Morto un paese se ne fa un altro

(da Twitter una foto con citazione dell'allegro e ottimista Bagnai)


Il titolo dell'articolo è un tweet dell'economista Alberto Bagnai, che qualche giorno fa commentava così un altro tweet dello scrittore Alessandro Greco, secondo cui il nostro è “un paese finito” e non dobbiamo dare retta a chi ci dice che finirà male, perché “la verità è che è già finita da un pezzo. Malissimo”.

In effetti, anche se non abbiamo sentito l'attesa esplosione, lo “scoppio” di cui ha scritto T. S. Eliot, ma ci ha spiazzato il silenzio, il solito rumore di fondo e il “piagnucolio” degli “uomini vuoti”, si nota una diffusa sensazione da rompete le righe, come se la fine del mondo come lo conoscevamo fosse già arrivata. Non è stata improvvisa “come il lampo che esce da oriente e sfolgora fino a occidente” (così descrive l'evangelista Matteo il ritorno del Messia), ma è stata preparata da decenni, anche se avvicinandosi la fine il processo ha subito un'accelerazione (secondo il detto latino “motus in fine velocior” ricordato lo scorso novembre da papa Bergoglio a una giornalista di Avvenire).

Nel 1952, il filosofo Eric Voegelin, acuto osservatore del “sogno gnostico” in cui ancora viviamo, ammetteva di non poter prevedere “a che cosa somiglierà la società occidentale au bout de la nuit”. Ebbene, lo abbiamo sotto gli occhi, anche se la gradualità con cui siamo arrivati alla situazione attuale impedisce ancora a molti di riconoscerla. Di fatto, negli ultimi mesi la morte è diventata un tema centrale anche nel dibattito politico, fino ad arrivare alla proposta esplicita di sopprimere anziani e malati, il cui sostentamento è sempre più gravoso per la collettività. Per ora ufficialmente si dice di voler rispettare la volontà dei più deboli, ma sempre più spesso si fa riferimento al loro bene, deciso da altri. Due giorni fa è morto Charlie Gard, un bambino inglese colpito da una rara malattia, la cui fine è stata decisa, “per il suo miglior interesse”, da una sentenza di tribunale contro la volontà dei genitori. La sua breve vita, difesa con scarsa e tardiva convinzione dalla gerarchia cattolica, è stata chiaramente strumentalizzata per reintrodurre di fatto l'eutanasia legale in Europa.

Per tornare al nostro paese e dare ancora qualche dato concreto, le donne italiane risultano quelle che fanno meno figli al mondo, ancora meno delle giapponesi, mentre l'immigrazione irregolare di massa negli ultimi anni ha cambiato aspetto a molte piccole realtà così come a grandi città, dove la convivenza è sempre più difficile. Benché la percezione numerica del fenomeno migratorio sia superiore alla sua reale entità, l'oggettivo isolamento dell'Italia, divenuta frontiera esterna dell'Europa, è indicatore e fattore della sua crescente fragilità politica ed economica. Qualche mese fa alcuni di noi hanno guardato con speranza alle elezioni presidenziali francesi, auspicando che un'improbabile vittoria della Le Pen ponesse fine all'Europa delle banche e dei burocrati, a favore dell'Europa dei popoli. Tuttavia, la ristrettezza di mente e cuore dei cugini francesi, spaventati da una massiccia propaganda, è emersa chiaramente dalla larga vittoria di Macron, confermata nelle successive elezioni politiche che hanno dato origine a un governo forte orientato alla “grandeur” di golliana memoria. I suoi recenti schiaffi all'Italia, sulla questione libica e dei cantieri di Saint Nazaire, nazionalizzati pur di non cederli a Fincantieri come precedentemente concordato, hanno definitivamente smontato le speranze in lui riposte dagli europeisti e liberisti nostrani.

Si delinea quindi un nuovo tipo di umanità, completamente assorbita dal sogno gnostico o incapace di fare appello ai valori che fino all'altro ieri orientavano l'azione politica e pastorale. Il pessimismo e un “realismo” angusto e malato hanno preso il posto specialmente nei giovani degli slanci generosi e coraggiosi che caratterizzavano la loro età, mentre gli adulti e gli anziani sembrano incapaci di esprimere un qualunque tipo di saggezza o discernimento di fronte all'incalzare degli eventi e all'imperscrutabile volontà di entità superiori come “il mercato”, “la globalizzazione” o “i trattati europei”. Alla volontà di governare la complessità e anche gli aspetti più miseri o dolorosi della vita, tipica della vera politica, si è sostituita in vari settori una pigra e rassegnata compartecipazione che non di rado scade nell'aperta complicità.

