Sulla ricostruzione dell'ordine sociale




«La resistenza austriaca al nazismo portò, dopo il 1933, alla situazione di guerra civile del 1934 ed alla fondazione del cosiddetto stato autoritario. Poiché la concezione dello stato autoritario era strettamente legata alle idee della Quadragesimo Anno, oltre che alle precedenti encicliche papali sulle questioni sociali, mi era necessario accedere a questi materiali...»
Eric Voegelin, Riflessioni Autobiografiche



di Pio XI


La teoria del gioco economico*

49. E veramente dal carattere stesso della proprietà, che abbiamo detta individuale insieme e sociale, si deduce che in questa materia gli uomini debbono aver riguardo non solo al proprio vantaggio, ma altresì al bene comune. La determinazione poi di questi doveri in particolare e secondo le circostanze, quando non sono già indicati dalla legge di natura, è ufficio dei pubblici poteri. Onde la pubblica autorità può con maggior cura specificare, considerata la vera necessità del bene comune e tenendo sempre innanzi agli occhi la legge naturale e divina, che cosa sia lecito ai possidenti e che cosa no, nell'uso dei propri beni.


La riforma dello Stato

25. Quanto al potere civile, Leone XIII, superando arditamente i limiti segnati dal liberalismo, insegna coraggiosamente che esso non è puramente un guardiano dell'ordine e del diritto, ma deve adoperarsi in modo che con tutto il complesso delle leggi e delle istituzioni politiche, ordinando e amministrando lo Stato, ne risulti naturalmente la pubblica e privata prosperità (enc. Rerum novarum, n. 26). È bensì vero che si deve lasciare la loro giusta libertà di azione alle famiglie e agli individui, ma questo senza danno del pubblico bene e senza offesa di persona. Spetta poi ai reggitori dello Stato difendere la comunità e le parti di essa, ma nella protezione dei diritti stessi dei privati si deve tener conto principalmente dei deboli e dei poveri. Perché, come dice il Nostro Antecessore, il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; le misere plebi invece, che mancano di sostegno proprio, hanno somma necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, deve lo Stato a preferenza rivolgere le cure e la provvidenza sua (enciclica Rerum novarum, n. 29).

79. E quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente allo Stato, non perché dall'opera sua si debba aspettare tutta la salvezza, ma perché, per il vizio dell'individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l'antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione dell'ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari.

80. È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.

89. Un'altra cosa ancora si deve procurare, che è molto connessa con la precedente. A quel modo cioè che l'unità della società umana non può fondarsi nella opposizione di classe, cosi il retto ordine dell'economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo anzi, come da fonte avvelenata, sono derivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale dimenticando o ignorando che l'economia ha un suo carattere sociale, non meno che morale, ritenne che l'autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo o timone proprio, secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata. Se non che la libera concorrenza, quantunque sia cosa equa certamente e utile se contenuta nei limiti bene determinati, non può essere in alcun modo il timone dell'economia; il che è dimostrato anche troppo dall'esperienza, quando furono applicate nella pratica le norme dello spirito individualistico. È dunque al tutto necessario che l'economia torni a regolarsi secondo un vero ed efficace suo principio direttivo. Ma tale ufficio molto meno può essere preso da quella supremazia economica, che in questi ultimi tempi è andata sostituendosi alla libera concorrenza; poiché, essendo essa una forza cieca e una energia violenta, per diventare utile agli uomini ha bisogno di essere sapientemente frenata e guidata. Si devono quindi ricercare più alti e più nobili principi da cui questa egemonia possa essere vigorosamente e totalmente governata: e tali sono la giustizia e la carità sociali. Perciò è necessario che alla giustizia sociale si ispirino le istituzioni dei popoli, anzi di tutta la vita della società; e più ancora è necessario che questa giustizia sia davvero efficace, ossia costituisca un ordine giuridico e sociale a cui l'economia tutta si conformi. La carità sociale poi deve essere come l'anima di questo ordine, alla cui tutela e rivendicazione efficace deve attendere l'autorità pubblica; e lo potrà fare tanto più facilmente se si sbrigherà da quei pesi che non le sono propri, come abbiamo sopra dichiarato.


