La teologia della globalizzazione tra noesi e gnosi
(Articolo di Avvenire del 27 aprile 2017) |
Come altri anni il 31 dicembre ho
partecipato nella mia parrocchia a una veglia di preghiera,
incentrata sul messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale
della pace 2018 dal tema “Migranti e rifugiati: uomini e donne in
cerca di pace”. Si tratta di un argomento particolarmente caro a
Papa Francesco, da lui ripreso anche nell'omelia della vigilia di
Natale e nell'angelus del primo dell'anno. Nonostante alcune
perplessità motivate anche da questa insistenza, mi ero recato in chiesa con le migliori disposizioni,
cercando di farmi “convertire” dal messaggio del Papa, che in
effetti mi ha spinto a riflettere su diverse questioni e interpellato
personalmente.
Il passaggio che mi ha più colpito è
stato nel terzo paragrafo, intitolato “Con uno sguardo
contemplativo”. Dopo aver citato Benedetto XVI (in linea con
Giovanni Paolo II, Paolo VI e Giovanni XXIII) per ricordare l'universale
destinazione dei beni della terra a beneficio dell'unica famiglia
umana, Francesco continua il suo invito a uno sguardo aperto alla
trascendenza citando Isaia:
Queste parole ci ripropongono l’immagine della nuova Gerusalemme. Il libro del profeta Isaia (cap. 60) e poi quello dell’Apocalisse (cap. 21) la descrivono come una città con le porte sempre aperte, per lasciare entrare genti di ogni nazione, che la ammirano e la colmano di ricchezze. La pace è il sovrano che la guida e la giustizia il principio che governa la convivenza al suo interno.
Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze [...] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia», in altre parole realizzando la promessa della pace.
Francesco prosegue quindi invitando i politici a fare il massimo possibile per accogliere i migranti e le loro “ricchezze”, ovvero per realizzare la Gerusalemme celeste “su questa nostra amata terra”, come dirà nella conclusione del messaggio.
Questo paragrafo mi ha stimolato particolarmente perché la “noesi” di cui ho spesso scritto sul
blog è un'intelligenza aperta non solo genericamente alla
trascendenza, ma anche alla tensione tra il qui e l'oltre,
il già e il non ancora. Questa tensione è alla base
della vita della Chiesa, la cui stessa esistenza rappresenta la
continuazione dell'operato di Gesù tra gli uomini con l'aiuto dello
Spirito in attesa del suo ritorno glorioso. La causa di gran parte
delle eresie antiche e moderne, ovvero della perdita della fede da
parte di persone pur buone e intelligenti, è proprio la mancata
comprensione di questo rapporto dialettico tra il visibile e
l'invisibile, il regno di Dio nei cuori e quello sul mondo trasfigurato alla fine
dei tempi, la nostra fondamentale collaborazione alla Provvidenza e l'azione
misteriosa di Dio nella storia, la cui pedagogia e il cui disegno
complessivo sono da noi indagabili ma superano le nostre capacità di
comprensione.
Il cristiano quindi può guardare
noeticamente alla Gerusalemme celeste e cercare di anticiparla in
questo mondo, restando però come fa notare Papa Francesco entro i “limiti
consentiti dal bene comune rettamente inteso”. Il confronto con la realtà infatti ci rivela l'impossibilità di realizzare
il “sogno” della gnosi moderna, che come ci hanno spiegato Eric Voegelin e Augusto Del Noce consiste
nell'immanentizzazione dell'eschaton cristiano, ovvero nell'impossibile tentativo di costruire il paradiso in terra e salvarci da soli.
Dopo la seconda guerra mondiale questo “sogno gnostico” si è concretizzato nel simbolo teorizzato da Karl Popper della “società aperta”, relativista, liberista e sempre più globalizzata. Leggendo le encicliche e i messaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI si ha a volte l'impressione che la “globalizzazione” sia un processo ineluttabile, una trasformazione del mondo di origine semi-divina che la Chiesa in conseguenza del suo mandato può e deve abitare cercando di fecondarla e cristianizzarla. Posto che il mondo è sempre stato interconnesso (le navi romane ad esempio commerciavano fino in India e in Cina e gli eruditi europei del Rinascimento si scambiavano lettere forse più degli studiosi contemporanei), la mondializzazione dell'economia basata su trattati multilaterali e organizzazioni sovranazionali (come l'Organizzazione Mondiale del Commercio e l'Unione Europea) è un fenomeno tutto umano che ha avuto una decisiva accelerazione negli anni novanta del Novecento e già dai primi anni duemila ha mostrato tutte le sue contraddizioni e fragilità, esplose con la crisi dell'eurozona che ha portato alla Brexit. Proprio la crisi economica iniziata nel 2008 ha spinto Benedetto XVI a rivalutare il ruolo dello Stato nazionale, che sicuramente sarà un protagonista della politica futura, come ha riconosciuto anche Francesco.