Tuttavia, ed è questo il dato su cui vorrei soffermarmi, è sempre più diffusa la consapevolezza sulle questioni e le poste in gioco. Per usare nuovamente le parole di Voegelin, “la realtà non ha ancora distrutto il sogno”, ma l'ora più buia è quella che precede l'alba e la fine della notte sembra davvero più vicina. Al punto in cui siamo non serve aver letto i trattati europei per capire che la solidarietà è esclusa all'interno dell'Unione: anche l'uomo della strada si fa beffe dei nostri politici che si dimostrano convinti sostenitori del sogno europeo e non fanno altro che aggravare la posizione del paese. Lo stesso FMI ha recentemente riconosciuto che il sistema dell'euro crea disuguaglianza, mentre sempre più studiosi sostengono pubblicamente che l'Italia avrebbe solo interesse ad uscirne, anzi se ne sarebbe dovuta andare molto tempo fa, dato che probabilmente dovrà farlo comunque a condizioni più difficili. Per fare un altro esempio, la vicenda di Charlie e dei suoi genitori ha mobilitato un popolo immenso, non solo di pro life e persone precedentemente schierate contro le forze della dissoluzione, ma anche di semplici madri e padri di famiglia, preoccupati che una cosa simile potesse accadere a un loro figlio. Altre preoccupazioni e vibranti proteste sono state scatenate dalla recente decisione del governo italiano di rendere obbligatorie 12 vaccinazioni (poi ridotte a 10, comunque il maggior numero al mondo), un provvedimento motivato da ragioni mediche ma forse anche dalla volontà di ingraziarsi le compagnie farmaceutiche in vista dell'auspicato trasferimento dell'agenzia europea del farmaco da Londra a Milano, dopo l'uscita dell'Inghilterra dall'Unione. Sulla questione dei migranti irregolari infine è in corso una grande lotta di narrazioni: da una parte le campagne dei media sostenute da organizzazioni riconducibili alla galassia finanziata dalla Open Society di Soros – campagne però fortemente ridimensionate o addirittura cambiate di segno dopo la recente clamorosa sconfitta delle sinistre alle elezioni amministrative –, dall'altra le contronarrazioni di decine di intellettuali e semplici utenti che leggo ogni giorno su Twitter, accompagnate da iniziative più strutturate come quelle di Generazione Identitaria e della missione navale “Defend Europe”, volta a contrastare il lavoro delle ONG che trasportano i migranti in Italia.

Il dramma dei migranti tra l'altro ha posto in luce con particolare chiarezza che l'Europa con tutti i suoi difetti è ancora uno spazio di civiltà in cui poveri e perseguitati ambiscono a trasferirsi. Contro la retorica dei ponti e dei muri, sostenuta da chi vorrebbe una “società aperta”, permissiva e “senza confini”, a tutto vantaggio del capitale che potrebbe così disporre di forza lavoro a basso costo anche in Europa (grazie al lavoro “nero” attratto e all'abbattimento dei salari per la pressione di un “esercito industriale di riserva”, secondo l'espressione di Marx), o spostarla facilmente ovunque desideri nel mondo essendo le persone già sradicate culturalmente e spiritualmente, è sempre più evidente che ciò che attrae dell'Europa è proprio la stabilità politica ed economica garantita da leggi comuni e una cultura condivisa. I migranti cioè cercano protezione in Europa proprio perché essa grazie alle sue regole, alle sue barriere di civiltà, si è distinta da tante altre realtà meno fortunate da cui invece desiderano allontanarsi o sono costretti a fuggire.

Ho accennato agli interessi materiali e misurabili di molti finanziatori del fenomeno migratorio e sostenitori della “società aperta”. Tuttavia, i loro sforzi e la vastità dei loro piani non sarebbero comprensibili se ci limitassimo ad essi. Per ragioni di spazio non posso dilungarmi su questo punto, ma non è difficile scoprire che tra i loro obiettivi c'è proprio la distruzione di quei valori morali e spirituali che hanno portato alla nostra relativa libertà e al nostro benessere e sono tuttora fattore di attrazione per molti migranti, oltre a un certo piacere che deriva sempre dal distruggere e offendere un ordine superiore, sentendosi sovrani e creatori in un proprio inferno

La questione fondamentale è quindi che tipo di società, ovvero che tipo di Stato vogliamo. Desideriamo lo “stato etico” che ha condannato a morte Charlie Gard, assicurandosi (ancora contro la volontà dei genitori) di trattenerlo in ospedale fino alla fine? Vogliamo uno stato di polizia che persegue chi critica l'Islam ma non chi offende o discrimina i cristiani? Vogliamo una “società aperta” in cui il mercato decide chi deve entrare e uscire, anche dalla vita? Vogliamo una legislazione che fa licito ciò che è libito, come direbbe Dante, ovvero che legalizza ogni possibilità di piacere e perversione (anche a pagamento), comprese pedofila, necrofilia e incesto? Sono questi i nuovi “valori europei” che vogliamo trasmettere ai figli degli immigrati (ammesso che riescano a vincere la malattia della sterilità che colpisce chi vive nel “vecchio continente”)? Vogliamo un'Italia e un'Europa in cui i bianchi si contrappongono ai neri e viceversa, a tutto vantaggio delle élite che sfruttano entrambi?

Se la risposta a tutte queste domande è no, come non è affatto scontato per la maggior parte della popolazione, dovrebbe emergere la necessità di ripensare i principi della convivenza, ovvero di ripartire dalle basi della nostra civiltà. Dobbiamo individuare i veri valori che hanno fatto dell'Europa un polo di attrazione e ricordarceli ogni giorno, per trasmetterli ai nuovi arrivati e farne i principi ispiratori della nostra vita e delle nostre scelte, anche apparentemente banali. Forse ci potrà aiutare l'infusione di fresco sangue africano o il confronto con le miserie, soprattutto mentali, di tanti nuovi e vecchi italiani che non hanno potuto imparare a ragionare o sono stati troppo segnati dalla vita. In ogni caso dobbiamo ritrovare l'energia e l'entusiasmo dei nostri giorni migliori, consapevoli dei nostri limiti e delle difficoltà che incontreremo ma anche del grande compito che abbiamo davanti. Il paese, l'umanità e il mondo che conoscevamo sono morti; ci sono un paese, un'umanità e un mondo da ricostruire.





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