La comunicazione politica in Italia tra ricerca del consenso e gestione del dissenso


Uno studio corrente dice che la media del pubblico italiano rappresenta l'evoluzione mentale di un ragazzo che fa la seconda media e che non sta nemmeno seduto nei primi banchi
Silvio Berlusconi, 2004


Riflettere sulla comunicazione politica oggi significa innanzitutto occuparsi di leader. Sono loro infatti a incarnare e definire la “linea” del partito, a decidere chi verrà eletto e chi eventualmente può andare in televisione al loro posto. “Rottamate” le dinamiche interne ai partiti in nome della lotta alla corruzione e alle inefficienze (un tipico “frame” liberista, come vedremo), la competizione democratica consiste ormai nella lotta per la leadership e quindi nella ricerca di maggiore consenso e gestione del dissenso, in particolare attraverso i social media. Più che ai programmi e all'evoluzione storica dei partiti, quindi, dovremmo interessarci alla psicologia dei leader e al loro passato, ad esempio al Grillo comico o al Salvini “comunista padano”. Tuttavia, poiché i politici restano soggetti al controllo e all'influenza di militanti e sostenitori, è opportuno considerare insieme tutti questi fattori, concentrandoci sui quattro partiti principali. 


Forza Italia

Ho voluto cominciare questa breve analisi nell'imminenza delle elezioni politiche con Silvio Berlusconi non solo perché si tratta ancor oggi del miglior talento comunicativo in circolazione, ma anche perché la sua famosa citazione in epigrafe, benché datata, ha un valore decisamente attuale e rappresenta una delle principali ragioni del suo duraturo successo. Infatti, sebbene l'italiano medio sia nel frattempo cresciuto, almeno di un paio d'anni, Berlusconi continua a rivolgersi con un approccio scientifico e un ammirevole realismo agli elettori a cui per anni ha venduto ottimismo, sogni europei e formule liberiste, anche se come tutti gli altri sono stati scottati dalla crisi economica e dalle crescenti difficoltà della zona euro. Ciò che Berlusconi sa bene e alcuni suoi alleati sembrano non capire, infatti, è che l'elettore medio di Forza Italia è un anziano liberale. Liberale, ma innanzitutto anziano, lo “zoccolo duro” essendo formato dalle signore che qualche anno fa sognavano un'avventura col Cavaliere e negli anni, nonostante i numerosi “tradimenti” con donne più giovani, gli sono rimaste fedeli. Certo, molti dei suoi elettori sono passati a miglior vita, ma quelli che rimangono sono – in quanto anziani – incapaci di recepire le sirene anti-sistema degli altri partiti. Sono cresciuti nel clima libertario post-sessantottino, sognando l'Europa dei popoli e magari facendo anche qualche affare con l'estero (senza bisogno dell'euro) nel contesto di un'economia in crescita. Il “frame” costruito da Berlusconi nel '94 è per loro ancora confortevole come casa propria: la lotta ai comunisti (oggi i “pauperisti” grillini), la difesa dei piccoli privilegi (a cominciare dallo stipendio e dalla pensione), la lotta allo Stato che opprime anche con le tasse la libera iniziativa, mantenendo però la possibilità di allargarne le maglie legislative e ungerne gli ingranaggi per ottenere vantaggi personali e sanatorie (penso in particolare al nome della coalizione “Casa delle Libertà”, che immediatamente evoca condoni edilizi). 

