Il filosofo e i giornalisti

Eric Voegelin (foto dalla rete)


Leggendo le Riflessioni Autobiografiche di Eric Voegelin, mi ha colpito la sua fedeltà al principio dell'onesta intellettuale, motivata innanzitutto da un'istintiva repulsione verso ogni forma di disonestà intellettuale. Non solo è emigrato dall'Austria agli Stati Uniti dopo l'Anschluss nazista per il rifiuto di aderire a una qualunque ideologia, ma ha costantemente messo in discussione le sue stesse acquisizioni, cercando di comprendere sempre meglio la complessità del reale.

Durante i suoi studi giuridici, si era reso conto che «una teoria politica doveva fondarsi sulla filosofia classica e su quella cristiana», ma studiando la storia delle idee aveva dovuto superare anche il tradizionale inizio con Platone e Aristotele. In particolare, capì che «non si poteva comprendere il cristianesimo primitivo senza addentrarsi nell'ebraismo che gli stava dietro», e ben presto lo sfondo si estese «agli antichi imperi mediorientali dai quali era emerso Israele».

L'approccio comparativo alla conoscenza non era d'altronde il suo unico principio metodologico, in quanto si era reso conto che «non è possibile avere a che fare con materiali che non si è in grado di leggere». Per questo motivo, nel corso degli anni, si era attivato per imparare l'inglese, il francese, l'italiano e il russo, ma anche il latino, il greco, l'ebraico e il cinese.

Non stupisce quindi che la sua cultura enciclopedica unita alla conoscenza delle lingue e ai contatti con le migliori menti dell'epoca desse adito a non pochi equivoci, non solo tra i giornalisti e i divulgatori del suo pensiero, ma anche all'interno della stessa comunità accademica, il cui livello culturale come ricorda ironicamente Voegelin era spesso molto al di sotto delle aspettative.
«Voglio sottolineare che tanto lo gnosticismo quanto la sua storia – dall'antichità al presente – rappresentano l'oggetto di una scienza molto sviluppata, e che l'idea di interpretare i fenomeni contemporanei come gnostici non è originale come può sembrare agli ignorantoni che mi hanno per essa criticato. In generale, mi piacerebbe far notare che se avessi scoperto da me stesso tutti i problemi storici e filosofici per i quali sono stato criticato dagli intellettuali, sarei senza dubbio il più grande filosofo della storia dell'umanità.»

L'interesse quasi ossessivo per le lingue e il linguaggio non si spiega d'altronde solo come una deformazione professionale del filosofo, ma nasce nel clima culturale e politico che ha portato all'avvento del nazismo. «Riguadagnare il linguaggio» scrive Voegelin, ricordando l'opera di coraggiosi polemisti come Stefan George e Karl Kraus, «significava recuperare il contenuto soggettivo che doveva esprimersi nel linguaggio», perché «gli ideologi avevano perduto il contatto con la realtà e sviluppavano simboli che, non esprimendola, esprimevano piuttosto il proprio stato di alienazione rispetto ad essa». A questo riguardo, l'attacco del filosofo a un certo modo di fare informazione diventa molto deciso, certamente a causa dei dolorosi ricordi personali.
«Persone di questo livello – che chiamo volgare e che, per quanto attiene alla sua rilevanza sociale, definisco come livello oclocratico – non sono ammissibili alla posizione di interlocutori ma possono solo interessare come oggetti di ricerca. Questi problemi che riguardano oclocrazia e volgarità non possono essere presi alla leggera. Non è possibile prenderne semplicemente nota. Sono seri problemi che riguardano la vita e la morte, dal momento che queste persone volgari creano e successivamente dominano il clima intellettuale nel quale diventa possibile l'ascesa al potere di persone come Hitler. Potrei dire che, nel caso della Germania, i corruttori del linguaggio al livello giornalistico e letterario siano stati i veri criminali colpevoli delle atrocità naziste. Atrocità che furono possibili soltanto allorché l'ambiente sociale fu così corrotto dalle persone volgari, da far salire al potere un vero rappresentante dello spirito volgare.»

Se per Voegelin dunque la società era già in rovina «dal punto di vista morale ed intellettuale» ben prima di Hitler, la sua distruzione interiore «non terminò con la vittoria degli Alleati, ma continua ancora». Anzi, «l'odierna distruzione della vita intellettuale tedesca – ed in particolare la distruzione delle università – rappresenta la conseguenza di quella medesima distruzione che portò Hitler al potere e di quella operata sotto il suo regime». Voegelin, che pubblicò queste note nel 1973, era dunque preoccupato dal parallelismo tra la «banalità del male» degli anni Trenta e alcuni fenomeni culturali della società contemporanea, ma concludeva con una nota di speranza, riconoscendo che «nessuna fine è ancora in vista, e sono possibili conseguenze che potrebbero sorprendere».

Vorrei quindi sviluppare alcune considerazioni personali, perché, anche se negli ultimi mesi ho utilizzato su questo blog i simboli politici e alcuni concetti di Voegelin per spiegare il “sogno gnostico” in cui ancora viviamo, non sono certo un filosofo né uno studioso della politica, ma piuttosto mi identifico per storia personale e affinità mentale nella vasta schiera dei “giornalisti”. Il mio primo incontro col grande filosofo è avvenuto infatti al tempo dell'università, all'interno di un manuale sul pensiero politico del Novecento, ma in quel periodo stavo studiando per prepararmi a una carriera letteraria in una casa editrice o in un quotidiano. Tra i miei professori c'erano alcune importanti firme del Corriere della Sera e sono stati loro a trasmettermi i due princìpi del giornalismo moderno, l'understatement e l'organizzazione del dibattito.

