La vita eterna nel suo ultimo sviluppo
Il padre domenicano Garrigou-Lagrange |
di Réginald Garrigou-Lagrange o.p.
«La vita eterna, dice nostro
Signore al Padre suo, è che conoscano Te, l’unico vero Dio, e Colui che hai
mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3). San Giovanni ci spiega queste parole dicendo:
«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo un giorno non è
stato ancora rivelato. Sappiamo però che al tempo di questa manifestazione noi saremo
simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3, 2).
San Paolo aggiunge: «Ora noi vediamo (Dio) come in uno specchio, in maniera
confusa, ma allora lo vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò
perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13, 12). Vedremo a faccia
a faccia, cioè immediatamente, così com’è in sé stesso, questo Dio «che
abita una luce inaccessibile» (1Tm 6, 16) ad ogni cognizione
naturale creata e creabile.
La Chiesa ci insegna
espressamente che «le anime dei beati in cielo hanno dell'essenza divina una
visione intuitiva e a faccia a faccia, senza la mediazione di alcuna creatura
precedentemente conosciuta: la divina essenza si presenta immediatamente e allo
scoperto, in una perfetta chiarezza; le anime beate ne gioiscono incessantemente
e per sempre; questa è la vita eterna», alla
quale ci deve sollevare «lo splendore
della gloria».
Siamo dunque chiamati a vedere
Dio, non solo nel riflesso delle sue
perfezioni nelle creature sensibili o nel meraviglioso suo irradiarsi nel mondo
dei puri spiriti, ma a vederlo senza alcun intermediario: anche meglio di
quanto non vediamo quaggiù coi nostri occhi di carne le persone con cui parliamo,
perché Dio che è totalmente spirito sarà intimamente presente nel nostro
intelletto, che egli illuminerà dandogli la forza di tollerare il suo
abbagliante splendore. Tra Lui e noi non ci sarà neanche la mediazione di
un'idea, perché nessuna idea creata potrebbe rappresentarlo
così com’è nel suo Essere, Atto puro infinitamente perfetto, Pensiero increato
eternamente sussistente, Luce di vita e fonte di ogni verità. E non potremo
esprimere la nostra contemplazione con nessuna parola, nemmeno con alcuna
parola interiore; questa
contemplazione, superiore ad ogni idea finita, ci assorbirà in qualche modo in
Dio, e resterà ineffabile, come quando perdiamo quaggiù il dono della parola se
il sublime ci rapisce. La Deità com’è in sé stessa non può essere espressa che
dalla parola consustanziale, che è il Verbo increato, «splendore
della luce eterna, specchio senza macchia dell'attività di Dio e immagine
della sua bontà» (Sap 7, 26).
Questa visione di Dio a faccia a
faccia supera infinitamente per il suo oggetto non solo la più sublime delle
filosofie, ma la più alta conoscenza naturale degli angeli. Noi siamo chiamati
a vedere tutte le perfezioni divine unite, identificate nella loro sorgente
comune, la Deità; a
contemplare come la Misericordia più tenera e la Giustizia più inflessibile
procedano da un solo e identico Amore infinitamente generoso e infinitamente
santo, Amore del sommo Bene, che vuole comunicarsi il più possibile, ma che ha
un diritto imprescrittibile ad essere amato al di sopra di tutto, e che mirabilmente
unisce in tal modo Giustizia e Misericordia in tutte le opere di Dio. Siamo
chiamati a vedere come quest'Amore, anche nel suo più libero benvolere, si
identifica con la pura Sapienza, come non ci sia niente in lui che non sia
saggio, e niente nella Sapienza che non si converta in amore; a vedere come
questo Amore si identifica con il sommo Bene amato da tutta l'eternità, come la
divina Sapienza si identifica con la prima Verità sempre conosciuta, come tutte queste perfezioni
si armonizzano e non sono che uno nell’essenza stessa di Colui che
è.
Siamo chiamati a contemplare la
vita intima di Dio, la Deità stessa, purezza e santità assolute, a perdere il
nostro sguardo nella sua infinita fecondità che si espande in tre Persone
divine, a vedere l'eterna generazione del Verbo, «splendore del Padre, e figura
della sua sostanza», ad osservare in un rapimento senza fine l'ineffabile
spirare dello Spirito Santo, torrente di fuoco spirituale, termine del comune amore
del Padre e del Figlio, legame che li unisce eternamente nella più assoluta
effusione di sé stessi.
Chi può dire l'amore e la gioia
che farà crescere in noi questa visione? Se già noi siamo incantati dal
riflesso delle perfezioni divine partecipate dalle creature, dal fascino del
mondo sensibile, dalle armonie dei suoni e dei colori, dall'azzurro di un cielo
purissimo sul mare illuminato dal sole, che ci fa pensare all'oceano
tranquillo dell'Essere e alla luce infinita della divina Sapienza; se ancora di
più ci desta meraviglia lo splendore del mondo delle anime, che la vita dei
santi ci rivela, che sarà quando vedremo Dio, eterno splendore sussistente di sapienza e d'amore,
da cui procede tutta la vita del creato? Parliamo di un lampo di genio per
indicare un'illuminazione improvvisa della mente; che dire della luce increata di Dio? Ci
rimane nascosta solo a causa del suo troppo grande splendore, come il bagliore
troppo vivo del sole sembra tenebra all'occhio impotente dell'uccello
notturno.