Sebbene Berlusconi abbia più volte affermato in televisione di essere stato fatto fuori politicamente da un golpe ordito dalle più alte cariche dello Stato su mandato anche di alleati europei, per via della sua intenzione di uscire dal sistema dell'euro confidata alla Merkel, oggi si presenta come un paladino dell'Europa minacciata dai populismi, limitandosi a criticare i rincari dei prezzi seguiti all'introduzione della moneta unica, tema che sa condiviso da tutti ma che ovviamente non rappresenta il problema dell'euro, ed è talmente bravo da risultare credibile a molti. Purtroppo la sua abilità nella ricerca del consenso non è stata eguagliata dalle capacità di governo, e Berlusconi sa bene che tanti suoi ex elettori non glielo perdoneranno (demenza senile a parte, il processo collettivo di perdita della memoria storica non è ancora così avanzato da dimenticare certe cose, e comunque pare riguardi soprattutto i giovani fruitori di Internet e smartphone). Tuttavia, vorrei ancora una volta sottolineare la sua straordinaria forza comunicativa, certamente supportata da un'attenta analisi della realtà e approfondite indagini di mercato. Nella scorsa primavera, poco prima di Pasqua era partita una campagna per salvare gli agnelli che molti consumano in quel giorno. Da mesi Salvini andava in televisione quasi quotidianamente prendendosi i peggiori insulti, e ogni volta opponendo calma e buon senso alle accuse degli avversari riusciva a guadagnare nei sondaggi lo 0,0qualcosa, ma è bastato che Berlusconi comparisse una sola volta in televisione con un agnello in braccio perché Forza Italia superasse le Lega nelle intenzioni di voto.


Lega e Movimento 5 Stelle

Siccome il piano di Prodi & Co. di rendere i lavoratori europei competitivi come quelli cinesi è riuscito (“il grande successo dell'euro!”, per citare Mario Monti), i giovani italiani sono troppo a contatto con la “durezza del vivere” (cit. Tommaso Padoa-Schioppa) per credere ancora ai sogni ottimistici spacciati da Berlusconi. Sanno che qualcuno li ha fregati e probabilmente sono le stesse persone che ora li accusano di essere “populisti” perché iniziano a protestare per le loro condizioni di precarietà economica ed esistenziale. I partiti che in Italia incarnano maggiormente la protesta allo status quo sono il Movimento 5 Stelle e la Lega. 

Qualche tempo fa avevo sentito un analista affermare che la differenza principale tra i due partiti starebbe nel tipo di elettore: mentre l'elettore tipo del M5S è un disoccupato o un dipendente che si sente sfruttato ma in fondo non ha più nemmeno la speranza di cambiare le cose, l'elettore tipo della Lega è un disoccupato, un dipendente o un piccolo imprenditore che ha ancora speranza ed è pronto a impegnarsi per migliorare la propria situazione. Il voto per il movimento di Grillo sarebbe in sostanza un solenne “Vaffanculo!” gridato al sistema, mentre il voto per “Salvini premier” sarebbe un voto di protesta popolare simile a quello che negli USA ha portato Trump alla Casa Bianca. Al di là di questa semplicistica ma rivelatrice spiegazione, va notato che mentre il M5S ha mantenuto negli anni una certa coerenza politica e comunicativa, sostenendo fin dall'inizio tutto e il contrario di tutto (su Europa, immigrazione, “diritti civili”...), la linea della Lega ha fatto un'inversione a U rispetto ai tempi di Bossi e soprattutto alla sua origine come partito europeista e anti-nazionalista. D'altronde, bisogna ricordare che quando Salvini nel 2013 ha preso la guida del partito in seguito agli scandali (legati alla corruzione e all'uso improprio del denaro pubblico, ovviamente) che avevano azzerato i vertici, la popolarità della Lega era scesa al 3%. Certamente per convinzione, ispirato dall'economista Claudio Borghi, ma anche per opportunismo politico Salvini si è quindi buttato nel campo sovranista e nella polemica contro l'Europa, posizionandosi nella mente degli elettori come corrispettivo italiano del Front National di Marine Le Pen, allora in ascesa in Francia, e occupando di forza un'area non presidiata da grandi partiti. Si può dire che Salvini abbia continuato la lotta “per l'indipendenza della Padania” opponendosi al nemico di Bruxelles ben più reale e pericoloso di quello di Roma, ma sta di fatto che nel giro di pochi anni il suo partito ha guadagnato oltre dieci punti arrivando oggi al 15% nei sondaggi ufficiali. 