Nonostante la somiglianza con la prudenza, l'umiltà e l'onestà intellettuale proprie dei grandi scienziati, così come di certi contadini della mitica tradizione piemontese o lombarda, questi due princìpi si ispirano piuttosto al “pensiero debole” di tipo gnostico così ben descritto da Voegelin. Nel giornalismo moderno, infatti, la tendenza sistematica a smussare e a mettere in discussione le proprie convinzioni (understatement) si coniuga con la progressiva scomparsa della notizia (trovabile facilmente anche altrove, come in televisione o su Internet) per far spazio al confronto di opinioni diverse. L'obiettivo finale dovrebbe essere permettere al lettore di sviluppare una sua opinione, ma in realtà queste operazioni pilatesche, motivate anche dalla volontà di contenere i costi tagliando indagini e approfondimenti, sono state a mio avviso una delle cause principali della crescente disaffezione nei confronti dei giornali. Perché infatti qualcuno dovrebbe pagare per avere notizie scarne che può ascoltare nei telegiornali od opinioni qualificate ma contrastanti che può leggere gratuitamente su Internet?

Qualche anno dopo ho provato a spiegarlo anche ad amici e conoscenti che scrivevano sul quotidiano Avvenire, i quali in realtà avrebbero avuto un motivo “forte” per distinguersi dalla massa dei giornalisti con una “linea editoriale” chiara e autorevole, sfruttando così anche una significativa nicchia di mercato e un importante vantaggio competitivo. Allora ovviamente non disponevo degli strumenti concettuali per riconoscere pienamente la piaga del relativismo gnostico e la sua pervasività anche negli ambienti cattolici, ma facendo ricorso in modo volutamente un po' rozzo a semplici concetti economici identificavo nel tradizionale core business della Chiesa, cioè Gesù Cristo, un “prodotto” che era sempre molto richiesto dalla gente. A mio avviso, non a caso, finché i sacerdoti dipendevano per il loro sostentamento dalle offerte della gente (anche sotto forma di terreni agricoli donati alla parrocchia) nelle loro prediche si parlava di Gesù e del destino eterno dell'uomo e le chiese erano piene; dopo l'introduzione della congrua e poi dell'otto per mille invece ogni parroco aveva messo in luce i suoi interessi, formali o sociali, e le persone non li avevano seguiti perché andare a messa non era più incontrare Gesù ma assistere allo show del prete.

La contrapposizione tra “pensiero debole” e ciò che vorrebbe ergersi come “pensiero forte”, divenuta ormai insanabile e particolarmente evidente in riferimento alle dinamiche della chiesa, è emersa in questi giorni in seguito alla pubblicazione di un documento su alcune presunte eresie diffuse dal pontefice regnante. Se la “correzione filiale” è un testo doloroso per un credente e non privo di asperità, le risposte che ho letto in questi giorni sono a dir poco deludenti, accettabili solo in quanto reazioni isteriche od «oggetti di studio», secondo l'espressione di Voegelin. Per umana carità non metto collegamenti all'articolo di uno scrittore che cavilla su questioni linguistiche o di un filosofo (docente universitario) che propone raffazzonate argomentazioni da temino liceale, le cui contraddizioni sono apparse subito evidenti persino a me.

Così, al termine della riflessione sulla sciagurata società in cui ho avuto la ventura di nascere ormai trentacinque anni fa, devo concludere che il disagio che ho sempre avvertito (stimolato da brave insegnanti di italiano alle scuole medie e superiori) per la bassa qualità del linguaggio pubblico era ben motivato. Non rivelava solo la pigrizia e l'ignoranza di giornalisti, redattori e burocrati, ma serviva anche a mascherare – quanto inconsciamente non è dato sapere – il ribaltamento dei significati esistenziali. I due autori forse più importanti della modernità, Hegel e Marx (decisivi anche nella formazione intellettuale e linguistica di papa Francesco), come ribadito da Voegelin avevano costruito le loro filosofie su presupposti sbagliati che però rifiutavano di discutere (in ciò consiste primariamente la disonestà intellettuale degli ideologi); si trattava di credenze gnostiche basate su dogmi, ma fatte passare per scienza, dileggiando la religione che invece aveva costruito cattedrali di libertà intellettuale a gloria di Dio e ad elevazione dell'uomo. Allo stesso modo oggi giornalisti e politici invocano bavagli per Internet, ma è stata la loro sciatteria intellettuale e la loro mediocrità morale a formare il brodo di coltura delle “fake news” e del risentimento popolare che ora contestano e temono; leggendo sui giornali tante evidenti bugie e mezze verità le persone hanno cercato le notizie su Internet dove le hanno trovate insieme ad altre falsità e scorrettezze. Da tutto ciò nascerà un nuovo Hitler, oppure avremo la capacità di recuperare nel tesoro del nostro passato, ad esempio nella profetica concezione dello Stato sviluppata da Leone XIII e Pio XI, il modello di un ordine futuro capace di rispondere alle sfide della contemporaneità, secondo il recente appello di Ratzinger? Ai posteri, e ai più intelligenti lettori di questo blog, l'ardua sentenza. 





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