La rosa blu e la rosa bianca

Sul fascismo e il nazismo di oggi


Sophie Scholl, attivista della Rosa Bianca


Come è emerso dalle interviste precedenti al secondo turno delle presidenziali francesi, molti degli elettori di Macron lo hanno votato per non far vincere la “fascista” Le Pen, la quale si presentava sul suo sito con una rosa blu (unendo così un simbolo dei socialisti – il fiore – e uno della destra francese – il colore –). A beneficio di chi non ha conosciuto il fascismo storico (cioè chi scrive e tutti i miei ventitré lettori), vale la pena di ricordare che cosa è stato attraverso le parole di un intellettuale ebreo antifascista:
«Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di una legalità e di un ordine detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata.»
Primo Levi, Il sistema periodico

L'ultima frase è particolarmente rivelatrice perché nella nostra epoca assistiamo quotidianamente al ribaltamento sistematico e calcolato di ogni realtà. Guerre fatte per interessi economici e destabilizzare intere regioni vengono raccontate come operazioni preventive in difesa della pace o di minoranze oppresse; l'attacco del capitale finanziario ai beni e ai risparmi privati viene portato avanti con la scusa del debito pubblico; la schiavitù monetaria è stata giustificata come soluzione contro gli abusi delle politica; la nuova tratta degli schiavi viene mascherata da intervento umanitario; i tentativi di legalizzare l'utero in affitto e l'eutanasia sono propagandati come battaglie in difesa dei bambini e dei malati. 

Allo stesso modo, gli elettori della Le Pen sono stati presentati come impauriti e Marine Le Pen come “la signora della paura”. Che la leader del Front National abbia avuto paura di scontrarsi davvero col sistema dominante è probabile, a giudicare dall'imbarazzante dibattito preelettorale con Macron, caratterizzato da sterili attacchi e dalla retromarcia sull'Euro. Forse puntava ad aumentare il numero degli astensionisti, ma l'impressione è che si stesse preparando a cinque anni di comoda opposizione interna. Ad ogni modo, chi ha comunque votato per lei evidentemente voleva cambiare le cose, anche a costo di fare un inevitabile salto nel buio, dunque non può essere accusato di paura, regressione o conservatorismo.

Il vero conservatore dello status quo è invece il “riformatore” Macron, uomo del capitalismo terminale e della globalizzazione di rapina, che ha voluto celebrare la vittoria sotto la piramide del Louvre dalla cima illuminata, con la musica di un compositore tedesco divenuta inno europeo. Macron appartiene a quella “razza” di globalisti di successo per cui l'Unione Europea è solo un'espressione geografica, un esperimento socio-economico e una tappa dell'auspicato governo mondiale. Tuttavia, grazie al sostegno di quasi tutti i media, capi di governo e religiosi, artisti e intellettuali, è riuscito durante la campagna elettorale a far passare un messaggio politico dirompente, presentandosi come un modello per l'uomo comune. Ha invitato esplicitamente i giovani francesi a sognare di diventare ricchi, lasciando intendere che chiunque, aprendosi ai paesi esteri con esperienze tipo l'Erasmus e mettendosi in gioco sul mercato internazionale, potesse diventare come lui.

Ancora una volta sento la necessità di fare chiarezza su questo punto fondamentale. Il successo di ogni globalista dipende dallo sfruttamento diretto o indiretto dei poveri nel suo paese e altrove nel mondo. Lo so per certo perché ho toccato con mano per così dire l'essenza della globalizzazione, lavorando per una multinazionale americana che si basa sul lavoro di asiatici poco pagati e illude gli europei di essere diversi, ma è sempre più egualitaria  al ribasso  nel trattamento di tutti i dipendenti. Il “modello Macron” non può essere democratico, popolare, in quanto l'esistenza stessa di un certo numero di sfruttatori presuppone un numero maggiore di sfruttati. Purtroppo, le élite negli ultimi decenni sono state talmente brave da far credere a proletari e sfruttati di non essere ciò che sono, seducendoli e corrompendoli coi loro “valori” progressisti e mortiferi, illudendoli che i loro progetti fossero a beneficio di tutti e galvanizzandoli con status symbol elettronici e griffati. Il povero, oggi, anche se non aspira a diventare come Macron, non si sente uno sfruttato ma un ricco potenziale, un mezzo vincente della globalizzazione, fintanto che può comprare la cintura firmata, l'ultimo modello di smartphone o il minisuv a rate, finché può pagare il fondo pensione che specula sulle aziende e le nazioni degli altri, fino a quando pensa di poter girare liberamente nell'Europa unita e pacificata, senza rendersi conto che non lo fa perché essendo disoccupato o sottopagato non possiede abbastanza moneta unica. La vittoria totale dei ricchi, i quali sanno benissimo chi sono e fanno gioco di squadra, si nota anche dalla totale mancanza della coscienza di classe tra i poveri e gli sfruttati, che arrivano persino a schiavizzare col lavoro nero altri disgraziati "richiedenti asilo", attratti a migliaia ogni giorno in Europa dal sogno di diventare come loro, di prendere il loro posto.

Una cosa però Macron l'ha già cambiata. Se al primo turno delle presidenziali erano spariti i partiti tradizionali (eccetto il Front National), dopo la vittoria del rivale Marine Le Pen ha annunciato che anche il suo partito si trasformerà per lasciare il posto a una nuova compagine, capace di accogliere un più ampio numero di sostenitori. Il modello è probabilmente proprio il movimento “En Marche” di Macron. Sembra dunque destinato a scomparire definitivamente il partito tradizionale, che con tutti i suoi limiti (ben evidenti da noi in Italia dove esisteva la “partitocrazia”) era però di fatto la base della democrazia, il primo luogo dove si esercitava il dibattito, il confronto interno e il sano conflitto che portava ad emergere programmi e valori condivisi. Si rischia quindi che la politica sia sempre più appiattita sulla figura del leader e sul racconto che è in grado di produrre. Un racconto che deve essere mediato e veicolato dai media, i quali mai come in questi tempi si sono dimostrati asserviti ai poteri forti e capaci di semplificare e stravolgere la realtà senza il minimo imbarazzo, senza più alcuna traccia di pudore, orgoglio o deontologia professionale.

Così, grazie al fascismo reale dei media che agiteranno lo spauracchio del residuale (perlopiù immaginario) fascismo dei “populisti”, qualunque nome sceglieranno per i loro movimenti futuri, il capitale potrà continuare ad opprimere i lavoratori sempre più schiavi ovunque nel mondo, anche con la benedizione di alcuni leader religiosi. Ciò però non assomiglia al fascismo storico, al “buffonesco e improvvido” governo italiano del ventennio, ma semmai al totalitarismo nazista, ingigantito. La mia speranza è che sorga una nuova Rosa Bianca capace di opporsi alla barbarie di quest'ultima religione politica, a questa estrema forma della nuova gnosi di cui ha scritto Eric Voegelin. Un gruppo di giovani coraggiosi che non partecipano alla menzogna universale ma la combattono per un principio morale, ricordando a tutti, con lo sguardo rivolto all'eternità, che la creazione è cosa buona e giusta, che l'uomo ha il cuore malato ma se lo riconosce può sempre rialzarsi con l'aiuto della grazia, che vale la pena di vivere e lottare contro il male per ciò che è buono e per ciò che può diventarlo.





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