Dal capitalismo liberale al capitalismo illiberale?

 

La copertina del Time del 2 novembre 2020



Nel precedente articolo, dove sono stati ripresi molti temi già trattati nel blog, ho affermato che stiamo sperimentando “la forma terminale del liberalismo”, senza spiegare ulteriormente il concetto. Vale la pena di soffermarci su questo punto perché potrebbe aiutarci a capire cosa sta succedendo e cosa succederà all'economia mondiale nei prossimi mesi e anni, fermo restando che non è possibile vedere chiaramente nel futuro e nessuno può davvero dirigere a suo piacimento un sistema complesso come l'economia mondiale, nemmeno i “padroni del vapore” e del discorso.

Chiariamo innanzitutto che con “liberalismo” intendevo in modo particolare il liberalismo economico, ma non come sinonimo di “capitalismo”. I ripetuti shock all'economia mondiale generati dai lockdown potrebbero favorire profonde trasformazioni strutturali o addirittura una crisi mondiale del debito e quindi portare al great reset auspicato dal World Economic Forum. Questa distruzione creativa sarebbe in fondo una delle varie crisi che hanno permesso al capitalismo di sopravvivere, generalmente scaricando gran parte dei costi della riconversione sulla collettività. In particolare, il nuovo ordine economico dovrebbe prendere la forma di un “green (new) deal”, sostenuto da investimenti selettivi di fondi e banche centrali (come la BCE), disincentivi all'utilizzo di risorse non rinnovabili, inquinanti o non abbastanza “verdi” (ovvero tasse per tutti sulla plastica e sui carburanti fossili, spegnimento progressivo delle centrali nucleari per ora sostituite da quelle al carbone, ecc.) e interventi diretti degli stati o delle istituzioni sovranazionali come l'Unione Europea, tramite misure dal vago sapore socialista auspicate anche dai vertici della Chiesa Cattolica. Tuttavia, poiché la proprietà dei mezzi di produzione, delle banche e delle aziende strategiche resterebbe privata, il capitalismo non corre affatto il rischio di sparire a breve come temuto o vagheggiato da alcuni analisti.

Un'ulteriore precisazione va quindi fatta a proposito del grande capitale, che come ho già scritto altrove ha da sempre la tendenza a inserirsi nello stato per sfruttarne la forza a proprio vantaggio sui mercati interni ed esteri, oppure per ottenerne concessioni e monopoli (come la gestione delle autostrade, per fare un esempio italiano su cui si è molto discusso recentemente). Questo tipo di capitale parassitario infiltrato negli stati nazionali è uno dei fattori principali che hanno portato alle guerre mondiali, come sapevano bene i padri costituenti che pertanto hanno messo il lavoro (di imprenditori, impiegati e operai) alla base della nuova repubblica italiana, dimenticandosi però di precisare perché l'avevano fatto. Per loro e tutte le persone colte della loro generazione che avevano vissuto e fatto la guerra era d'altronde evidente, molto meno per quelli venuti dopo. Lo stiamo riscoprendo noi a caro prezzo, che è sempre l'unico modo per imparare davvero qualcosa.

Il “liberalismo” in campo economico non può dunque essere sinonimo di capitalismo, perché quando il grande capitale orienta a proprio vantaggio le scelte politiche di uno stato, in mancanza di leale concorrenza la libera iniziativa dei singoli non è più fattore di progresso ma può diventare sforzo autolesionistico. Ci hanno fatto credere che la corruzione nello stato si potesse superare solo eliminando lo stato, ma quello che abbiamo ottenuto è che chi “valeva” cento per motivi di reddito o ereditari ha continuato a valere cento, proprio come chi “valeva” uno, ma quest'ultimo si è ritrovato senza la protezione dello stato che poteva garantirgli qualche arma in più nel mondo della scuola e in quello del lavoro.