Primo partito italiano con attualmente il 27% delle preferenze resta però il Movimento 5 Stelle guidato da Luigi Di Maio. Sebbene il partito fondato da Beppe Grillo sia percepito da molti suoi elettori come tendenzialmente “di sinistra”, il suo impianto è chiaramente liberista, anzi rappresenta la vera evoluzione di Forza Italia nel percorso di demolizione dello Stato e costruzione di una rete di individui sempre più soli di fronte alla “sfida della globalizzazione”. Sostenitore entusiasta della democrazia diretta tramite Internet, in particolare con la “piattaforma Rousseau”, il movimento potrebbe avvalersi presto delle meraviglie della blockchain, il sistema ad enorme impatto energetico attualmente utilizzato per validare le transazioni in Bitcoin e altre criptovalute (monete fittizie il cui valore non è garantito da uno Stato bensì dagli stessi utenti), ma che potrebbe in un prossimo futuro sostituire l'attuale processo elettorale (ovviamente dopo una campagna contro i brogli e per il risparmio di carta e paghe degli scrutatori). Lo stesso “reddito di cittadinanza”, caposaldo del movimento, è una misura pensata per i consumatori del futuro, non più lavoratori a causa della crescente robotizzazione delle attività produttive. Secondo l'incubo del capitalismo terminale fatto proprio dai pentastellati, i padroni del futuro non avranno più bisogno degli ex-lavoratori (che infatti potranno morire quando vogliono con l'eutanasia), ma solo di alcuni consumatori foraggiati per questo dalle banche centrali, che come quasi tutti i grillini sanno creano denaro dal nulla e possono quindi regalarlo alle ultime larve dell'umanità. Ovviamente nel movimento degli “onesti” ci sono diversi militanti e dirigenti accorti e spaventati da queste implicazioni, ma come abbiamo detto la linea politica oggi viene decisa dai leader che si aspettano di ricevere l'applauso della base, per cui anche nel movimento dove “1 vale 1” non c'è spazio per i “deviazionisti” e i “disfattisti”, peraltro sempre più numerosi come il coraggioso europarlamentare Marco Zanni. Comunque, la contiguità dei 5 stelle al progetto europeista (nonostante alcune proposte e dichiarazioni il partito palesemente non vuole uscire dall'euro) e globalista di certe élite ha fatto ipotizzare a diversi analisti che il loro scopo fosse fin dall'inizio quello di canalizzare e disperdere su Internet il crescente malcontento della popolazione, un'interpretazione indirettamente avvalorata dallo stesso Grillo, secondo cui senza il suo movimento avrebbe preso piede anche in Italia un partito radicalmente anti-sistema come il greco “Alba Dorata”.


Partito Democratico

Benché meno estremista nel “tone of voice” del Movimento 5 Stelle, anche il Partito Democratico di Renzi ha fatto propri i valori liberisti del capitalismo terminale, ed è anzi fin dall'inizio in Italia l'araldo della “globalizzazione” seguita al crollo dell'Unione Sovietica. Con una battuta, si può dire che i comunisti erano caratterizzati dalla difesa dei lavoratori e dall'internazionalismo; scomparso il grande paese che difendeva i lavoratori ai post-comunisti è rimasto solo l'internazionalismo. Il modello ideale del Partito Democratico è il presidente francese Macron, un “vincente della globalizzazione” con studi in università prestigiose, un importante incarico presso una banca d'affari e un aspetto sano e attraente, capace di attrarre voti anche dall'elettorato gender-fluid. Benché non particolarmente bello, Renzi col suo carattere spigliato e le sue capacità affabulatorie (non innate come quelle di Berlusconi ma piuttosto – si potrebbe pensare – apprese in qualche corso sul marketing politico, le televendite o la programmazione neurolinguistica) è riuscito a conquistare la fiducia degli elettori di sinistra, compattandoli nel tentativo di battere la destra imitandola. Nonostante il suo enorme consenso iniziale (oltre il 60% nel 2014), l'ex sindaco di Firenze non è comunque riuscito a diventare il “sindaco d'Italia” e ben presto la sua maggioranza si è sfaldata in contrasti interni, legati più al tentativo di mantenere visibilità e posizioni di potere che a dialettiche politiche.

