Dono e mistero: il sacerdozio eterno nella modernità



Giovanni Paolo II, immagine dalla rete


di Karol Wojtyla


Che significa essere sacerdote? Secondo San Paolo significa soprattutto essere amministratore dei misteri di Dio: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor 4, 1-2). Il termine «amministratore» non può essere sostituito con nessun altro. Esso è radicato profondamente nel Vangelo: si ricordi la parabola sull'amministratore fedele e su quello infedele (cfr Lc 12, 41-48). L'amministratore non è il proprietario, ma colui al quale il proprietario affida i suoi beni, affinché li gestisca con giustizia e responsabilità. Proprio così il sacerdote riceve da Cristo i beni della salvezza, per distribuirli nel modo dovuto tra le persone alle quali viene inviato. Si tratta dei beni della fede. Il sacerdote, pertanto, è uomo della parola di Dio, uomo del sacramento, uomo del «mistero della fede». Attraverso la fede egli accede ai beni invisibili che costituiscono l'eredità della Redenzione del mondo operata dal Figlio di Dio. Nessuno può ritenersi «proprietario» di questi beni. Tutti ne siamo destinatari. In forza, però, di ciò che Cristo ha stabilito, il sacerdote ha il compito di amministrarli.

Admirabile commercium!

La vocazione sacerdotale è un mistero. E il mistero di un «meraviglioso scambio» — admirabile commercium — tra Dio e l'uomo. Questi dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest'uomo un altro se stesso. Se non si coglie il mistero di questo «scambio», non si riesce a capire come possa avvenire che un giovane, ascoltando la parola «Seguimi!», giunga a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che per questa strada la sua personalità umana si realizzerà pienamente.

C'è al mondo una realizzazione della nostra umanità che sia più grande del poter ripresentare ogni giorno in persona Christi il Sacrificio redentivo, lo stesso che Cristo consumò sulla croce? In questo Sacrificio, da una parte è presente nel modo più profondo lo stesso Mistero trinitario, dall'altra è come «ricapitolato» tutto l'universo creato (cfr Ef 1, 10). Anche per offrire «sull'altare della terra intera il lavoro e la sofferenza del mondo», secondo una bella espressione di Teilhard de Chardin, si compie l'Eucaristia. Ecco perché, nel ringraziamento dopo la Santa Messa, si recita anche il Cantico dei tre giovani dell'Antico Testamento: Benedicite omnia opera Domini Domino... In effetti, nell'Eucaristia tutte le creature visibili e invisibili, e in particolare l'uomo, benedicono Dio come Creatore e Padre, lo benedicono con le parole e l'azione di Cristo, Figlio di Dio.

Sacerdote ed Eucaristia

«Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (...) Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc 10, 21-22). Queste parole del Vangelo di San Luca, introducendoci nell'intimo del mistero di Cristo, ci consentono di accostarci anche al mistero dell'Eucaristia. In essa il Figlio consostanziale al Padre, Colui che soltanto il Padre conosce, Gli offre in sacrificio se stesso per l'umanità e per l'intera creazione. Nell'Eucaristia Cristo restituisce al Padre tutto ciò che da Lui proviene. Si realizza così un profondo mistero di giustizia della creatura verso il Creatore. Bisogna che l'uomo renda onore al Creatore offrendo, con atto di ringraziamento e di lode, tutto ciò che da Lui ha ricevuto. L'uomo non può smarrire il senso di questo debito, che egli soltanto, tra tutte le altre realtà terrestri, può riconoscere e saldare come creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Nello stesso tempo, dati i suoi limiti di creatura e il peccato che lo segna, l'uomo non sarebbe capace di compiere questo atto di giustizia verso il Creatore, se Cristo stesso, Figlio consostanziale al Padre e vero uomo, non intraprendesse questa iniziativa eucaristica.