Per tornare all'attualità e al prossimo futuro, da queste trasformazioni iniziate prima della pandemia potrebbero venire anche effetti positivi, sull'ecologia come sull'economia, ma non c'è da farsi troppe illusioni. Infatti, da un'analisi più attenta dei dati, ben noti alle principali istituzioni in gioco, risulta che una vera riconversione verde sarebbe impossibile e i suoi benefici discutibili rispetto agli investimenti su altre tecnologie. Pertanto, si capisce come intorno a questo progetto in parte ideologico si stiano sviluppando anche nuove bolle speculative, ovvero nuovi tentativi di aumentare i profitti del grande capitale dopo che tutto o quasi è stato venduto. Fino agli anni '90 restava escluso dal mercato solo ciò che per qualche decennio era stato ritenuto “sacro”, inalienabile, come il diritto alle risorse naturali di base (acqua, aria...) e le persone, ma oggi l'acqua non è più pubblica, e da qualche tempo si possono acquistare figli generati in provetta e portati in grembo da madri povere in affitto. Ecco perché oltre agli innegabili affari legati alla riconversione verde molti intravedono pericoli o finalità nascoste inquietanti, magari proprio a discapito di quello che è ritenuto il primo fattore di inquinamento del pianeta, cioè la sua popolazione umana. 

Alcuni ad esempio paventano addirittura la rinuncia alla proprietà privata come prezzo della cancellazione dei debiti in seguito al grande ripristino del sistema economico, anche se questa possibilità al momento appare remota. Si sa però che i fondi dei vari "recovery plan" saranno destinati solo alle iniziative e alle aziende in linea con gli obiettivi del green deal, per cui la contropartita degli aiuti economici fondamentali per tante realtà sarà la parziale rinuncia alla libertà d'impresa. Parallelamente, crescerà l’importanza dei sussidi pubblici o dei vari “redditi di cittadinanza” per i tanti rimasti senza lavoro o che continueranno a non trovarlo anche a causa dei lockdown. Inoltre, già si parla della necessità di certificare con un passaporto sanitario, digitale o meno, l'avvenuta vaccinazione contro il virus, che di per sé non dovrebbe essere obbligatoria, per poter tornare a viaggiare e a lavorare, e queste non sono fantasie complottistiche, come dimostra anche l'esempio della Cina, dove il tracciamento per isolare i positivi riguarda tutta la popolazione. Tra l'altro, proprio sulle critiche e i dubbi rispetto alla gestione della pandemia si è manifestata negli ultimi tempi sui social media una stretta della censura senza precedenti, che non sembra destinata ad allentarsi con l'arrivo del vaccino. Pare insomma che il mondo della “post pandemic era” avrà molti tratti in più di controllo (fatto da privati per il pubblico o viceversa) e molte meno illusioni liberali, con significative limitazioni all'iniziativa individuale in campo economico sia dal lato dell'offerta sia da quello della domanda, in linea con la decrescente importanza degli esseri umani che si accompagna negli ultimi decenni all'espansione dell'automazione industriale e dell'intelligenza artificiale. Non sembrano stonare a questo proposito i riferimenti distopici alle società illiberali descritte da Orwell in 1984 e Animal Farm, con la differenza che nel mondo nuovo di socialista ci saranno solo alcune forme ma la sostanza sarà quasi tutta privata.

Un'ultima precisazione riguarda proprio il socialismo, o meglio alcune misure di tipo socialista e statalista adottate nel passato che potrebbero ancora dimostrarsi utili, se si riuscisse a fare chiarezza su questi temi senza scadere nella faziosità di certi ideologi marxisti o fan del liberismo ad oltranza. Indubbiamente il capitalismo, che ha generato tanti problemi ma anche molta ricchezza e prosperità, ha dato il meglio di sé con le correzioni di tipo socialista imposte dagli stati nazionali dopo la crisi del 1929 e durate fino agli anni '80 del '900. Alcune di queste misure potrebbero effettivamente giovare alla presente e alla prossima fase del capitalismo, come la parziale socializzazione degli investimenti per ottenere una stabilizzazione finanziaria, o un controllo dei movimenti internazionali di capitale per evitare crisi del debito privato e quindi crisi del debito pubblico, che poi "giustificano" l'imposizione di misure alla Monti per riequilibrare la bilancia dei pagamenti. Senza entrare nello specifico, per cui esistono studiosi ben più preparati di me, è evidente che la quarta rivoluzione industriale potrebbe riaprire scenari di sviluppo interessanti anche per i nostri paesi deindustrializzati, ma c'è bisogno di una governance forte capace di superare le contraddizioni del capitalismo a vantaggio di tutti, e non solo, come al solito, dei più ricchi, per cui non possiamo attendere che siano loro a dettare la linea.