Contro il liberismo selvaggio...

105. E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento.

106. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare.

107. Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza.

108. A sua volta poi la concentrazione stessa di ricchezze e di potenza genera tre specie di lotta per il predominio: dapprima si combatte per la prevalenza economica; di poi si contrasta accanitamente per il predominio sul potere politico, per valersi delle sue forze e della sua influenza nelle competizioni economiche; infine si lotta tra gli stessi Stati, o perché le nazioni adoperano le loro forze e la potenza politica a promuovere i vantaggi economici dei propri cittadini, o perché applicano il potere e le forze economiche a troncare le questioni politiche sorte fra le nazioni.

109. Ultime conseguenze dello spirito individualistico nella vita economica sono poi quelle che voi stessi, venerabili Fratelli e diletti Figli, vedete e deplorate; la libera concorrenza cioè si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è sottentrata la egemonia economica; alla bramosia del lucro è seguita la sfrenata cupidigia del predominio; e tutta l'economia è così divenuta orribilmente dura, inesorabile, crudele. A ciò si aggiungono i danni gravissimi che sgorgano dalla deplorevole confusione delle ingerenze e servizi propri dell'autorità pubblica con quelli della economia stessa: quale, per citarne uno solo tra i più importanti, l'abbassarsi della dignità dello Stato, che si fa servo e docile strumento delle passioni e ambizione umane, mentre dovrebbe assidersi quale sovrano e arbitro delle cose, libero da ogni passione di partito e intento al solo bene comune e alla giustizia. Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l'imperialismo economico; dall'altra non meno funesto ed esecrabile, l'internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene.

110. Ora, con quali mezzi si possa rimediare a un male così profondo, già l'abbiamo indicato nella seconda parte di questa enciclica, dove ne abbiamo trattato di proposito sotto l'aspetto dottrinale: qui ci basterà ricordare la sostanza del Nostro insegnamento. Essendo dunque l'ordinamento economico moderno fondato particolarmente sul capitale e sul lavoro, devono essere conosciuti e praticati i precetti della retta ragione, ossia della filosofia sociale cristiana, concernenti i due elementi menzionati e le loro relazioni. Così, per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro. Le relazioni quindi fra l'uno e l'altro devono essere regolate secondo le leggi di una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. È necessario che la libera concorrenza, confinata in ragionevoli e giusti limiti, e più ancora che la potenza economica siano di fatto soggetti all'autorità pubblica, in ciò che concerne l'ufficio di questa. Infine le istituzioni dei popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene comune cioè alle leggi della giustizia sociale; onde seguirà necessariamente che una sezione così importante della vita sociale, qual è l'attività economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato.


e le sue varianti socialiste

116. Né perciò si dovrà credere che quei partiti o gruppi di socialisti, che non sono comunisti, si siano ricreduti tutti a tal segno, o di fatto o nel loro programma. No, perché essi per lo più, non rigettano né la lotta di classe, né l'abolizione della proprietà, ma solo la vogliono in qualche modo mitigata. Senonché, essendosi i loro falsi princìpi così mitigati e in qualche modo cancellati, ne sorge, o piuttosto viene mosso da qualcuno, il dubbio: se per caso anche i princìpi della verità cristiana non si possano in qualche modo mitigare o temperare, per andare così incontro al socialismo e quasi per una via media accordarsi insieme. E vi ha di quelli che nutrono la vana speranza di trarre a noi in questo modo i socialisti. Vana speranza, diciamo. Quelli, infatti, che vogliono essere apostoli tra i socialisti, devono professare apertamente e sinceramente, nella sua pienezza e integrità, la verità cristiana, ed in nessuna maniera usare connivenza con gli errori. Che, se veramente vogliono essere banditori del Vangelo, devono studiarsi anzitutto di far vedere ai socialisti che le loro rivendicazioni, in quanto hanno di giusto, si possono molto più validamente sostenere coi princìpi della fede cristiana e molto più efficacemente promuovere con le forze della cristiana carità.