Il sacerdozio, fin dalle sue radici, è il sacerdozio di CristoÈ Lui che offre a Dio Padre il sacrificio di se stesso, della sua carne e del suo sangue, e con il suo sacrificio giustifica agli occhi del Padre tutta l'umanità e indirettamente tutto il creato. Il sacerdote, celebrando ogni giorno l'Eucaristia, scende nel cuore di questo mistero. Per questo la celebrazione dell'Eucaristia non può non essere, per lui, il momento più importante della giornata, il centro della sua vita.

In persona Christi

Le parole che ripetiamo a conclusione del Prefazio — «Benedetto colui che viene nel nome del Signore...» — ci riportano ai drammatici avvenimenti della Domenica delle Palme. Cristo va a Gerusalemme per affrontare il cruento sacrificio del Venerdì Santo. Ma il giorno precedente, durante l'Ultima Cena, ne istituisce il sacramento. Pronuncia sul pane e sul vino le parole della consacrazione: «Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi. (...) Questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me».

Quale «memoria»? Sappiamo che a questo termine occorre dare un senso forte, che va ben oltre il semplice ricordo storico. Siamo qui nell'ordine del biblico «memoriale», che rende presente l'evento stesso. È memoria-presenza! Il segreto di questo prodigio è l'azione dello Spirito Santo, che il sacerdote invoca, mentre impone le mani sopra i doni del pane e del vino: «Santifica questi doni con l'effusione del tuo Spirito, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore». Non è dunque solo il sacerdote che ricorda gli avvenimenti della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo; è lo Spirito Santo che fa sì che essi si attuino sull'altare attraverso il ministero del sacerdote. Questi agisce veramente in persona Christi. Quello che Cristo ha compiuto sull'altare della Croce e che prima ancora ha stabilito come sacramento nel Cenacolo, il sacerdote lo rinnova nella forza dello Spirito Santo. Egli viene in questo momento come avvolto dalla potenza dello Spirito Santo e le parole che pronuncia acquistano la stessa efficacia di quelle uscite dalla bocca di Cristo durante l'Ultima Cena.

Mysterium fidei

Durante la Santa Messa, dopo la transustanziazione, il sacerdote pronuncia le parole: Mysterium fidei, Mistero della fede! Sono parole che si riferiscono, ovviamente, all'Eucaristia. In qualche modo, tuttavia, esse concernono anche il sacerdozio. Non esiste Eucaristia senza sacerdozio, come non esiste sacerdozio senza Eucaristia. Non soltanto il sacerdozio ministeriale è legato strettamente all'Eucaristia; anche il sacerdozio comune di tutti i battezzati si radica in tale mistero. Alle parole del celebrante i fedeli rispondono: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta». Nella partecipazione al Sacrificio eucaristico i fedeli diventano testimoni di Cristo crocifisso e risorto, impegnandosi a vivere quella sua triplice missione — sacerdotale, profetica e regale — di cui sono investiti fin dal Battesimo, come ha ricordato il Concilio Vaticano II.

Il sacerdote, quale amministratore dei «misteri di Dio», è al servizio del sacerdozio comune dei fedeli. È lui che, annunziando la Parola e celebrando i sacramenti, specie l'Eucaristia, rende sempre più consapevole tutto il popolo di Dio della sua partecipazione al sacerdozio di Cristo, e contemporaneamente lo spinge a realizzarla pienamente. Quando, dopo la transustanziazione, risuonano le parole: Mysterium fidei, tutti sono invitati a rendersi conto della particolare densità esistenziale di questo annuncio, in riferimento al mistero di Cristo, dell'Eucaristia, del Sacerdozio.