Soprattutto però Renzi è stato punito dagli italiani al referendum costituzionale del 2016, da lui interpretato in chiave personalistica come una specie di plebiscito. Punito per un errore comunicativo, un eccesso di arroganza, ma soprattutto per gli esiti infausti delle scelte politiche del PD, che si è occupato più delle banche e degli immigrati illegali giunti dall'Africa che dei cittadini italiani. Punito per aver dimenticato o ignorato che se ci sono dei “vincenti della globalizzazione” ci sono anche dei perdenti, che per forza di cose devono essere la maggioranza. Punito per non aver capito quindi che i Renzi/Macron non possono essere modelli “democratici” per i giovani, perché chi privilegia sistematicamente gli interessi degli altri e per questo viene da loro lodato e premiato non può fare contemporaneamente quelli del suo popolo, né i suoi nel lungo periodo. A questo proposito, l'atteggiamento del degno successore di Renzi, Gentiloni, sulla questione Fincantieri-STX mi ha fatto inizialmente pensare alla nota battuta di Tomas Milian sul cane di Mustafà, ma in seguito ho intuito che sotto ci poteva essere un più vasto progetto di difesa europeo, in cui gli italiani avrebbero messo la marina, i francesi l'esercito e i tedeschi il quarto Reich. 

Da notare che, nello stesso periodo, anche all'interno del governo PD qualcuno ha capito che gli “alleati” europei non stavano cooperando con noi ma anzi cercavano di fregarci, eppure la brillante strategia coordinata dal ministro Minniti, che ha portato a interrompere momentaneamente la rotta mediterranea dei migranti, è rimasta un caso isolato nel contesto di un'azione di governo prona alle suggestioni dei potenti amici internazionali, a cominciare dal famigerato Soros. Così l'attività e la comunicazione politica dell'Italia morente rappresentata dal PD si è concentrata sulle battaglie per l'accoglienza e la cittadinanza agli stranieri, l'approvazione della legge sul fine vita, la lotta alle notizie non di regime (false o meno) e alcuni marginali interventi economici permessi dai vincoli europei che il governo Monti ha inserito nella costituzione. 

Quest'anno in molti hanno cercato aria nuova fuori dalle asfittiche stanze del partito, ma i gruppuscoli sorti dalla disgregazione del PD non hanno ovviamente né lo slancio ideale né le capacità progettuali per ripensare la sinistra, se non rifacendosi più o meno direttamente all'analisi marxista e al progetto comunista. Non credo che gli italiani sentiranno molto la mancanza del PD, che probabilmente alle prossime elezioni scenderà sotto il 20% diventando sempre più marginale, ma è possibile che il fronte “progressista” si compatti ancora dietro un nuovo leader e nuovi “sogni”, magari simili agli incubi pentastellati. 