Conclusione: più a fondo e più in alto

127. Ma se consideriamo la cosa con più diligenza e più a fondo, chiaramente vediamo che a questa tanto desiderata restaurazione sociale deve precedere l'interno rinnovamento dello spirito cristiano, dal quale purtroppo si sono allontanati tanti di coloro che si occupano di cose economiche; se no, tutti gli sforzi cadranno a vuoto, non costruendosi l'edificio sulla roccia, ma su la mobile arena (cfr. Mat 7,24).

128. E infatti, venerabili Fratelli e diletti figli, abbiamo dato uno sguardo all'odierno ordinamento economico, e l'abbiamo trovato guasto profondamente. Di poi, richiamato a nuovo esame il comunismo e il socialismo, e tutte le loro forme, anche più mitigate, abbiamo trovato che sono molto lontani dagli insegnamenti del Vangelo.

129. Quindi, per usare le parole del Nostro Predecessore, se un rimedio si vuole dare alla società umana, questo non sarà altro che il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane (enc. Rerum novarum, n. 22). Giacché questo solo può distogliere gli occhi degli uomini affascinati e al tutto immersi nelle cose transitorie di questo mondo, e innalzarli al cielo: questo solo può portare efficace rimedio alla troppa sollecitudine per i beni caduchi, che è l'origine di tutti i vizi. Del quale rimedio chi può negare che la società umana non abbia al presente un sommo bisogno?

130. Tutti restano quasi unicamente atterriti dagli sconvolgimenti, dalle stragi, dalle rovine temporali. Ma se consideriamo i fatti con occhio cristiano, com'è dovere, che cosa sono tutti questi mali in paragone della rovina delle anime? Eppure si può dire senza temerità essere tale oggi l'andamento della vita sociale ed economica, che un numero grandissimo di persone trova le difficoltà più gravi nell'attendere a quell'uno necessario all'opera capitale fra tutte, quella della propria salute eterna.

131. Di queste innumerevoli pecorelle costituiti Pastore e Tutore dal Principe dei Pastori, che le redense col suo sangue, non possiamo contemplare con indifferenza tale sommo pericolo; che anzi, memori dell'ufficio pastorale, con paterna sollecitudine andiamo di continuo ripensando come recare ad esse aiuto, ricorrendo altresì allo studio indefesso di altri, che vi sono impegnati per debito di giustizia e di carità. Che cosa gioverebbe infatti che gli uomini con più saggio uso delle ricchezze si rendessero più capaci di fare acquisto anche di tutto il mondo, se poi ne ricevessero danno per l'anima? (cfr. Mat 15,26). Che cosa gioverebbe insegnar loro sicuri princìpi intorno alla economia, se poi si lasciano trascinare dalla sfrenata cupidigia e dal gretto amore proprio a tal segno che pur avendo udito gli ordini del Signore, abbiano poi a fare tutto all'opposto! (cfr. Fudic. 2,17).

140. Da questa nuova diffusione pertanto dello spirito evangelico nel mondo, che è spirito di moderazione cristiana, e di carità universale, sorgerà, speriamo, quella piena e desideratissima restaurazione della umana società in Cristo e quella pace di Cristo nel regno di Cristo a cui fin dall'inizio del Nostro Pontificato abbiamo fermamente proposto di consacrare tutte le Nostre cure e la Nostra pastorale sollecitudine.



I titoli in grassetto sono miei. Nel primo paragrafo Pio XI partendo dal diritto naturale giunge ad abbozzare una teoria economica e politica, evocando il punto di equilibrio di un gioco non cooperativo (formulato in termini matematici da John Nash nel 1950, vent'anni dopo l'enciclica) che coincide con l'ottimo di Pareto, una condizione che può essere garantita solo da accordi vincolanti e dal controllo di un'istituzione con potere sanzionatorio, ovvero dalle leggi e dalla vigilanza attiva di uno Stato nazionale.





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