Kubrick o la puttana di Eyes Wide Shut

Julienne Davis (Mandy) e Stanley Kubrick all'obitorio (foto dalla rete)


Oggi primo maggio in vari paesi del mondo si celebra la festa dei lavoratori, ma c'è ben poco da festeggiare. Le politiche liberistiche adottate ormai da quasi tutti gli stati hanno spinto i sacrifici e la competizione tra i lavoratori a livelli impensabili fino a pochi anni fa, dopo decenni di lotte e conquiste sindacali. La lotta di classe tra capitalisti e forza lavoro è stata indubbiamente vinta dai capitalisti, che hanno popolarizzato tra le masse non solo i loro vizi ma anche la loro ambiguità morale e in particolare la scarsità di scrupoli. La moderna organizzazione del lavoro fa sì che ad emergere in aziende strutturate con migliaia di dipendenti siano spesso individui psicopatici, ma anche i semplici lavoratori per poter competere coi colleghi e chi potrebbe togliere loro il posto (magari perché immigrato e disposto ad accettare un salario inferiore) arrivano spesso al punto di “prostituirsi” o di “vendere l'anima”.

Una vicenda emblematica in questo senso è senz'altro la parabola di Stanley Kubrick, che da giovane e ambizioso fotografo si è ritrovato ad essere un “venerato maestro” del cinema americano, per poi terminare la sua carriera con un film ambiguo ma in cui riemergono alcuni dei migliori tratti giovanili.

In tutta la filmografia di Kubrick ci sono solo due episodi che mi hanno davvero emozionato: il finale di Orizzonti di Gloria e la scena della prostituta che si sacrifica per il protagonista in Eyes Wide Shut. Sono queste anche le sequenze in cui Kubrick mi sembra più sincero e più umano. Il brillante regista newyorkese, ormai pronto a spiccare il volo tra le grandi produzioni di Hollywood, alla fine degli anni Cinquanta dedica uno sguardo carico di malinconia al mondo devastato dalla prima guerra mondiale, in cui tuttavia emerge ancora una possibilità di salvezza.




Il film termina con un messaggio di speranza, ma che sembra quasi un disperato appello: “Dia ancora qualche minuto agli uomini!”. Kubrick, comunque, da lì in poi verrà sempre più assorbito dalla macchina hollywoodiana. Il suo percorso al servizio delle élite del cinema deve essere stato simile a quello descritto dal manager olandese Ronald Bernard nella prima parte di questa drammatica intervista-confessione, ripresa anche da Maurizio Blondet in un recente articolo




Il vertice della connivenza e prostituzione intellettuale viene raggiunto da Kubrick nel 1968 col film 2001: Odissea nello spazio, che è un vero e proprio “film religioso”, secondo le parole dello stesso regista, ma di una religione del tutto particolare, luciferina ed esoterica.

Il suo ultimo film Eyes Wide Shut, uscito postumo nel 1999, rappresenta invece un evidente tentativo di denunciare il mondo che fino ad allora aveva abitato e servito, se non di prenderne le distanze. In questo film risalta particolarmente la figura della prostituta che si sacrifica per salvare il dottore, trattata dal regista con delicatezza ma anche una speciale ambiguità. Come la scena finale di Orizzonti di Gloria, anche questo particolare è ripreso dal romanzo che ha ispirato il film, Doppio sogno del 1925, ma è stato a mio avviso enfatizzato per un motivo. Forse perché Kubrick si identificava con la prostituta, che riscatta uno sconosciuto e sé stessa con un ultimo atto di coraggio e generosità? Forse perché sapeva che per provare ad aprire gli occhi “spalancati chiusi” del suo pubblico anche lui avrebbe dovuto pagare in prima persona? Non lo so, ma a mio avviso il film era parte di un processo, paragonabile a quello descritto da Ronald Bernard nella seconda metà dell'intervista, per tentare di risalire dall'inferno e poter sperare nella redenzione.

Ho condiviso questa riflessione come monito e incoraggiamento. Resta per tutti noi un interrogativo: bisogna proprio sprofondare negli abissi della depravazione o della miseria per accorgersi di vivere in un sistema malato e tentare di uscirne? Certamente come dice Bernard “la gente è completamente assorbita in un meccanismo di sopravvivenza, e ciò è programmato”. Non tutti possono permettersi il lusso di fermarsi a pensare seriamente alla propria vita, ma la mia sensazione è che molti non lo facciano di proposito, per pigrizia o vigliaccheria. Salvo poi pentirsi amaramente quando è troppo tardi, o quasi.

Sta a noi trovare il coraggio di dire “basta”, “questo non lo faccio”, quando sul lavoro viene chiesto di calpestare la dignità propria o altrui. Non è facile e non tutti possono correre il rischio di venire licenziati o restare disoccupati, ma dobbiamo riscoprire la forza che viene da persone unite nel dire “no” e possibilmente proporre una soluzione alternativa. Ovviamente non in tutte le realtà lavorative continuando a dire “sì” si finisce per compiere sacrifici umani, ma troppo spesso la vita che viene sacrificata è la nostra, e nemmeno ce ne rendiamo conto.





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