Verso le elezioni e oltre

Avvicinandosi le elezioni politiche del 4 marzo 2018, tutti i candidati sono ormai entrati in modalità campagna elettorale, limitando le apparizioni in tv (ma non sui social) e assumendo un atteggiamento più “presidenziale”. Salvini, conscio di non condividere la posizione sull'euro né con gli alleati del centrodestra né con la maggioranza degli italiani, per ora ha abbassato i toni della polemica che aveva fatto risalire la Lega nei sondaggi, limitandosi a definire con Borghi la strategia che potrebbe un domani portare all'Italexit (minibot, tentativo di rinegoziare i trattati, ecc.). La sua nota vis polemica, fonte di eccessi e veri e propri errori comunicativi, ogni tanto riemerge sui social soprattutto riguardo al tema dell'immigrazione, galvanizzando la base ma indebolendo la sua immagine di potenziale premier. Berlusconi, che è in campagna elettorale da almeno un anno, ne approfitta appellandosi con le sue parole d'ordine al popolo dei “moderati”, ovvero cercando di riconquistare parte dei suoi ex elettori in vista del confronto finale sui numeri col leader leghista. Di Maio è volato negli States per assicurare la sua fedeltà allo “stato profondo” che continua a osteggiare Trump, mentre in patria sfoggia il suo charme compassato e le sue ben note doti di oratore capace di parlare di nulla per decine di minuti. La base gli avrebbe preferito il più simpatico e concreto Di Battista, ma è probabile che in caso di un risultato insoddisfacente venga sostituito senza tanti complimenti dai padroni del movimento e dei siti Grillo e Casaleggio jr. Anche Renzi per ora non si sovraespone mediaticamente, segno che ha imparato qualcosa dalla bruciante sconfitta del referendum. D'altronde il suo partito più che problemi di leadership ha problemi di compattezza e indirizzo politico. Tutto sommato Gentiloni al governo sta facendo grossomodo quello che avrebbe fatto lui, potendo contare su ministri capaci e popolari come Minniti. Molto riguardo alla guida renziana e al destino del partito verrà deciso dalle elezioni, il cui esito comunque dovrebbe restituire l'immagine che già abbiamo della politica nazionale, con vari partiti frammentati (anche al loro interno), poche idee e poca voglia di governare davvero questa Italia con scarsa sovranità residua e tanti problemi di difficile soluzione.

L'analisi che ho portato avanti fin qui permette di cogliere un altro aspetto generale della politica italiana, dalle implicazioni non banali ma poco studiate: i quattro partiti principali hanno tutti un'anima liberista, con qualche differenza secondaria su cui puntano per distinguersi nella lotta per il consenso. I due partiti più simili come abbiamo visto sono Forza Italia e il Movimento 5 Stelle, ma una loro coalizione è quasi impossibile perché un terzo degli elettori 5 Stelle che si considera “di sinistra” non accetterebbe mai un accordo col nemico storico Berlusconi. Il PD è il partito più liberista nella pratica, avendo accettato entusiasticamente, come tutti i convertiti tardivi, i dogmi del liberalismo europeo che per anni i comunisti avevano osteggiato. Tuttavia proprio questo palese tradimento della sua anima popolare è la causa della profonda crisi che lo attraversa e ha allontanato la dirigenza dalla base (non serve ad esempio conoscere la storia e le ragioni delle internazionali comuniste per sapere che le migrazioni tanto sostenute dal PD favoriscono i padroni e danneggiano in primo luogo i lavoratori italiani, e non migliora certo le cose insultarli definendoli “populisti”, “rancorosi”, “ignoranti” e “impauriti”). Salvini in teoria sarebbe il paladino del popolo sovranista, a cui fanno riferimento anche partiti minori come Fratelli d'Italia e CasaPound, ma pure lui è favorevole a uno Stato nazionale piccolo, “che faccia poche cose, ma le faccia bene”, possibilmente federale, dunque smembrato in regioni o “macroregioni” sul modello di quelle europee. Le due anime (sovranista e liberal-federalista) potrebbero coesistere, ma finché non avrà modo di governare è difficile capire, come nel caso di Di Maio, quanto sincere siano le sue intenzioni di riforma e se potrebbe essere capace di portarle a termine. Come dimostra la vicenda di Berlusconi, non basta essere un abile comunicatore per diventare un brillante statista, ma è anche vero che spesso sono i tempi difficili e le occasioni che generano a trasformare gli uomini e a renderli capaci di grandi cose.

