Due Papi o lo Stato che verrà

Papa Francesco I e Papa Benedetto XVI (foto dalla rete)




È sfuggito a molti (ma non a tutti) un simposio che si è tenuto a Varsavia, “Il concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento del card. Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, presso la sede della Conferenza dell’episcopato polacco. Sia Papa Francesco che il Papa emerito J. Ratzinger, che non vi hanno partecipato, hanno inviato un messaggio al simposio.

Secondo Radio Vaticana,
Papa Francesco esprime “apprezzamento per l’iniziativa volta a riconoscere la benemerita opera del Suo amato Predecessore” e “auspica che l’incontro susciti rinnovato impegno per un dialogo rispettoso e fecondo tra Stato e Chiesa in vista della costruzione della civiltà dell’amore”.
Qui invece un estratto del messaggio di Joseph Ratzinger:
Il confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle.
La differenza tra i due è enorme: da una parte il messaggio di Papa Francesco rappresenta il pensiero unico globalista, la civiltà (mondialista) dell’amore. Dall'altra, nelle parole di Ratzinger, c’è una chiara disamina storica: concezione radicalmente atea dello Stato (come l’Unione Europea), Stato islamista sorgente, situazione esplosiva di due radicalismi che si scontrano. Ergo, è urgente una revisione del concetto di Stato. Analisi e programma in sette righe. La visione di Ratzinger, naturalmente, è quella di un uomo che a 90 anni può permettersi di chiamare le cose con il proprio nome, oltre ad essere quella che vede nell'ordine morale cristiano un oggettivo elemento costitutivo dello Stato (e su questo si potrà anche discutere). Ma in queste poche parole vi sono diverse evidenti verità. Quello che per Ratzinger è lo Stato a concezione “radicalmente atea” è uno Stato che non ha radici. È uno Stato che nega le identità culturali, la storia e l’evidenza nello sforzo di creare una nuova forma sovra-nazionale. È uno Stato super-statuale. È precisamente quel mito politico positivo di cui abbiamo già parlato qui.
La vicenda storica (non unica ma rarissima) della attuale coesistenza di due papi forse, un giorno, ci sarà più chiara nella genesi. Ma già da queste poche parole possiamo stimare quale solco profondo esista tra due concezioni del mondo.
La Stato dell’amore

La civiltà dell’amore, cioè il globalismo, impone alcune regole economiche: l’imposizione della libera circolazione di mezzi di produzione e di lavoratori tramite l’abbattimento dei confini, soprattutto. Ma anche la riduzione dello Stato a una sorta di controparte contrattuale, tramite accordi internazionali che hanno supremazia sulle leggi statuali, avverso le quali le aziende possano ricorrere a organi giurisdizionali “terzi” sovra-nazionali. Giova ricordarlo.
In questo monumentale post su Goofynomics, parlando di Unione Europea, Alberto Bagnai scrive:




Da una parte le aziende italiane sono sempre più frequentemente oggetto di acquisizione da parte di concorrenti stranieri. Dall'altra, l’imposizione di meccanismi di deflazione salariale si attua anche con la creazione di eserciti industriali di riserva, tramite politiche che favoriscono l’immigrazione. Il risultato è che i Paesi più forti politicamente all'interno della Unione Europea trovano una Cina a 500 km anziché a 10.191,70 (distanza tra Francoforte e Pechino via terra). Cioè hanno a portata di mano una massa di lavoratori bassamente qualificati e sottopagati, de-sindacalizzati, grazie ai quali possono produrre e competere qui sul costo del lavoro con i Paesi emergenti. È tutto già stato scritto QUI sei anni fa.
Dunque, il meccanismo è comprare asset a prezzo di saldo e farci lavorare masse sottopagate e senza diritti. Semplicemente perfetto.
La retorica globalista, rappresentata in Italia dal PD e cespugli conseguenti e concorrenti, ammanta di buoni sentimenti e di pretese etiche le attuali politiche di gestione della immigrazione. Oggi è impossibile parlare di questo tema senza che dalla sinistra perbene arrivi la parolina magica (RAZZISTA!). Sul piano economico, è evidente nei fatti che la massa di immigrati che si sta stabilendo in Italia e nel resto d’Europa costituisce un esercito industriale di riserva. Scambiare Schengen per la vittoria della libertà individuale e non accorgersi che si tratta del cavallo di Troia del liberismo è una vigliacca rimozione psicologica o una consapevole (e vigliacca) adesione da parte della sinistra. A scelta.
L’appello di Ratzinger all’urgenza di una seria discussione pubblica su quello che chiamiamo Stato e su quello che sta diventando è perfettamente centrato. È urgente agire, prima che il super-Stato dell’amore fagociti tutto ciò che siamo.


(Pubblicato originariamente su Medium)





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