Non trae forse di qui la sua motivazione più profonda la stessa vocazione sacerdotale? Una motivazione che è già tutta presente al momento dell'Ordinazione, ma che attende di essere interiorizzata e approfondita nell'arco dell'intera esistenza. Solo così il sacerdote può scoprire in profondità la grande ricchezza che gli è stata affidata. A cinquant'anni dall'Ordinazione, posso dire che ogni giorno di più in quel Mysterium fidei si ritrova il senso del proprio sacerdozio. È lì la misura del dono che esso costituisce, e lì è pure la misura della risposta che questo dono richiede. Il dono è sempre più grande! Ed è bello che sia così. È bello che un uomo non possa mai dire di aver risposto pienamente al dono. È un dono ed è anche un compito: sempre! Avere consapevolezza di questo è fondamentale per vivere appieno il proprio sacerdozio.

Cristo, Sacerdote e Vittima

La verità sul sacerdozio di Cristo mi ha parlato sempre con straordinaria eloquenza attraverso le Litanie che si usava recitare nel seminario di Cracovia, in particolare alla vigilia dell'Ordinazione presbiterale. Alludo alle Litanie a Cristo Sacerdote e Vittima. Quali pensieri profondi esse suscitavano in me! Nel sacrificio della Croce, ripresentato e attualizzato in ogni Eucaristia, Cristo offre sé stesso per la salvezza del mondo. Le invocazioni litaniche passano in rassegna i vari aspetti del mistero. Esse mi tornano alla memoria con il simbolismo evocatore delle immagini bibliche di cui sono intessute. Me le ritrovo sulle labbra nella lingua latina in cui le ho recitate durante il seminario e poi tante volte negli anni successivi:

Iesu, Sacerdos et Victima,
Iesu, Sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech, ...
Iesu, Pontifex ex hominibus assumpte,
Iesu, Pontifex pro hominibus constitute, ...
Iesu, Pontifex futurorum bonorum, ...
Iesu, Pontifex fidelis et misericors, ...
Iesu, Pontifex qui dilexisti nos et lavisti nos a peccatis in sanguine tuo, ...
Iesu, Pontifex qui tradidisti temetipsum Deo oblationem et hostiam, ... 
Iesu, Hostia sancta et immaculata, ...
Iesu, Hostia in qua habemus fiduciam et accessum ad Deum, ... 
Iesu, Hostia vivens in saecula saeculorum...


Quale ricchezza teologica in queste espressioni! Sono litanie profondamente radicate nella Sacra Scrittura, soprattutto nella Lettera agli Ebrei. Basti rileggerne questo brano: «Cristo (...) come sommo sacerdote dei beni futuri (...) entrò una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli (...) sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?» (Eb 9, 11-14). Cristo è sacerdote perché Redentore del mondo. Nel mistero della Redenzione si inscrive il sacerdozio di tutti i presbiteri. Questa verità sulla Redenzione e sul Redentore si è radicata nel centro stesso della mia coscienza, mi ha accompagnato per tutti questi anni, ha impregnato tutte le mie esperienze pastorali, mi ha svelato contenuti sempre nuovi.

In questi cinquant'anni di vita sacerdotale mi sono reso conto che la Redenzione, prezzo che doveva essere pagato per il peccato, porta con sé anche una rinnovata scoperta, quasi una «nuova creazione», di tutto ciò che è stato creato: la riscoperta dell'uomo come persona, dell'uomo creato da Dio maschio e femmina, la riscoperta, nella loro verità profonda, di tutte le opere dell'uomo, della sua cultura e civiltà, di tutte le sue conquiste e attuazioni creative.

Dopo l'elezione a Papa, il mio primo impulso spirituale fu di volgermi verso Cristo Redentore. Ne nacque l'Enciclica Redemptor Hominis. Riflettendo su tutto questo processo, vedo sempre meglio lo stretto legame tra il messaggio di questa Enciclica e tutto ciò che si iscrive nell'animo dell'uomo mediante la partecipazione al sacerdozio di Cristo.



Giovanni Paolo II, Dono e Mistero. Nel 50° del mio sacerdozio




Commenti

  1. Il sacerdozio femminile eterno nella modernita:
    https://youtu.be/2lz1ZYLYvGA

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