Qualche osservazione in più va fatta su Internet e i social media, che stando a tutti gli analisti sono stati determinanti per le vittorie di Obama e Trump e sembrano suggerire un desiderio delle persone comuni di riappropriarsi della politica, con azioni dirette e un rapporto personale coi rappresentanti del potere. Internet insomma non è più o non può più essere considerato un mondo “virtuale”, bensì va visto come un'estensione del mondo reale in cui si svolgono buona parte delle azioni per la ricerca del consenso e il controllo del dissenso. Anche i politici più sprovveduti hanno capito che non possono andare di persona ai comizi e delegare la propria presenza sul web a social media manager, per quanto bravi. Il rischio di errori, ed errori clamorosi dalle enormi ricadute mediatiche, è sempre dietro l'angolo, per cui aprire un profilo Twitter o Facebook è un impegno che il politico deve affrontare solo se pronto a portarlo avanti anche personalmente, dedicandogli persino alcune ore al giorno. Se i profili social possono diventare una minaccia per i leader, a cui sarebbe consigliabile almeno un corso di gestione comunicativa delle crisi (la “crisi” anche etimologicamente indica sempre un'opportunità: ad esempio il sequestro dei conti della Lega è stato trasformato in un importante topos propagandistico), rappresentano una formidabile cassa di risonanza potenziale per politici mediaticamente poco considerati o sotto attacco. Tra questi il più noto paradossalmente è il presidente degli Stati Uniti, che in effetti denunciando le “fake news” dei media tradizionali sul suo profilo Twitter ha ottenuto anche importati vittorie, come quella contro la CNN sul “caso Russiagate”. 

Infine, come abbiamo visto, Internet è anche il luogo in cui si raccolgono e incanalano pacificamente (ma spesso con un'accesa violenza verbale) la rabbia e la frustrazione delle persone comuni, che i politici devono imparare a gestire, distinguendole dalle critiche dei propri elettori che meritano un trattamento a parte. Il dissenso interno ai partiti, infatti, viene spesso espresso da esponenti della minoranza e semplici militanti sui social o su blog anche molto influenti, per cui il leader se vuole sopravvivere politicamente (e fisicamente, mantenendo una minima salute mentale) deve imparare presto anche quando e come rispondere a questi attacchi, coerentemente con le proprie campagne comunicative e i propri principi politici. Uno scoppio d'ira o una risposta isterica sono ad esempio più gravi se provengono da chi si definisce “democratico”, “intelligente” e “tollerante”. In effetti, si può dire che per vincere sia a volte sufficiente lasciar parlare gli avversari, specialmente con le modalità perlopiù ancora poco conosciute tipiche della rete. Purtroppo molti leader occidentali non sembrano capaci di uscire da certi “frame” mentali né di fare una sana autocritica, per cui incolpano delle proprie fragilità politiche le vittime della società aperta e fantomatiche cospirazioni eversive, o i soliti hacker russi e non meglio precisate manovre del Cremlino, come recentemente ha fatto la premier inglese Theresa May. Sui conflitti di narrazioni tra nazioni e le guerre simboliche su vecchi e nuovi media, almeno a partire dai fatti di piazza Maidan durante le olimpiadi invernali di Sochi, ci sarebbe in effetti parecchio da aggiungere, ma questa è un'altra storia.

Concludendo l'analisi della situazione italiana, il panorama politico rimane fosco, essendo caratterizzato da poche idee e pure confuse. Ci saranno probabilmente accordi post-elettorali su orientamenti di fondo o singole questioni, ma in questa condizione di debolezza relativa e assoluta della democrazia italiana è ipotizzabile che il percorso verso una sua più piena realizzazione sia ancora molto lungo. Tuttavia, se sempre meno persone leggono i giornali o seguono i talk show politici in televisione, bisogna notare che i video ormai ovunque protagonisti su Internet stanno anche ridando importanza alla dimensione uditiva, per cui i discorsi e i gesti dei politici continueranno a contare ed anzi probabilmente crescerà la loro capacità di smuovere le coscienze ed evocare mondi simbolici. La speranza è che le parole non vengano usate per veicolare nuove illusioni ma servano al contrario a riappropriarci della realtà, della sua drammatica concretezza e delle sue coinvolgenti sfide, ben più affascinanti di qualunque sogno.





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