di libero scambio, sulla carta paritetici, hanno sempre visto intrecciarsi gli interessi del capitale a quelli delle nazioni più forti, benché siano stati sistematicamente presentati dai media come fonte di vantaggi per tutti. Pertanto, sebbene il “nazionalismo” non sia mai stato superato, oggi coloro che si identificano coi valori della “società aperta” e dei mercati di solito attribuiscono a questo termine un'accezione fortemente negativa, confondendolo molto spesso con la sua degenerazione nell'imperialismo economico, «fase suprema del capitalismo» (cfr. Lenin 1917), e in particolare con l’imperialismo tedesco, che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale rompendo la pacifica convivenza tra gli stati e i “nazionalismi” europei degli anni Trenta. Pio XI aveva previsto questa evoluzione, per cui nelle sue encicliche la parola “nazionalismo” è già sinonimo di “imperialismo” o comunque risente delle sue preoccupazioni, ma oggi questo termine potrebbe avere un'accezione neutra, ovvero indicare il sano attaccamento alla propria patria e il ragionevole tentativo di privilegiare nei rapporti con stati e investitori esteri innanzitutto l'interesse nazionale. Anche se finora quest'ultimo aspetto è stato normale solo per le nazioni più ricche e i governanti più accorti, potrebbe in futuro diventare il principio regolatore di una globalizzazione più paritetica o meno ipocrita, in cui ogni governo secondo le indicazioni di Papa Ratti difenda gli interessi del proprio popolo contro lo strapotere del capitale sovranazionale. Ovviamente, perché ciò avvenga è necessario che gli stati abbiano il supporto della società civile, ovvero dei singoli cittadini e dei “corpi intermedi” (centri studi, associazioni, ONLUS, ONG...), che in un secondo momento dovrebbero controbilanciarne il potere come previsto nella Quadragesimo Anno. Infine, sarebbe importante un contributo pastorale e dottrinale della gerarchia cattolica, che avrebbe così l'occasione per riconoscere esplicitamente il fallimento del progetto politico moderno di unificare tutti i popoli sotto un unico governo mondiale, ribadendo al contrario l'«unità dell'umanità nella pluralità» (citazione dall'enciclica inedita di Pio XI Humani Generis Unitas. Cfr. G. Passelecq, B. Suchecky, L'enciclica nascosta di Pio XI, Corbaccio, Milano 1997, pp. 152-163).
126 Penso in particolare al meccanismo della blockchain, per cui gli utenti di una rete informatica, attraverso software dedicati, garantiscono la validità di un'operazione digitale, che sia un trasferimento di criptovaluta (scopo per cui è attualmente utilizzata) o un voto elettronico, senza bisogno del controllo o delle garanzie di uno Stato. Un primo test sull'utilizzo elettorale della blockchain è stato compiuto durante le elezioni presidenziali in Sierra Leone del 7 marzo 2018, riportando elettronicamente i voti espressi su carta nella capitale Freetown. Cfr. https://www.ilpost.it/2018/03/11/sierra-leone-blockchain/, consultato il 17 aprile 2018.
127 Quadragesimo Anno, n. 149.
128 Si pensi al discusso capitolo ottavo dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia, che in nome della misericordia introduce elementi di ambiguità riguardo al significato e alla validità di ben tre sacramenti: matrimonio, confessione ed eucaristia. Inoltre, Papa Francesco ha ribadito alcuni temi sociali cari a Pio XI, come la dignità del lavoro e la critica del liberalismo, e come abbiamo visto nella nota 4 sembra aver accantonato il sogno di un unico governo mondiale, ma nello stesso tempo ha allineato la posizione della Chiesa su temi delicati come le migrazioni e il diritto internazionale all'agenda delle ONG sorosiane, delineando in diversi interventi, anche con un'insistente retorica su “ponti” e “muri”, una sorta di “teologia della globalizzazione”. Cfr. G. Copes, La teologia della globalizzazione tra noesi e gnosi, http://gnosienoesi.blogspot.it/2018/01/la-teologia-della-globalizzazione-tra.html
129 «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Ma questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza» (1 Pietro 3, 15-17).
130 Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate del 19 marzo 2018, n. 135, http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20180319_gaudete-et-exsultate.html
131 A proposito di San Tommaso, Pio XI aveva scritto nell'enciclica Studiorum Ducem: «Avvicinandosi alla fine della sua vita, egli raggiunse un così alto grado di contemplazione, che le cose da lui scritte non gli parevano altro che paglia, e diceva di non poter dettare più oltre; così già egli aveva fisso il pensiero nelle verità eterne da non bramare ormai più altro che di vedere Dio. Poiché questo, come Tommaso stesso insegna, è il frutto che deve principalmente cogliersi dagli studi: un grande amore di Dio e un gran desiderio delle cose eterne», https://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19230629_studiorum-ducem.html. Secondo Benedetto XVI, «la carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore – “caritas” – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr. Gv 8,32). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità». Lett. enc. Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, n. 1, http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html
132 Immagine di copertina tratta dalla rete, https://miqcenter.com/products/quadragesimo-anno-on-social-reconstruction-enp11-638?variant=39003432199





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