Cristianità – La via stretta del suo amore
Particolare del dipinto realizzato secondo le indicazioni di suor Faustina Kowalska. Immagine dalla rete |
«Vi
do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi
ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35)
Un ebreo istruito al tempo di Gesù sapeva che la via indicata dalla Legge e
dai profeti era amare Dio sopra ogni cosa e quindi il prossimo come
sé stesso. Gesù, interrogato da uno scriba, ha ribadito questa verità (Mc 12, 28-34), che
tuttavia recava in sé una carta oscurità. Infatti, se il primo
precetto, non a caso al futuro, è: «amerai
il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte
le forze»
(Deuteronomio 6, 5), come si poteva trovare il tempo e il modo di
applicare il secondo: «amerai
il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19, 18)? Andando un po' più a fondo, risulta chiaro che non c'è contraddizione, perché l'amore per Dio è ciò che oggi chiameremmo una "virtù teologale", cioè una virtù divina nella sua essenza, che pertanto non conosce giusto mezzo e quando ci viene donata può crescere indefinitamente, mentre l'amore per l'uomo nel brano del Levitico come altrove nei Vangeli (Mt 7, 12) indica una regola morale, un precetto aureo che ha innanzitutto un'implicita valenza negativa: non fare agli altri del male come non lo faremmo a noi stessi. Eppure, l'uso positivo del termine amore e l'accostamento a quello per Dio necessitavano un chiarimento che lo scriba, "non lontano dal regno di Dio", ma pur sempre fuori, non poteva cogliere.
Lo
sguardo d'amore di Dio è ciò che ci trasforma e stare alla sua
presenza ci dà la capacità di sopportare e amare chi ci sta
intorno. Questa verità è stata sperimentata da tutti i santi: non
si può amare veramente il prossimo se prima non si è passati
dall'amore di Dio. Tuttavia, se nella teoria dell'antica legge
ebraica bisognava amare il Signore con tutto il cuore, tutta l'anima
e tutte le proprie forze, come si poteva nella pratica amare anche i fratelli? Quale parte di cuore e anima e quali energie restavano per loro? Gesù è venuto a dare
compimento con la sua vita alla Legge, mostrandoci il modo di
conciliare questi due aspetti dell'amore. “Se siete miei
discepoli”, ci suggerisce, “se mi amate e volete imitarmi, dovete amarvi come io vi ho amato”.
Dobbiamo cioè seguire il suo esempio mostrato nei Vangeli: essere
miti, compassionevoli, pazienti, gioiosi, stare sempre alla presenza di Dio e ritirarci spesso in preghiera con lui, apprezzare i doni della vita e del creato (il buon vino e il cibo, le feste, l'amicizia...), ma senza attaccamento verso le cose o le persone, senza cercare in loro ciò che solo Dio è e può dare.
Dobbiamo
insomma guardarci l'un l'altro come Dio ci guarda, con tenerezza e
compassione ma anche col giusto distacco spirituale, sapendo che
l'immagine di questo mondo e le sue mutevoli passioni saranno
trasfigurate e rivelate in un'altra vita, al cospetto della
Verità e dell'Amore. Ciò ovviamente richiede un certo allenamento e il superamento di qualche resistenza, trattandosi di un primo passo fuori dalla natura umana decaduta e verso il divino, ma l'esempio di Gesù
ci invita a seguire una via ancora più stretta. Nel Dio-uomo infatti l'Amore incarnato si spinge all'apparente eccesso anche nei confronti degli uomini, fino al dono totale di sé. Per amore di Dio e del prossimo dobbiamo farci vittima
come Gesù sul Calvario, e la vera vittima, come ci ricorda ogni
Santa Messa, è quella divisa in due: da una parte il corpo e
dall'altra il sangue. Solo quando avremo donato ogni goccia del
nostro sangue, ovvero tutta la nostra vita, senza più trattenere
nulla di noi, solo quando il nostro corpo si sarà svuotato
diventando bianco come un'ostia, solo allora avremo amato davvero
come Dio. Solo quando ci saremo donati completamente per amore, Dio
potrà agire attraverso di noi e il nostro amore sarà realmente divino.
Dio che è Amore e che si è incarnato in Gesù, invitandoci ad amare come lui in effetti ci invita a diventare come lui e a restare con lui nell'Amore (Gv 15, 9). Quale via più stretta? Quale via più affascinante? Se lasciarci trasformare dallo sguardo di Dio è relativamente semplice, passare dalla «porta stretta» del suo amore richiede uno sforzo considerevole (Lc 13, 24). Tuttavia, se resteremo uniti al Cristo come tralci alla vite, se impareremo da lui ad amare il prossimo fino a farci vittime, fino a donare tutto il nostro sangue, saremo sulla strada giusta. Nessuno può immaginare dove lo porterà, perché trattandosi di una via divina che supera ogni progetto e aspettativa umana (Isaia 55, 8) la “crescita” possibile, in questa vita e nell'altra, è infinita, anche se su questa terra crescere agli occhi di Dio corrisponde a farsi piccoli agli occhi del mondo e persino dei filosofi. Come ha scritto Jean Guitton, infatti, «nella vita spirituale crescere significa semplificare e semplificarsi, per farsi più vicini alla semplicità increata e ineffabile», che è Amore trasformante e divinizzante. «Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,30).
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