La Chiesa sembra però ancora incapace di smarcarsi con chiarezza dai capisaldi della cultura dominante relativista e globalista, forse per un malinteso concetto di umanità e fratellanza. “Amore è la legge, amore sotto la volontà” è stato il motto del secondo Novecento formulato da Aleister Crowley, scimmiottando il precetto di Sant'Agostino “Ama e fa' ciò che vuoi”. La menzogna più grande è spesso quella più vicina alla verità, e il “fumo di Satana” entrato allora “nel tempio di Dio”, secondo l'espressione di Paolo VI, sembra ancora lontano dal disperdersi, tanto da far sospettare ad alcuni una sudditanza della Chiesa ai progetti mondialisti di certe élite culturali, industriali e finanziarie, magari anche per motivi economici (pochi sanno che l'anno della mia nascita, ricordato per la vittoria dell'Italia sulla Germania ai mondiali di calcio, ha in realtà tra i suoi eventi più importanti il fallimento tecnico della banca vaticana nascosto dietro la morte di Roberto Calvi).
Dopo la seconda guerra mondiale questo “sogno gnostico” si è concretizzato nel simbolo teorizzato da Karl Popper della “società aperta”, relativista, liberista e sempre più globalizzata. Leggendo le encicliche e i messaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI si ha a volte l'impressione che la “globalizzazione” sia un processo ineluttabile, una trasformazione del mondo di origine semi-divina che la Chiesa in conseguenza del suo mandato può e deve abitare cercando di fecondarla e cristianizzarla. Posto che il mondo è sempre stato interconnesso (le navi romane ad esempio commerciavano fino in India e in Cina e gli eruditi europei del Rinascimento si scambiavano lettere forse più degli studiosi contemporanei), la mondializzazione dell'economia basata su trattati multilaterali e organizzazioni sovranazionali (come l'Organizzazione Mondiale del Commercio e l'Unione Europea) è un fenomeno tutto umano che ha avuto una decisiva accelerazione negli anni novanta del Novecento e già dai primi anni duemila ha mostrato tutte le sue contraddizioni e fragilità, esplose con la crisi dell'eurozona che ha portato alla Brexit. Proprio la crisi economica iniziata nel 2008 ha spinto Benedetto XVI a rivalutare il ruolo dello Stato nazionale, che sicuramente sarà un protagonista della politica futura, come ha riconosciuto anche Francesco.
La Chiesa sembra però ancora incapace di smarcarsi con chiarezza dai capisaldi della cultura dominante relativista e globalista, forse per un malinteso concetto di umanità e fratellanza. “Amore è la legge, amore sotto la volontà” è stato il motto del secondo Novecento formulato da Aleister Crowley, scimmiottando il precetto di Sant'Agostino “Ama e fa' ciò che vuoi”. La menzogna più grande è spesso quella più vicina alla verità, e il “fumo di Satana” entrato allora “nel tempio di Dio”, secondo l'espressione di Paolo VI, sembra ancora lontano dal disperdersi, tanto da far sospettare ad alcuni una sudditanza della Chiesa ai progetti mondialisti di certe élite culturali, industriali e finanziarie, magari anche per motivi economici (pochi sanno che l'anno della mia nascita, ricordato per la vittoria dell'Italia sulla Germania ai mondiali di calcio, ha in realtà tra i suoi eventi più importanti il fallimento tecnico della banca vaticana nascosto dietro la morte di Roberto Calvi).
Che cosa può fare dunque il singolo
fedele, spesso disorientato o smarrito, conteso politicamente tra
“buonisti” e “cattivisti” sul complesso tema delle
migrazioni, che sarà centrale anche per le prossime scelte
elettorali? Come favorire un'autentica integrazione della famiglia
umana e la costruzione della giustizia e della pace? A mio avviso, come ci hanno insegnato i santi, possiamo solo accogliere nel nostro cuore il Principe della Pace,
farlo vivere sempre più dentro di noi, rimpicciolendo l'uomo affinché Dio trovi spazio. Solo così, cominciando a tacere
come Gesù, poi a parlare come lui, arriveremo forse ad
agire come lui e quindi a costruire davvero in lui la pace. Pax
Christi in regno Christi, secondo il motto di Pio XI.
Commenti
Posta un commento