La gioia che nascerà da una
simile visione sarà quella di un amore di Dio così forte, così assoluto, che
nulla potrà mai distruggerlo e neppure diminuirlo. Questo amore seguirà
necessariamente la visione beatifica del sommo Bene, sarà spontaneo
quanto più possibile, ma non sarà più libero. Il Bene infinito,
presentandosi così a noi, spegnerà la nostra sete insaziabile di felicità,
colmerà la nostra capacità di amare, «che aderirà necessariamente a Lui». La
nostra volontà, per sua stessa natura, tenderà verso di Lui con tutta la sua inclinazione e con tutto
il suo peso; non le resterà più alcuna energia disponibile per sospendere il
suo atto, che le sarà in qualche modo rapito dall'attrazione infinita di Dio
visto a faccia a faccia. Di fronte a un qualsiasi bene finito la nostra volontà
resta libera, e può anche arrendersi o non arrendersi all'attrattiva e alla legge
di Dio, perché non vediamo immediatamente la sua infinita bontà; ma quando ci
apparirà la sua gloria i nostri desideri saranno saziati e non potremo più non
corrispondere al suo amore: «satiabor cum apparuerit gloria tua» (mi
sazierò all’apparire della tua gloria) (Sal 16, 15).
Questo amore sarà fatto di
ammirazione, di rispetto, di riconoscenza, ma soprattutto di amicizia, con una
semplicità e profondità di intimità che nessun affetto umano può avere. Amore
per cui ci rallegreremo soprattutto che Dio sia Dio, infinitamente santo, giusto,
misericordioso, amore per il quale adoreremo tutti i decreti della sua
Provvidenza, in vista della sua gloria, che si irradierà in noi e attraverso di
noi.
Tale deve essere la vita eterna,
in unione con tutti coloro che saranno morti nella carità, specialmente con
quelli che avremo amato nel Signore.
La vita eterna consiste dunque
nel conoscere Dio come egli conosce sé stesso, e nell'amarlo come egli si ama. Ma
se penetriamo più a fondo, vediamo che questa conoscenza e questo amore divini saranno
possibili solo se Dio ci deifica in qualche modo nella nostra
stessa anima. Già nell'ordine naturale l'uomo non è capace di conoscenza
intellettuale e di un amore illuminato superiore all'amore sensibile se non per
il fatto che ha un'anima spirituale; – allo stesso modo, non saremo capaci di
una conoscenza divina e di un amore soprannaturale se non abbiamo ricevuto
una partecipazione della natura stessa di Dio, della Deità; se l'anima, principio
dell’intelligenza e della volontà, non è stata in un certo senso deificata o
trasformata in Dio, così come il ferro, messo nel fuoco, si trasforma per così
dire in fuoco, senza cessare di essere ferro. I beati in cielo non possono
partecipare alle operazioni propriamente divine, se non perché partecipano
della natura divina, principio delle stesse operazioni, e perché hanno ricevuto
da Dio questa natura, un po’ come quaggiù un figlio riceve la sua natura dal
padre.
Da tutta l'eternità, Dio il Padre
genera necessariamente un Figlio uguale a sé, il Verbo; gli comunica tutta la sua natura senza
dividerla ne moltiplicarla; lo fa essere «Dio da Dio, Luce da Luce»; e
per pura bontà, gratuitamente, ha voluto avere nel tempo altri figli, figli
adottivi, secondo una filiazione non solo morale e figurata, ma reale che ci
fa veramente partecipare alla natura divina, alla sua vita intima. «Questa
filiazione adottiva, dice S. Tommaso, è così realmente una somiglianza
partecipata della filiazione eterna del Verbo». «Vedete, dice S. Giovanni,
quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di
Dio, e che lo siamo realmente!» (1Gv 3, 1). Noi siamo «nati da Dio» (Gv 1, 13), «partecipi della natura divina», aggiunge S. Pietro
(2Pt 1, 4). «Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati
ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito
tra molti fratelli» (Rm 8, 29).
Questa è l'essenza della gloria
che Dio riserva ai suoi figli: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio
udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che
lo amano» (1Cor 2,9).
Gli eletti appartengono veramente alla famiglia di Dio, e
in cielo entrano nel cerchio della santa Trinità, che abita in essi. Il Padre
in essi genera il suo Verbo, il Padre e il Figlio in essi spirano l'Amore. La carità
li assimila allo Spirito Santo, la visione beatifica li rende simili al Verbo,
che li assimila al Padre di cui è l'immagine. In ciascuno di loro la Trinità
conosciuta ed amata abita come in un tabernacolo vivente, e più ancora essi
sono in Lei, alla cima dell'Essere, del Pensiero e dell'Amore.
Tale è il fine di tutta la vita cristiana,
di ogni progresso spirituale; qui non si tratta più dei nostri interessi
terreni, né di cercare di sviluppare la nostra personalità (povera formula,
stoltamente ripetuta da molti cristiani dimentichi della vera grandezza della
loro vocazione); la Rivelazione ci dice che bisogna tendere infinitamente più
in alto: Dio ha predestinato i suoi eletti a diventare conformi all'immagine
del Figlio suo. Il mondo, nella sua saggezza, respinge questa dottrina; i suoi
filosofi rifiutano di udirla; allora il Signore chiama gli umili, i poveri,
gli infermi, a partecipare alle ricchezze della sua gloria: «Ti benedico, o
Padre, Signore del cielo e della terra, dice Gesù, perché hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt
11, 25).
Tratto da Perfezione cristiana e contemplazione, Tomo I, Edizioni
VivereIn, Monopoli (Bari) 2011, pp. 130-135
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