In conclusione, se la fase “liberale” del capitalismo, in crisi da tempo, sembra ormai prossima al tramonto, ed è piuttosto difficile immaginare cosa uscirà da questa trasformazione, il fatto che le principali istituzioni a livello mondiale (fondi d'investimento, banche centrali, capi di stato, vertici religiosi, WEF, ONU, FMI...) siano tutte d'accordo nel sostenere una riconversione "verde" con una spolverata di socialismo e pauperismo dovrebbe farci dedurre che qualcuno abbia già un'idea per il mondo che verrà, un'idea che potrebbe essere funzionale agli interessi non dei molti disorganizzati, ma di pochi organizzati e coordinati. Da tempo stiamo sperimentando “la durezza del vivere”, privi delle protezioni sociali e statali di cui hanno beneficiato i nostri genitori e i nostri nonni, ma il capitalismo che verrà potrebbe essere caratterizzato anche da tratti apertamente illiberali e coercitivi. Nei precedenti articoli ho insistito tanto sul valore sacro della persona umana creata da Dio, da cui discendono i diritti originari dell’individuo, perché se questa concezione fondamentale non viene condivisa e non orienta le scelte politiche, qualunque modello economico regoli la vita delle società, di tipo capitalista o socialista, è destinato a limitare l'uomo e a farlo regredire invece che a favorirne lo sviluppo. Non siamo fatti per essere tutti uguali, poveri tutti o tutti migranti, né per eccellere nella cupidigia a danno del nostro prossimo. Siamo tutti fratelli in Cristo che ci ha redento e solo in lui possiamo liberarci dagli inganni del mondo e del nostro io malato. Solo sotto il suo dominio possiamo ottenere la sua pace, la vera pace che il mondo non può darci, e far fruttare pienamente i nostri talenti. Saremo capaci di sviluppare su questa verità incontestabile una proposta economica, sociale, culturale e spirituale alternativa a quella che ci viene calata dall'alto? Saremo capaci di fare la nostra parte da uomini liberi e quindi affidarci come bambini al Re dell'Universo, nelle cui mani sta saldamente la nostra storia individuale come quella dei popoli e delle nazioni?





Commenti

  1. Nel saggio "Capitalismo contro capitalismo. La sfida che deciderà il nostro futuro", edito in Italia da Laterza e presentato il 26 novembre su Repubblica da Federico Rampini, l'ex capo economista della Banca Mondiale Branko Milanovic ha contrapposto il capitalismo 'politico' cinese (con tratti socialisti e statalisti), vincente e quindi "trendy", al capitalismo 'economico' occidentale. Sono significative le somiglianze e le differenze coi due capitalismi di cui ho scritto io... Chi avrà visto più a fondo e più lontano? Questa autorevole ipotesi interpretativa rafforza comunque l'impressione che siano di molto fuori target le preoccupazioni di coloro che, anche nel mondo cattolico non allineato all'enciclica Fratelli Tutti, temono un ritorno del socialismo su scala planetaria, sull'onda "progressista" che sembra venire dagli USA. Molto probabilmente il successore del capitalismo sarà un'altra versione di sé stesso, ma quale dipende pure da ciascuno di noi.

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  2. Segnalo un altro libro incontrato dopo la scrittura dell'articolo, che ne affronta e sviluppa alcuni temi: "Il capitalismo della sorveglianza" di Shoshana Zuboff, edito da Luiss University Press nel 2019. Un intervento dell'autrice si trova anche nel documentario "In the Age of AI", che consiglio a tutti di vedere su You Tube:
    https://youtu.be/5dZ_lvDgevk?t=4108

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  3. Da qualche giorno, nel silenzio generale, l'acqua non solo non è più pubblica, come ho scritto nell'articolo, ma è anche quotata in borsa, con tutto ciò che questo comporta. Cme Group ha lanciato il primo future sulla risorsa idrica basato sul "Nasdaq Veles California Water Index":
    https://www.money.it/acqua-quotata-wall-street-prima-volta-nella-storia

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